Il Foglio del weekend
Guida al nuovo perbenismo
Come si mangia, si beve e ci si intrattiene da quando il mondo è governato dalle nostre ipocrisie. Un dizionario
Zitto. Non fate domande. Dire quello che dice la folla è sempre la regola migliore, in questi casi.
- E nel caso le folle siano due? – chiese Mr. Snodgrass.
- Urlate con la più grossa – replicò Mr. Pickwick.
C. Dickens, “Il Circolo Pickwick”
Fumantino è fumantino Carlo Calenda, sia nel senso del carattere sia del tabagismo. Perciò nessuna sorpresa ma tanta indignazione se al suo esordio in Consiglio capitolino, pochi giorni fa, ha rimosso un cartello di “Vietato fumare” in cortile e ha tirato qualche boccata durante una pausa, emulato dagli stessi giornalisti che lo avrebbero raccontato. Gli costerà una multa o più il gesto che la stampa ha riportato – addirittura – come “attitudine da agent provocateur”, definizione riservata un tempo agli anarchici malatestiani o ai primi exploit dei radicali. Il neoperbenismo degli asterischi e dello schwa, del multiculturalismo e dell’ideologia woke, avrebbe manifestato più indulgenza se il leader di Azione si fosse acceso una canna. Anzi, nell’aureo dizionario di Giuseppe Culicchia, E finsero felici e contenti, si rileva che “non farsi le canne all’università, ma che dico, alle superiori, anzi, alle medie, e perché no, alle elementari, non è solo da sfigati ma inevitabilmente suscita sospetti: chi è contro la liberalizzazione infatti è un fascista. Si raccomanda di farsele anche a cinquant’anni la sera in compagnia dei figli”.
Molto peggio sarebbe, davanti ai ragazzi, uscirsene con un proverbio popolare orecchiato dalla nonna ma magari sessista. Saranno infatti i proverbi la nuova crociata annunciata da Laura Boldrini con l’uscita del suo libro. E pensare che nel secolo scorso gli etnomusicologi di sinistra battevano col magnetofono le campagne per preservare motti e canzoni tradizionali, Rocco Scotellaro intervistava i bufalari della Piana del Sele mentre gli esponenti di opposto colore storcevano il naso. “Ora per un paradosso persino divertente è avvenuto un rovesciamento”, osserva Culicchia: “Ricordo il Male, Frigidaire, il Festival di Re Nudo al Parco Lambro, insomma la libertà che si respirava negli anni Settanta malgrado il dramma della lotta armata. Se Andrea Pazienza disegnasse oggi, le sue strisce non passerebbero il vaglio dell’inquisizione contemporanea. Solo che i censori stanno a sinistra”.
A metà del secolo scorso, i buoni borghesi s’indottrinavano sulle guide pratiche di belle maniere di Elena Canino e Willy Farnese (pseudonimo del giornalista Giovanni Ansaldo), roba che adesso finirebbe all’Indice per somma scorrettezza. Resta invece spendibile il Dizionario dei luoghi comuni del sommo Gustave Flaubert per figurare bene anche tra i woke del Duemila.
Ecco alcuni orientamenti essenziali per convivere all’insegna della finezza in una società che tende, ça va sans dire, a evolversi sempre verso il migliore dei mondi possibili.
I piaceri della tavola
Una ‘Vera Signora’, “se qualcuno dei commensali fa onore al pranzo, lo ringrazi con un fugace sorriso; con chi è svogliato non insista”, semplificava Elena Canino nel suo noto manuale. Oggi un invito perbene a pranzo o a cena presume maggiore attenzione né può essere diramato erga omnes per evitare imbarazzi, discriminazioni e recriminazioni. Pullulano allergie, patologie e ideologie ignote all’epoca di quel libro; pietanze sconosciute ai classici della gastronomia d’antan si sono imposte e altre sono precluse ormai dal sentire comune. E’ pertanto consigliabile chiedere in via preventiva a ogni singolo ospite se sia intollerante al glutine, celiaco, vegetariano, vegano, fruttariano, se stia sperimentando nel frangente una settimana di alimentazione ayurvedica, se pratichi astensioni da specifici ingredienti per motivazioni etiche, ideologiche o consegnate una volta agli sparuti fioretti della Quaresima.
