Germania, la patria delle foreste
I boschi sono mito, metafora ma soprattutto arte. E spiegano molto anche della politica tedesca
Mythos Wald: mito, saga, leggenda. Der Wald, il bosco, è un concetto inscindibile della Weltanschauung dei tedeschi. Popola le fiabe, la poesia, l’epos dei Nibelunghi e Sigfrido, la musica mistica di Richard Wagner, la letteratura fantastica dei Romantici. Ma domina anche il quotidiano, passato e presente, dei tedeschi in generale. Ein Haus im Grünen, una casa nel verde, è il sogno custodito nel cuore di molti. E chissà che non sia proprio questa passione atavica per la natura, il verde, all’origine del partito dei Grünen nel 1980, e la ragione del suo successo: il partito ambientalista più importante in Europa, in procinto di ritornare ora al governo in Germania in una coalizione semaforo con i socialdemocratici e i liberali.
Il bosco, la foresta: al contempo realtà fisica e metafora dello spirito, astrazione e proiezione, identità e simbolo, ponte fra civiltà e natura, fra uomo e ambiente. La genesi del Mythos Wald è antica e il suo cammino attraversa i secoli: dal Medioevo con la nascita dei miti e delle favole, al Romanticismo nel XIX secolo quando raggiunse il suo apice e divenne soggetto di ispirazione in tutte le arti e le discipline del pensiero, proiezione di sogni e di incubi: nella letteratura, la poesia, la pittura, fino alla mistificazione nel nazionalsocialismo con le formule di propaganda Volk und Wald, Wald und Baum o die deutsche Eiche (popolo e bosco, bosco e albero, la quercia tedesca). Ma anche oggi il bosco, comunità di alberi, è di grande attualità nel dibattito sui mutamenti climatici e gli sforzi degli stati per ridurre il riscaldamento globale.
Già Tacito, nel suo attualissimo trattato Germania (I sec. d. C.), aveva identificato il carattere dei germani con il bosco: lo storico romano fa paralleli fra il paesaggio selvaggio e i suoi abitanti, parla di “silvae horridae” in contrasto con i morbidi paesaggi mediterranei e descrive le foreste del Nord con i loro querceti come patria e santuario delle tribù di guerrieri dagli occhi azzurri e i capelli chiari. Un ritratto che ha ispirato secoli dopo poeti e pensatori romantici come Ludwig Tieck, che creò il neologismo Waldeinsamkeint (solitudine del bosco) o Joseph von Eichendorff, autore del romanzo picaresco “Vita di un perdigiorno”, per il quale il bosco simboleggia il concetto di unità nazionale e libertà. Oppure le liriche di Heinrich Heine (“Nel bosco, al chiaro di luna vidi da poco cavalcare gli elfi”, recitano dei versi) e di Friedrich Hölderlin (sua anche una poesia dedicata alla passeggiata e una alle querce) o i racconti fantastici di E.T. A. Hoffmann, solo per citare alcune fra le figure più celebri di questa poetica (Goethe non era invece un fan del Wald) che culminò nel motivo dell’idillio della natura e nell’identificazione natura-nazione: natura come antipode della civiltà.
Conseguenza anche alle guerre contro Napoleone (1813-1815) e della ricerca di simboli identitari contro la Francia post-rivoluzionaria: il bosco tedesco in contrapposizione al giardino francese. L’immagine della selva germanica è anche incisa nella storia con la celebre battaglia della foresta di Teutoburgo (IX sec. d. C.), nota come la disfatta di Varo, del comandante Publio Quintilio Varo, quando l’esercito romano fu sbaragliato dalle tribù germaniche nell’area dell’odierna Kalkriese, vicino Osnabrück (Bassa Sassonia), perdendo sul campo tre legioni e mettendo fine all’espansione romana oltre il Reno. “Varo, Varo rendimi le mie legioni”, avrebbe detto affranto l’imperatore Augusto nell’apprendere la notizia, secondo il racconto di Svetonio. La vendetta romana sullo stesso comandate germanico, Arminio, arrivò sette anni dopo in due battaglie nella grande foresta e nelle paludi attorno al fiume Weser, ma l’espansione dell’Impero in Germania si fermò lo stesso: Roma mise fine agli sforzi di trasformare i territori orientali germanici fino all’Elba in una provincia dell’Impero e il Limes romano fu definitivamente fissato sul Reno. Alla vicenda storica, in cui si volle vedere il germe dell’identità nazionale tedesca, anche Heinrich von Kleist ha dedicato un dramma, Die Hermannsschlacht, “La Battaglia di Arminio” del 1808: l’Unità nazionale sarebbe arrivata nel 1871.
