Maurizio Milani torna in libreria. E son cose che non si possono dire in tv
Riecco tra gli scaffali le pazze avventure dell’Animale da fosso. Tra le pagine, diversi episodi che non vedrete in onda a Propaganda live (dove speriamo che il nostro Innamorato fisso riesca a sfondare in direzione Roma)
Per i lettori del Foglio, fedeli alla rubrica Innamorato fisso e derivati, non ci sarebbe bisogno di ricordare i fondamentali. Per i lettori occasionali e di passaggio – o non ancora convertiti, a noi in certi casi sono serviti mesi, prima di trovare la citazione o la battuta adatta a far capitolare lo scettico – diremo che, primo: Maurizio Milani ha un mondo da raccontare e la penna per raccontarlo, qualità che mancano ai romanzieri italiani che vincono premi. Secondo: sta al centro di un ideale triangolo formato da Achille Campanile, Franca Valeri e Alberto Arbasino. Terzo (con appendice): nel suo mondo usa i Meridiani per steccare la zampa delle bestie azzoppate. Nel nostro mondo, siamo da tempo candidati a scrivere la prefazione del Meridiano che raccoglierà la sua opera (non si può sempre arrivare tardi, sulle cose).
“Fidanzarsi non conviene, bisogna portarla a cena e trovare un alberghetto romantico per la monta” è la battuta con cui siamo riusciti a convertire i più restii (al primo approccio, poi diventa un vizio). “Animale da fosso” è il primo libro di Maurizio Milani, possediamo una rara copia edita nel 1994 da Bompiani. In copertina, lo scrittore riccioluto, senza barba, in mano un rotolo di carta igienica. Ora ripubblicato dalla Compagnia editoriale Aliberti, non abbiamo controllato riga per riga ma la materia c’è. Anche quella poco rispettosa di persone, cose e fidanzate, affettuosamente chiamate “la mia iena”.
L’animale da fosso va a prendere la morosa il martedì e o giovedì sera, svolta nella strada di campagna, “tiro giù i ribaltabili e dopo venti minuti di gioco effettivo la riconsegno dove l’ho trovata”. A volte la poveretta viene lasciata a piedi, sulla strada dove i camion passano veloci. Serve un buon consiglio: “Prendi la mulattiera interna, allunghi il percorso di un’ora, ma almeno non mi vai in pericolo” (così dicono a Codogno, patria del nostro eroe: i lettori più difficili da convincere sono quelli che non che non riconoscono e apprezzano l’appoggiatura lombarda). Come certifica il titolo di un altro Maurizio Milani d’annata, il maschio deve “vantarsi, bere liquori, illudere la donna”.
Quando la fidanzata lamenta l’assenza di dialogo – piccolo classico della vita contemporanea – l’animale da fosso la intrattiene parlando di rutti: “Come questo fenomeno può avvenire a comando e dove ho imparato a farli così bene. Dopo alcune dimostrazioni le ho confidato un segreto: appena dopo il servizio di leva scelsi di vivere in un allevamento per padroneggiare i versi dei buoi”.
La partecipazione a “Propaganda Live”, dopo una lunga assenza dalla televisione, potrebbe aiutare Maurizio Milani a sfondare in direzione Roma, saltando l’ostacolo della cadenza, concessa solo se toscana o romana. “Animale da fosso” è pieno di cose che non si possono dire in tv. Racconta di frenuli rotti, ricuciti in maniera cruenta con filo da pesca, e finalmente aggiustati con la gabbietta che ferma il tappo dello champagne. E’ ambientato nelle patrie latrine e nelle discariche abusive (c’è gente ormai che prende tutto alla lettera, meno male che secondo Neil Postman – in “Divertirsi da morire”, 1985 – eravamo destinati a vivere in una farsa continua). Tori, meno del solito. Molti gli allevamenti suinicoli, con dettagli da inseminazione.
Visite ai parenti anziani, sempre. Non come “certi nipoti che passano a vedere la nonna solo alle scadenze pensionistiche. Io vado quando riscuote e anche quando non riscuote. Qualcosa c’è sempre”. Rompere i bottiglioni di vino portandoli in cantina, mai: “Mio suocero avrebbe preferito vedere la sua unica figlia ridotta in schiavitù da un giostraio”.