contro la superficialità
Lunga vita al Medioevo, ingiustamente maltrattato dagli influencer
Il riferimento alla fase storica è una invenzione per suggerire arretratezza, un brand politico-commerciale come lo smalto per le unghie. Dalla questione femminile alle conquiste dei diritti, sono stati anni di grande conoscenza
Immancabile e immarcescibile, dopo ogni polemica politica o latamente culturale salta fuori il paventato, temutissimo jolly semantico del "ritorno al Medioevo". Ultimo in ordine di tempo, il fuoco di fila delle indignate reazioni di influencer, starlette, musicanti, politici assortiti che dopo l’autodafè sul ddl Zan hanno sentenziato che senza quella legge l’Italia è destinata a tornare ai secoli oscuri. Diciamolo: questa oleografica, falsa, stantia solfa sul Medioevo come epoca di tenebra e di malvagità diffusa, di negazione dei diritti e di arretratezza sociale e culturale, ha debordato esondando dai limiti di guardia, trasformandosi in pastura da reel di Instagram e finendo col perdere qualunque connotazione di effettiva polemica culturale.
Se in origine, come ricorda un maestro del diritto come G. Tarello nel suo ‘Storia della cultura giuridica moderna’, la polemica feroce degli illuministi e dei philosophe contro il medioevo fu essenzialmente battaglia contro il particolarismo giuridico e culturale, contro la segmentazione del tutto sociale vista e considerata come foriera di diseguaglianza, oggi, in grami giorni di politicamente corretto e cancel culture, la visione complessiva del medioevo è ridotta a schizzo, a macchietta falsificata. Detto in termini meno evoluti: siamo passati, trascolorando negli intenti polemici, da Voltaire e Diderot a Fedez e alla Ferragni. Medioevo è ormai una invenzione, un brand politico-commerciale come lo smalto per le unghie, un ologramma, una copia originante da nessun originale in cui si immagina che le uniche attività consentite fossero l’oppressione sociale, la tortura e verosimilmente il rogo delle donne sgradite mascherate da streghe, tanto per consentire di farci sopra un video simil-isterico su TikTok.
È impossibile cercare di far notare, come mirabilmente affrescato da Paolo Grossi nel suo ‘L’ordine giuridico medievale’, la ricchezza culturale e istituzionale del Medioevo come momento storico di sedimentazione di una coscienza peculiare del rapporto tra diritto, ordinamento particolare, cultura e socialità: e nel tentativo di applicare la lezione di Santi Romano sulla pluralità degli ordinamenti giuridici anche al Medioevo, Grossi rimarcava come lo stesso aborrito particolarismo non fosse tanto una ragnatela confusionaria di rapporti giuridici tendenti alla limitazione delle prerogative, quanto il riconoscimento della coesistenza di ordini distinti che nella pluralità cercavano la propria armonia. E basterebbe sia pur svogliatamente sfogliare le pagine meravigliose di ‘Genio del Medioevo’, ormai risalente testo di Jacques Le Goff sulla poliedricità intensa e vitale del dibattito intellettuale in epoca medievale, per comprendere come di oscuro vi fosse davvero poco in quei secoli. E un altro grandissimo storico come Marc Bloch, nel suo monumentale ‘La società feudale’ ha dedicato bellissime pagine di un intero capitolo alla rinascita intellettuale nella seconda età feudale.
Dal punto di vista sociale, d’altronde, persino il citato, tremendo feudalesimo, con il suo decentramento, la sua contrattualistica, aveva disposto dei meccanismi di tutela e di garanzia dei sottoposti rispetto ai Signori in cui un nucleo duro di ciò che oggi definiremmo diritti non solo sopravviveva ma esplicava una notevolissima valenza, come ha rilevato lo stesso Bloch analizzando le peculiarità dello sviluppo della Signoria. Il Medioevo ci ha dato: le cattedrali, le fortezze, i poemi, codici giuridici e regolamenti urbani, l’istituzione delle prime scuole sanitarie, delle Università, la circolazione delle persone e delle idee, lo sviluppo a rete della lex mercatoria, strumento concettuale la cui attualità persiste vivificata negli interstizi vuoti di Stato della globalizzazione, come hanno sottolineato Maria Rosaria Ferrarese e Francesco Galgano nelle loro opere sulle istituzioni della globalizzazione e sulla lex mercatoria.
Anche sul versante della condizione femminile, autentica bestia nera del dibattito attuale, come se poi il passato dovesse e potesse essere metodologicamente decostruito ricorrendo ai paradigmi e ai dispositivi concettuali del presente, il Medioevo è largamente punteggiato di straordinarie figure femminili che lungi dall’essere stipate in fetide segrete o arse sul rogo segnarono la loro epoca grazie all’inventiva, al coraggio, all’arte, al mercato. Donne sante, donne mercanti, donne protagoniste di bellissime e poetiche opere d’arte, canzoni epiche, dipinti, persino donne ribelli come ha ricostruito di recente Maria Serena Mazzi nel suo ‘Donne in fuga – vite ribelli nel Medioevo’. In generale la condizione femminile nel medioevo era assai meno terribile di quanto una certa vulgata socialmente consapevole vorrebbe far credere. Abbondavano infatti i trattati di diritto privato e di diritto pubblico che assegnavano certo cogenti obblighi ma anche forti diritti alle donne, come è stato ampiamente dimostrato negli atti raccolti in volume del convegno ‘La condizione giuridica delle donne nel Medioevo’. D’altronde, da Matilde di Canossa a Giovanna d’Arco, da Santa Rita a Eleonora d’Aquitania, le donne eccezionali le cui gesta e la cui importanza sono tramandate a noi non sono certo poche, spezzando del tutto la nenia sulla donna invisibile, sottomessa, impalpabile.
Proprio alla rivisitazione della condizione femminile nei ‘secoli bui’, la storica Regine Pernoud ha dedicato un magistrale affresco, in Italia edito da Lindau, ‘La donna al tempo delle cattedrali’, dimostrando in modo non revocabile in dubbio l’acquisizione di forti posizioni di autonomia, indipendenza e potere da parte di moltissime donne. Sarebbe quindi cosa giusta che, non dico Fedez, ma presunti commentatori o altrettanto presunti intellettuali quando desiderosi di slanciarsi in strali polemici dopo una qualche batosta patita scegliessero con cura i loro riferimenti e le loro metafore, lasciando fuori il Medioevo e la sua ricchezza e la sua libertà. Almeno per conservare un qualche briciolo di dignità personale.