La foresta, il bosco, gli alberi sono un motivo ricorrente nella letteratura romantica, a cominciare dalle favole dei Fratelli Grimm e Cappuccetto Rosso, e in pittura, come nei paesaggi crepuscolari di Caspar David Friedrich, primo fra tutti il celeberrimo olio che ritrae un uomo di spalle, Der Wanderer über dem Nebelmeer (il viandante sopra il mare di nebbia), icona del Romanticismo pittorico.
In forme e stili diversi il tema della natura e del bosco prosegue lungo i secoli ed è fonte di ispirazione costante per generazioni di poeti, pittori e scrittori: da Rainer Maria Rilke a Hermann Hesse, fino a Bertolt Brecht con le “Elegie di Buckow”, e agli anni Settanta e Ottanta con il fenomeno della paura dell’apocalisse naturale e del Waldsterben, la morte del bosco, che contagiò anche uno scrittore peraltro illuminista ed estraneo all’idealismo come Günter Grass. La cantante Alexandra scalò le vette delle classifiche nel 1968 con il suo hit “Mein Freund, der Baum” (il mio amico, l’albero).
Il simbolismo degli alberi e della natura ha avuto un revival anche in tempi più recenti come nel progetto Stadtvewaldung statt Stadtverwaltung (approssimativamente imboschimento cittadino anziché amministrazione cittadina) di Joseph Beuys alla mostra di Kassel, Documenta 7, del 1982 in cui l’artista tedesco per realizzare la sua opera fece piantare settemila querce nella piazza centrale della città. Querce che in parte si possono ancora ammirare. Sullo stesso tema, in Italia, fece scalpore nel 2009 la richiesta di Claudio Abbado, come condizione per tornare a dirigere alla Scala da dove mancava dal 1993, di piantare, al posto del suo cachet, 90.000 alberi nel centro di Milano. Richiesta accolta con un po’ di imbarazzo dall’amministrazione comunale e poi realizzata ma in misura molto ridimensionata.
La centralità del bosco e della natura per i tedeschi è testimoniata anche dalla abbondanza di verde che domina i paesaggi e caratterizza in genere le città, dal rito delle passeggiate in famiglia o con gli amici il fine settimana, dalla diffusione delle biciclette, dalla scelta della meta per le vacanze (vedi Angela Merkel con la sua passione per l’Alto Adige). C’è anche un verbo specifico, wandern, traducibile grosso modo con passeggiare, fare escursioni in montagna, che esprime di per sé un rapporto intrinseco dell’uomo con la natura.
Il verde non è solo una nostalgia e proiezione dell’anima, ma anche un tema molto concreto nella percezione dell’opinione pubblica, e che investe il governo e tutti i partiti soprattutto oggi che la globalizzazione e il consumo incontrollato delle risorse minacciano il futuro del pianeta. La Germania, come si evince dal rapporto forestale 2021 del governo, è uno dei paesi europei con la maggiore superficie di boschi: circa il 32 per cento del territorio nazionale, il che rappresenta oltre che un beneficio per l’equilibrio psico-fisico dell’uomo anche un importante fattore per la biodiversità, la varietà di piante (circa 2.900 specie), la vegetazione e le specie animali nonché come vettore di assorbimento naturale dell’anidride carbonica CO2, fonte primaria dell’inquinamento atmosferico. Dal 1990 la superficie boschiva è aumentata di oltre 200.000 ettari e gode di ottima salute. Degli 11,4 milioni di ettari di bosco complessivi, il 48 per cento si trova in mano privata, il 19 per cento è proprietà dei comuni, il 29 per cento delle regioni e il 4 dello Stato. In tutto i proprietari di boschi sono 1,8 milioni, per lo più con terreni attorno ai 2,5 ettari. Oltre la metà delle superfici boschive sono di conifere (25 per cento abeti, 23 per cento pini), il 45 per cento invece piante latifoglie (16 per cento faggi, 10 per cento querce). Il 76 per cento è costituito da boschi misti. Circa un quarto degli alberi hanno oltre 100 anni, il 14 per cento oltre 120. Le riserve di legname in Germania hanno segnato nel 2017 un nuovo record storico con 3,9 miliardi di m3 (358 m3 per ettaro).
