Pure la Bbc, l'antenna del politicamente corretto, arriva alla resa dei conti sul dissenso sul gender

Giulio Meotti

La società accusata di essere “istituzionalmente transfobica”. La direttrice delle news corre ai ripari e dice allo staff Lgbt: "Imparate ad ascoltare anche quelli con cui non siete d'accordo"

Fra Dave Chappelle al centro di un caso internazionale per il suo show “The closer” su Netflix accusato di transfobia e le dimissioni della professoressa Kathleen Stock dall’Università del Sussex, “trans” è la parola chiave per capire parte delle nuove guerre culturali. E non potevano non travolgere anche la Bbc

   
Qualche anno fa il  Telegraph lanciò una rubrica trisettimanale, Beebwatch, una sorta di osservatorio dei vizi ideologici dell’emittente inglese, della sua informazione guidata dal pregiudizio politico e culturale. Non è un problema di differenza di idee. Non è neppure appartenenza politica settaria, è piuttosto uno “state of mind”. Questo li ha portati a diventare la bandiera di un politicamente corretto arrivato a un punto morto, come quando nei giorni scorsi la tv inglese ha definito Monty Python “troppo bianco”. La direttrice delle news della Bbc è dovuta correre ai ripari e ha appena detto allo staff Lgbt che devono abituarsi a sentire opinioni con cui non sono d’accordo, dopo che la società ha affrontato le accuse dei propri dipendenti di essere “istituzionalmente transfobica”.

   
Fran Unsworth, che dovrebbe lasciare la Bbc a gennaio, si è dovuta giustificare per la decisione della grande emittente inglese di rompere i rapporti con Stonewall, la più nota ong Lgbt del Regno Unito. Un giornalista della Bbc presenta all’incontro  ha raccontato al Telegraph: “A me sembrava che Fran dovesse spiegare il giornalismo agli idioti”. Tutto è nato dopo un recente servizio della giornalista della Bbc Caroline Lowbridge, che ha intervistato donne lesbiche che si sono sentite “pressate e costrette ad accettare le donne trans per fare sesso”. Sedicimila persone hanno firmato una lettera aperta chiedendo le scuse della Bbc. La colpa della tv è stato poi aver mandato in onda un documentario molto critico di Stonewall, la cui presidente Nancy Kelley sulla Bbc a giugno era arrivata a paragonare la critica all’identità di genere all’antisemitismo.

  
A maggio, quaranta attiviste per la libertà di parola avevano scritto al Times che dozzine di donne in Inghilterra hanno subito azioni disciplinari sul lavoro per aver messo in discussione la teoria transgender. Le attiviste affermano che i datori di lavoro di un quarto dei lavoratori britannici si sono iscritti al programma “Diversity Champions” gestito da Stonewall. Significa che se le persone mettono in dubbio ciò che gli attivisti chiamano “legge di Stonewall” - secondo cui “le donne trans sono donne” e “gli uomini trans sono uomini” - rischiano la sanzione.

   
La portata di tale influenza è sorprendente, commentava Melanie Phillips sul Times di ieri. “La Bbc, che puntava a diventare uno dei ‘campioni della diversità’ di Stonewall, ha riformulato le sue linee guida per ridefinire il sesso come genere. È difficile pensare a un altro gruppo di lobby che si è infiltrato così a fondo nell'establishment e nella classe dirigente. Quindi invitare Stonewall a stabilire l’agenda della Bbc non è stato visto come un abuso improprio dell’etica giornalistica, ma come un semplice rafforzamento di diritti incontestabili”. 

 
Tranne che non erano incontestabili. “E così il movimento per liberare i gay dall’intolleranza si è trasformato in un veicolo per l’intolleranza” commenta Phillips. “I fornai cristiani sono stati trascinati in tribunale per essersi rifiutati di cuocere torte che promuovevano il matrimonio gay. Le scuole ebraiche ortodosse che non toccano mai la questione del sesso sono state incaricate di insegnare ai loro alunni l’omosessualità”. Invitata  da Stonewall a un incontro per spiegare il suo punto di vista, Phillips ha detto loro che “la vita familiare tradizionale era il fondamento dei valori britannici di libertà individuale e responsabilità sociale che creavano una società civile funzionante”. Ma molto è cambiato. “Non è più possibile adottare la posizione liberale secondo cui la vita sessuale delle persone è affar loro, ma questa agenda è dannosa. I sentimenti ora hanno la meglio sul bene comune. Per invertire il motto degli anni Sessanta, il politico è diventato personale”. 

 
Una deriva che ha spinto anche Matthew Parris, uno degli storici fondatori di Stonewall, a scrivere che la società non è più intollerante e che non ci sono più ragioni per sentirsi vittime. Ma oggi, dice Parris, “Stonewall ha perso la sua strada. Il sole che tutti pensavamo di aver visto si è perso dietro nuvole di rabbia, intolleranza e partigianeria”. 

 
Neanche la tv che ha una statua di George Orwell all’ingresso poteva non vederle.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.