In libreria
Tutto è più di ciò che sembra nel romanzo "Tu credi che io dorma"
La danza dell’indicibile, vera essenza di una letteratura allusiva e labirintica, nel libro edito da La Nave di Teseo
C’è un’ardente scena biblioerotica nella terza parte di “Tu credi che io dorma” (La Nave di Teseo, pp. 141, euro 17), il nuovo romanzo di Luca Doninelli. Una scena che nulla ha a che vedere con ciò che, nell’opinione generale, si considera ormai scrivere, ossia metter sull’attenti una parola dopo l’altra per – brividi solo a scriverlo – comunicare. Una scena che ha, semmai, la qualità propria della letteratura, al punto che la si riconosce subito, perché già dall’inizio, già dalle prime righe (ma questo accade lungo tutto il romanzo, non solo nella parte che stiamo raccontando) tutto è più di quel che sembra, tutto rimanda, tutto allude. Una scena, insomma, che fa perfettamente il suo mestiere, e anziché soffermarsi su ciò che i due protagonisti fanno, lascia che sia tutto il resto a dire di loro, raccontando lo spazio e l’aria intorno, e aprendo la danza dell’indicibile.
I personaggi in questione sono due: Henri Balard, docente di Letterature comparate, quarant’anni, occhiali rotondi e sposato (infelicemente già dal viaggio di nozze) con Hélène; e la sua amante Laure Lasserre, a sua volta sposata malamente, direttrice di biblioteca universitaria, voce grave, gambe lunghe, orecchie sottili, insoddisfazione cronica e cronica predisposizione alla soddisfazione del capriccio. La scena comincia quando Laure contatta il professore per invitarlo a tenere tre lezioni di Letteratura francese. E Henri accetta. Il luogo in cui si svolge è la sala di consultazione della biblioteca nella quale il professore raccoglie gli ultimi appunti per le lezioni concordate, una bella sala rettangolare con quattro finestre. “Nessun problema. Faccia conto che io non esista”, dice Laure nel portarcelo, “e mi chiami appena avrà finito”. Henri lascia la porta socchiusa. Intanto, “la luce accesa del salone stendeva una sottile ma vivida striscia gialla nel buio del disimpegno per disegnarsi lungo il muro adiacente, come lo stelo di un fiore fatto di luce”.
Si fa notte. Henri ha finito, si alza. La porta è socchiusa, non un rumore, non un segno dell’esistenza di Laure. Ma lui sa che lei c’è e lei sa che lui è là dove si trova. Ed ecco che un tormento li afferra, li possiede, così i due corpi vengono a sapere, nel medesimo istante, l’uno dell’altro. Due fiamme si parlano. Henri spegne la luce e accende un’abat-jour. Laure vede che la striscia di luce – lo stelo – è scomparsa e al suo posto se n’è accesa una più tenue. “Allora si alzò”, scrive Doninelli, “e si diresse verso il salone, dove migliaia di eroi miscredenti e di eroine lascive erano scesi dalle pagine dei libri e danzavano, invisibili, intorno a Henri”. Al lettore il piacere di continuare e di comparare, ma è difficile ricordare una dichiarazione d’amore più grande, alla vita, al sesso e alla letteratura. Perché galeotto non fu il libro, ma tutti i libri. Galeotta la vita che collabora con la letteratura e viceversa. Galeotto lo specchio che siamo, in cui si riflette il gioco di tutte le altre esistenze.
“Tu credi che io dorma” è un romanzo-dedalo da cui spira, salubre, il piacere di raccontare. Ma è anche un flipper, che fa rimbalzare chi legge nel tempo e nello spazio, proiettandolo in un gioco di allusioni infinito, e che, con esuberante generosità narrativa – “si scrive per celebrare la forza della vita”, ha dichiarato una volta lo scrittore – non teme di incrociare quattro storie non contemporanee: quella di un bambino che si è perso in treno, di un editore americano che insegue una scrittrice fino a Cormano, di due fratelli americani in una casa nella prateria, del professore e la bibliotecaria, di un prete ortodosso alle prese col suo carnefice che gli si confessa. Le trame planano l’una verso l’altra, si sfiorano e poi vanno altrove, ma l’altrove non è mai l’altrove, e sempre lo stesso è il mistero labirintico dell’esserci, l’eco di qualcosa in tutto il resto, perché il tempo non è che il medesimo istante. E siamo tutti raccontati, tutti sognati da una storia che era – è – nell’aria.