I vecchi artisti alla prova del tempo che tutto consuma. Rileggendo Benn
Nel saggio ripubblicato grazie ad Adelphi le riflessioni del poeta tedesco sull'età adulta
"Invecchiare: un problema per artisti”: quando lessi questo saggio di Gottfried Benn, forse il maggiore poeta tedesco del Novecento, avevo ventitré anni, come risulta dalla data che allora non mancavo di scrivere sull’ultima pagina dei libri acquistati. Mi colpì il titolo, ma non ricordo che cosa, allora, posso aver capito e pensato. Quando nel 1954 scrisse quelle pagine, Benn non aveva ancora settant’anni; ora ne ho più di lui e forse sono in grado di afferrare per la prima volta qualcosa di più. Abbandonato dalla Garzanti, che aveva pubblicato un bel volume di Saggi di Benn, introvabile da decenni, quel testo ricompare ora da Adelphi.
Al tema dell’età degli artisti sono sensibilizzato in questo periodo anche dal fatto che all’inizio di settembre ho deciso con mia moglie di ascoltare ogni mattina uno dei cento dischi di musica sinfonica che mia cugina, deceduta tre mesi fa, aveva collezionato. Una cosa che incuriosisce mia moglie quando legge le schede critiche di copertina, è quanto raramente i grandi musicisti abbiano raggiunto i settant’anni. Benn, nato nel 1886, morì proprio a settant’anni e quando scrisse quel saggio fu sorpreso invece dalla quantità di geni artistici che nei precedenti quattro secoli avevano raggiunto un’età tarda, costretti ad affrontare il problema di cosa fare del proprio stile, che sentivano ormai inadeguato.
Benn era un medico (come Cechov, William Carlos Williams, Céline, Carlo Levi) e i suoi ragionamenti non mancano mai di precisione empirica. Parte perciò con lunghi elenchi, da cui riporto solo i nomi più famosi e l’età raggiunta.
Pittori e scultori: Michelangelo 89, Goya 82, Munch 81, Degas 83, Donatello 80, Monet 86.
Scrittori: Goethe 83, Shaw 94, Tolstoj 82, Voltaire 84, Heinrich Mann 80, Hugo 83.
Di musicisti davvero invecchiati, nota Benn, ce ne sono di meno: Verdi 88, Richard Strauss 85, Montevederdi 76, Haendel 74, Wagner 70, Schumann 81, Cherubini 82.
Qual è il problema? Benn lo formula usando le Massime e riflessioni di Goethe, fra cui trova le seguenti idee: (1) Invecchiare significa dare inizio a un nuovo mestiere, tutti i rapporti si alterano e bisogna o cessare completamente di agire o accettare con volontà e coscienza la nuova parte. (2) Quando si è vecchi bisogna fare di più di quando si era giovani, perché (3) alla fine della vita allo spirito rassegnato si aprono pensieri fino allora impensabili.
Dopo una serie di preliminari, il saggio di Benn prende però un’altra piega. Cresce la temperatura emotiva e del Benn saggista si impadronisce il Benn poeta. È vero che l’arte è “un fenomeno di liberazione e di distensione, un fenomeno catartico, e tali fenomeni hanno con gli organi del corpo dei rapporti molto stretti”. Ma non è esattamente vero che l’esercizio dell’arte procuri salute, distenda e purifichi. La cosa che il medico Benn non riesce ad accettare è la “tendenza degli studiosi”, quella “specifica tendenza tedesco-idealistica” che vede la vita degli artisti come un procedere verso la spiritualità, verso uno “stato ideale” e “l’abbandono di uno stato di tensione a favore di una libertà più alta”.
Vediamoli più da vicino, invece, pensa Benn, questi vecchi artisti. Ecco Michelangelo, che crea ma non porta a termine la sua Pietà Rondanini. A ottantanove anni l’eccelso scultore “non possedeva nuovi mezzi espressivi per i suoi nuovi contenuti” e il suo stile tardo coincide con l’impossibilità di portare a termine. Ecco Flaubert. Non è vecchio, ha cinquantanove anni, ma è svuotato e consunto: “Quando è comparsa L’educazione sentimentale, hanno scritto di lui: ‘È un idiota, un lenone che insudicia l’acqua della pozzanghera in cui si lava”. Lui dice invece di sé: “Sono un mistico e non credo a niente”. Ecco Leonardo in Francia: “Il re gli offre quattromila ducati per la Gioconda, ma lui non se ne può separare, gli si getta ai piedi, vecchio com’è, piange, si rende ridicolo davanti agli ospiti, ma la Gioconda no, è la sua vita”.
Ora Benn pensa a sé: “Vive nell’epoca che conquista il cosmo, si affaccia dalla sua stanza che dà sul retro, e vede una gabbia di conigli e due ortensie”. Pensa a sé vecchio, questo massimo poeta dell’espressionismo, l’ex medico della Wehrmacht, e la commozione diventa incontenibile in un abbraccio a tutti i vecchi artisti ormai al di là di quello che erano stati: “Sere della vita, queste sere della vita! Quasi tutti in povertà, con tosse, schiena curva, tossicomani, bevitori, alcuni anche criminali, i più non sposati, i più senza figli: questa olimpiade bionegativa (…) Chi è nato fortunato ha forse ottenuto una casa, come Goethe e Rubens; chi era di condizione modesta ha dipinto a vita, senza un soldo in tasca”.
Così era, mentre oggi (è la conclusione di Benn) l’artista somiglia più a un borghese o a un funzionario, cerca sicurezza sociale, perfino incarichi statali. Arrivano le recensioni su commissione, la critica di routine. È così che “nella generale mistura si esaurisce l’individualismo di un’epoca”. Ma per il vero artista le cose vanno diversamente: “Il correttivo collettivistico non modifica l’interiorità di chi si trova in stato di coercizione”. L’arte per lui è necessità, non libertà.