“Dovendo commentare l’indomani con chi non è venuto com’è andata la serata”, raccomanda lo sceneggiatore Marco Tiberi, “specificare che ‘ci siamo divertiti, c’eravamo tutte e tutti’, formula che scongiura il sessismo”. Ulteriore consiglio: “Occhio ai calzini, perché si va diffondendo la tendenza nipponica di domandare agli ospiti di lasciare le scarpe all’ingresso”.
Come si beve perbene
La borraccia termica, di foggia e prezzi variabili, rappresenta un’alternativa ecologica all’uso della plastica. Prediligere perciò l’acqua erogata dal dispenser aziendale alle bottigliette del distributore automatico. La borraccia fa pendant con il mug, preferibilmente associato a un bollitore per la preparazione di tisane depurative. L’impatto ambientale è ridotto, quello sull’ambiente di lavoro è maggiore soprattutto rispetto ai colleghi retrogradi che si ostinano ad attingere alla macchinetta Coca-Cola o caffè. Precursori inconsapevoli del futuro, i guardiani di notte già negli anni Sessanta si portavano da casa il thermos col cappuccino o la bottiglietta di cedrata riempita di caffè; gli infermieri di turno si quotavano per condividere una Moka e il fornellino elettrico; i tipografi si provvedevano di latte caldo. Allora la borraccia ce l’avevano i soldati, invidiati dai bambini che perciò fecero i campeggiatori da grandi. E ce l’avevano i ciclisti, che sportivamente se la passavano l’un l’altro sulle salite impervie del Giro d’Italia.
In bicicletta
La Canino la consigliava alla “Vera Signora” rispetto al “motoscooter”, “anche se”, notava, “è un po’ passata di moda, rimasta retaggio degli operai che tornano dal lavoro, dei parroci che si recano nelle frazioni della parrocchia. L’attitudine di chi va in bicicletta – proseguiva la romantica autrice – conserva la modestia di quel consumare la strada a poco a poco, e impone il rispetto di ogni buona fatica”. L’improbabile dubbio, che l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi fosse stata contagiata dalla vetusta lettura quando deliberò la moltiplicazione delle piste ciclabili, non sfiora chi si trova a passare per lo strozzatissimo viale Aventino direzione Circo Massimo. A sinistra non corre nemmeno un ciclista, ma ciò che residua della carreggiata è intasato dal traffico un tempo scorrevole. Ai ciclisti di città si suggerisce la bici pieghevole, che può essere riposta dietro la scrivania d’ufficio e non fa più “effetto parroco” (l’unico prete ancora in bicicletta è stato Don Matteo). Tantomeno operaio. Chi si ostina a risiedere nei sobborghi e lavorare in centro, magari in presenza, si arrangi coi trasporti pubblici o la macchina. Ma almeno sia ibrida.
Strade pulite
Seguendo l’invito di Alessandro Gassmann, armarsi di ramazza, paletta e sacchi formato condominio per spazzare almeno una volta a settimana la strada prospiciente la propria abitazione, meglio se di venerdì per onorare i Fridays for Future (a spazzare gli interni domestici ci pensa la colf, anzi collaboratrice domestica ovvero quella che la Canino ancora definiva impropriamente “cameriera”). Al sabato mattina prendere l’aereo per un weekend rilassante lunedì incluso. Si sa che i Boeing inquinano ma mica si può andare a piedi a Ibiza. Inoltre, Flaubert puntualizzava già nell’800, un viaggio “deve essere fatto rapidamente”.
La buona educazione
Poiché l’uso avvizzito del lei persiste in vaste sacche del consesso civile, alcuni sessantenni cosiddetti boomer provano disagio quando il ventenne cassiere del Carrefour li apostrofa: “Ciao caro!” mentre svuotano il carrello. Sarebbe più pratico abolire il “lei”, assieme al “voi” così diffuso nelle plaghe meridionali, per semplificare tutti i rapporti con un equanime “tu”. Riguardo al “caro”, appellativo un tempo riservato agli intimi, è stato riciclato nella differenziata del lessico per rivolgersi agli estranei di cui s’ignora il nome, un po’ come Jerome K. Jerome proponeva l’aggettivo “angelo” per elogiare senza figuracce neonati di cui non si capiva il sesso. (I boomer già iscritti al Pci, adusi al trasversale “Ciao compagno!”, avvertono al Carrefour anche un senso di sdegnata nostalgia).