Quale sia l’importanza dei boschi lo si è visto al recente G20 a Roma con l’intesa raggiunta nella dichiarazione finale di piantare mille miliardi di alberi entro il 2030, e anche alla conferenza sul clima a Glasgow, con l’impegno di oltre cento stati di fermare la deforestazione e la distruzione di boschi e paesaggi entro il 2030. L’intesa è stata sottoscritta da tutta l’Unione europea ma anche da paesi con immense risorse boschive come il Brasile, la cui foresta amazzonica costituisce il principale polmone del mondo, il Canada, la Russia, la Cina, l’Indonesia, il Congo (secondo polmone del pianeta). Si tratta dell’85 per cento della superficie boschiva complessiva della terra, circa 34 milioni di chilometri quadrati. Costi stimati entro il 2025, 12 miliardi di dollari (10,3 miliardi di euro), più 7,2 miliardi di dollari di investimenti privati.
Le foreste, per questo si parla di polmoni della terra, assorbono circa un terzo delle emissioni annuali emesse dall’uomo di CO2. La loro superficie però cala progressivamente: si calcola che ogni minuto si perdano aree di forestali pari a 27 campi di calcio. Il premier britannico Boris Johnson ha paragonato i boschi a “cattedrali della natura”: “Sono indispensabili per la nostra sopravvivenza”.
Il patrimonio boschivo del pianeta ammonta a circa tremila miliardi di alberi, circa la metà di quanti si ritiene esistessero migliaia di anni fa prima dell’inizio dell’era moderna, in particolare prima dell’industrializzazione nel Diciottesimo secolo.A Glasgow i circa duecento governi partecipanti sono impegnati nella ricerca di un compromesso per raggiungere l’obbiettivo fissato alla Conferenza sul clima di Parigi del 2015 di ridurre il riscaldamento globale dei gas di serra a 1,5 gradi celsius entro la metà del secolo. Obbiettivo che al momento non sembra realizzabile. Alcuni dei maggiori produttori di emissioni, come Cina, India e Usa, sono vaghi sulla data del raggiungimento dell’obbiettivo, o l’hanno spostato (Cina e Russia al 2060) o addirittura non l’hanno fissato o rinviato al 2070 (India). Paesi come Cina e India, che assieme, con quasi tre miliardi di abitanti, fanno circa un terzo della popolazione mondiale, sono a gara nella competizione tecnologica con l’Occidente e hanno fame di energia. Per raggiungere il fabbisogno sfruttano tutte le fonti possibili, energia eolica, voltaica, solare, carbone, gas e nucleare, sono determinanti per accelerare la corsa per raggiungere gli stessi livelli di benessere dei paesi sviluppati: gli investimenti in tecnologie per la tutela del clima non sono prioritari, sono un lusso.
Le foreste vergini sono spesso considerate bacini di materie prime, non aree naturali protette: chi è in grado di produrre carbone, petrolio e gas preferisce utilizzarlo per la produzione di energia. Nel 2020 la Cina ha installato nuovi impianti di energia eolica per oltre 50 miliardi di euro, 35 volte più della Germania, ma per coprire il suo enorme fabbisogno costruisce ogni anno anche molte nuove centrali elettriche a carbone, inquinanti.
La Germania, che dopo la catastrofe di Fukushima nel 2011 ha deciso la chiusura graduale dei suoi impianti nucleari, ha rinunciato all’atomo e punta sulle energie rinnovabili come l’eolico o il gas (importato dalla Russia) e nelle trattative ora per il nuovo governo si discute sulla transizione climatica, su quando eliminare tutte le centrali a carbone e le auto col motore a scoppio, sullo sviluppo di energia dall’idrogeno. Nei primi nove mesi di quest’anno sono entrati in funzione molti più impianti eolici dello scorso anno: 345 fra gennaio e settembre con una capacità di 1,4 Gigawatt, un incremento di oltre il 50 per cento. Con un forte quarto trimestre, potrebbe essere raggiunta nell’anno la soglia di 2 Gigawatt: sarebbe un buon segnale, dicono gli esperti, anche se, in realtà, per la svolta energetica sarebbe necessario raggiungere una capacità dei nuovi impianti eolici di oltre 5 Gigawatt.
C’è molta strada da fare, in Germania e nel pianeta, per la difesa dell’ambiente e arrivare a metà secolo alla neutralità climatica auspicata dall’Ue: “Non siamo lì dove dovremmo essere”, ha detto la Merkel con la sua consueta scarnezza scientifica alla conferenza di Glasgow: “Che gli effetti del cambiamento climatico siano devastanti, lo sappiamo. Dobbiamo, e aggiungo anche che lo possiamo, implementare l’accordo di Parigi sul clima”.