Oliver Stone, al centro, accompagnato dal Presidente Fondazione Museo Maxxi Giovanna Melandri (LaPresse) 

la lezione del virus

Maxxi post Covid. La cultura, la pandemia e il museo “officina di futuro”. Parla Giovanna Melandri

Marianna Rizzini

Tra reale, virtuale e cittadino. “Il Covid ci ha cambiati, ma non è stata una parentesi da cui tornare indietro. Eravamo chiusi, durante i lockdown, ma non spenti"

La battaglia contro il nulla e contro il virus, con tutto chiuso e tutto fermo. La traversata nel deserto dei lockdown. Poi la luce, la vita che riparte, il green pass. Che cosa resta, di quella cavalcata? Quale lezione si può trarre e che cosa può cambiare, in un momento in cui il paese e anche Roma sembrano animati da una nuova energia, come se si fosse diventati più efficienti e più attenti alla cultura, e come se la capitale stesse assumendo qualche tratto da “nuova Milano”?

 

"Lesson learned”, dice Giovanna Melandri, dal 2012 presidente della Fondazione Maxxi-Museo nazionale delle Arti del XXI secolo e già (più volte) ministro e parlamentare. “Il Covid ci ha cambiati, ma non è stata una parentesi da cui tornare indietro. Anzi: quello che abbiamo imparato – e parlo intanto per il Maxxi, e lo dico ora, davanti al boom di visitatori che hanno reso questo ottobre il migliore dal 2011, con picchi da 7000 mila ingressi, e davanti al ritorno degli sponsor – è una nuova abitudine a pensare il reale e il virtuale come fortemente connessi. C’è un Maxxi reale, tanto reale da sdoppiarsi nel Maxxi-L’Aquila, il nuovo museo costruito in Abruzzo durante la pandemia, e c’è un Maxxi virtuale che proprio durante la pandemia ha raggiunto milioni di visualizzazioni”.

    

La ripresa è legata anche al green pass, al Maxxi obbligatorio dal 6 agosto scorso. Non sembrano turbati dai controlli all’ingresso i ragazzi che nel primo pomeriggio affollano la caffetteria-biblioteca con i loro portatili, come in molti musei delle altre capitali europee (la biblioteca è stato il primo spazio a riaprire, anche prima delle mostre). “Un dato fa riflettere”, dice Melandri: “Ed è quello sulla provenienza dei visitatori pre-Covid e post-Covid. Prima della pandemia il 51 per cento dei visitatori veniva dall’Italia e il restante 49 per cento dal resto del mondo. Nel trimestre agosto, settembre e ottobre 2021 i visitatori sono arrivati per il 78 per cento da Roma e dal resto dell’Italia, e sono aumentati rispetto al periodo pre-pandemia. Eravamo chiusi, durante i lockdown, ma non spenti. Abbiamo cercato di lavorare sia sull’ampliamento della collezione – con il sostegno del Mibact sono entrate nuove opere – sia sulla comunicazione, sul marketing digitale, sugli aspetti di gestione dei beni culturali e sulla progettazione urbana. Mi piace pensare il museo come un ‘Maxxi di prossimità’ che aiuta, oggi, a ricostruire il rapporto con il territorio. Un’istituzione europea, internazionale, italiana e romana, capace di parlare prima di tutto al pubblico di questa città. Un museo può essere elemento di rafforzamento dell’identità di una città”. C’è un modello? “Il modello londinese della Tate, direi, con la collezione permanente gratuita e le mostre a pagamento. Da un lato penso sia importante lavorare sulla patrimonializzazione, dall’altro sul museo come dispositivo sociale ed educativo.

 

Durante la pandemia molti musei, tra cui il Maxxi, hanno arricchito e lanciato un’offerta formativa online. Tutto questo ci ha insegnato a percepirci come istituzione culturale”. Che cosa può diventare, in prospettiva, un museo nazionale, internazionale e di “prossimità”? “La mia idea è che il museo possa essere un’officina di futuro e che abbia l’ambizione di porsi come motore di rigenerazione culturale, con una linea di ricerca che tenga insieme l’offerta popolare e quella sperimentale. Abbiamo ora al Maxxi la mostra su Sebastião Salgado e la sua Amazzonia-giardino del mondo, con i suoi leader indigeni, proprio nei giorni del vertice di Glasgow, e ‘The purple line’ di Thomas Hirschhorn con la sua anima urticante. Vorrei che si riuscisse a sfondare il tetto di cristallo che impedisce una fruizione davvero nuova e trasversale dell’arte. Per questo abbiamo deciso di prorogare per un altro anno la mostra ‘Casa Balla”, sorta di laboratorio di futurismo. Per questo teniamo così tanto agli archivi dei grandi architetti, da Aldo Rossi a Carlo Scarpa a Pier Luigi Nervi a Sergio Musmeci, per citarne solo alcuni”.

 

Un altro aspetto della “lezione” è l’idea, dice Melandri, di “voler lavorare sulla relazione tra arte, intelligenza artificiale, realtà aumentate e cultura dell’immagine. Vorremmo realizzare una ‘augmented reality room’ e abbiamo lanciato un progetto di ricerca con artisti che lavorano con l’intelligenza artificiale, con gara europea. L’artista è un rabdomante. E quindi penso che, a partire da un museo, si possa aiutare una città ad avere una visione, facilitando il dialogo in ambiti inediti. Questa città ha vissuto anni bui ma ha molti punti di luce, e un museo può diventare anche un ponte con il sistema produttivo. E trampolino per una diplomazia culturale, con mostre itineranti e reciprocità in varie parti del mondo”. Intanto, “grazie al green pass”, dice Melandri, “domani il Maxxi resterà aperto: una ‘Notte al Museo’ fino alle 23”. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.