arriva in Italia
I Balcani che non esistono più nel memoir momentista di Saša Stanišic
Un libro, come asserisce l’autore stesso, “sulla lingua, sul lavoro nero, sulla staffetta della gioventù e su molte estati, come quella in cui mio nonno ha pestato il piede di mia nonna mentre ballavano e io ho rischiato di non nascere"
Se oggi, da scrittori come da lettori, viviamo in un contesto di Weltliteratur, in cui risulterebbe assurdo far riferimento a un solo canone nazionale, visto come ci formiamo su libri che vengono da ogni angolo del mondo, allo stesso modo in cui ascoltiamo musica americana, guardiamo serie tv coreane e seguiamo youtuber svedesi o taiwanesi, ecco che diventano ancora più preziosi, sorta di bussole viventi, gli autori che hanno, per nascita e vissuto, un piglio cosmopolita già connaturato. È anche per questo, al di là della sua maestria, che Roberto Bolaño è così importante per il lettore contemporaneo: cileno, formatosi sull’intero spettro della letteratura di lingua spagnola, fuggito in una Città del Messico dove si respirava forte l’influenza statunitense, emigrato poi in quel crocevia europeo che è Barcellona, lettore avidissimo di poesia italiana, polizieschi francesi, memoir tedeschi, già vent’anni fa incarnava lo Zeitgeist letterario a venire.
Così, dato che i radar dei lettori avveduti sono oggi già puntati verso est, con autori come Olga Tokarczuk, Georgi Gospodinov, László Krasznahorkai, Imre Oravecz o Mircea Caărtaărescu (ed è proprio quest’ultimo, spesso paragonato a Bolaño, a dire che paesi come la Romania sono in realtà nazioni sudamericane teletrasportate tra l’Europa e l’oriente) a dettare la linea nell’arte del romanzo, in un momento storico-letterario in cui l’area balcanica e carpatica si qualifica come crogiuolo delle novità letterarie più interessanti, verrà logico intercettare una delle più recenti uscite di Keller editore, Origini di Saša Stanišic, recente vincitore del Deutscher Buchpreis (l’autore, nato da padre serbo e madre bosniaca a Višegrad quando era ancora una città della Yugoslavia, scrive infatti in tedesco – e in un tedesco di rara raffinatezza, ben reso dalla traduttrice Federica Garlaschelli).
Non è la prima volta che qualcuno cerca di portare questo scrittore in Italia: ci provò Frassinelli nel 2007 col fantasy La storia del soldato che riparò il grammofono, che non trovò la massa di lettori a cui una simile edizione guardava; c’è stato un tentativo da parte dell’Orma nel 2020 coi racconti di Trappole e imboscate, passati ancor più inosservati (ma in Italia, si sa, i racconti fanno sempre più fatica dei romanzi); ci riprova, oggi, Keller, e speriamo che sia la volta buona, dato che Saša Stanišic – con questo memoir momentista, a sprazzi di coscienza, che ricorda, anche per un tocco lieve di realismo magico, la Tokarczuk dei Vagabondi, più che il Sebald a cui è stato a volte accostato l’autore in patria – merita davvero di incontrare una vasta platea di lettori. Origini racconta un mondo, quello dei Balcani pre bellici, che non esiste più, un mondo in cui la Stella Rossa Belgrado schierava giocatori di ogni etnia e faceva paura alle più blasonate squadre europee; ma prima ancora di arrivare allo specifico storico e geopolitico, Origini è un libro sulla casualità originaria che segna la nostra biografia – nascere da qualche parte – e su quel che accade dopo.
È un libro, come asserisce l’autore stesso, “sulla lingua, sul lavoro nero, sulla staffetta della gioventù e su molte estati, come quella in cui mio nonno ha pestato il piede di mia nonna mentre ballavano e io ho rischiato di non nascere; quella in cui per poco non sono annegato; o ancora quella in cui il governo federale ha deciso di non chiudere le frontiere e in cui sono fuggito, attraverso molti confini, in Germania”.
È anche un libro, Origini, in cui l’autore, attraverso continui tuffi nella memoria, ora di certo veridici, ora smaccatamente inventati (ma il padre stesso di quel realismo magico che oggi rinasce a est, Gabriel Garcia Márquez, rivendicava la menzogna come mezzo per giungere a una verità più profonda), delizia il lettore con una pletora di aneddoti spassosi; eppure è allo stesso tempo un libro triste, perché per Stanišic le origini hanno a che fare con ciò che non possiamo più avere – inclusa un’identità letteraria nazionale.