Compagni di scuola
In presenza o in dad (per la versione cyber) il bullo rientra nella quota fisiologica di ogni consesso scolastico. Lo sconsiderato consiglio di Willy Farnese ai genitori ricalcava quello paterno al futuro ministro Anthony Eden oggetto di nonnismo in un college inglese: “Voi non siete finora buono a niente ma vi è ancora possibile diventare un uomo grande e buono”. Tradotto dal gergo dei lord: “Purtroppo adesso ti tocca, perciò impara a difenderti”. L’attualità prevede invece una denuncia sulla chat di classe, l’assalto al preside, il ricorso allo psicologo e/o alla polizia postale. In epoca più barbara, Farnese suggeriva al “Vero Signore” di domandare al figlio tornato con un occhio pesto: “Ebbene, ragazzo mio, com’è andata? Le hai date anche, o le hai solo prese?”.
Padri & padroni
In un arco di tempo imprecisato ma recente, i padroni dei cani si sono trasformati nei loro papà, stando almeno a come chiamano se stessi nei gruppi Facebook che raccolgono, a migliaia, gli appassionati delle varie razze. Non meno solerti le relative mamme, in base al principio che i figli sono di chi li cresce e non di chi li fa. I genitori putativi dei cani impiegano il tempo a condividere questioni di veterinaria – che la scienza ufficiale non ha ancora fuso con la facoltà di medicina umana – o a litigare sulle prassi educative. Biasimevole chi, avendo letto Konrad Lorenz, tratta gli amici a quattro zampe come se non fossero bambini. Purtroppo la vita media di un cane è assai più breve della nostra, salvo certi volpini nani del vicinato che abbaiano furiosi da circa un ventennio a ogni mosca in balcone (a maggior ragione a voi) e di cui cominciamo a paventare l’immortalità. In caso di lutto, il post che annuncia la perdita raccoglie messaggi di condoglianze nello stile elegiaco dei cimiteri ottocenteschi.
Assume toni meno retorici e più esoterici l’universo dei gatti, in sintonia con la natura dell’animale (absit iniuria verbis) e in accordo a considerevoli precedenti tra cui i misteri di Osiride e la stregoneria medievale. I felini non acchiappano più i topi, ma un sacco di like.
Cinghiali e corride
Una specie di rito commemorativo coi lumini al parco fu celebrato dopo l’abbattimento di un cinghiale a Roma. La mutata sensibilità verso il regno animale, favorita dalla sempre minore dimestichezza con gli ambienti rurali (salvo gli agriturismi), porta a considerare solo scarafaggi, zanzare e (forse) ratti passibili di morte. Esecrabili perciò il Palio di Siena o peggio la corrida, imperdonabile passione di Orson Welles, Hemingway, Camus, Picasso, García Lorca. Spettacolo più che crudele crudo, argomenta il filosofo Fernando Savater, perché “la realtà che vi si mostra è la realtà della morte, la cui certissima premonizione costituisce l’elemento chiave su cui si fonda la nostra coscienza umana”. Gli ha fatto eco Alessandro Barbano in un articolo di qualche giorno fa: “Nell’universo esistenziale la tecno-ideologia si traduce nell’idea di sterilizzare il dolore della vita”. Vendere biglietti per mattatoi e aziende avicole al fine di proibire anche quelli.
Televisione
Il neoperbenista ideale deve precisare di non possederla o almeno non guardarla, specie in occasione dei Festival di Sanremo fino a quello prima dei Maneskin e dei talk show (che però vanno commentati su Twitter il giorno dopo). Ammesse eccezioni come Blob, Crozza e Zoro perché intelligenti.
Ben diverso è il discorso per le serie tv: “Non guardarle”, avverte Culicchia, “significa per gli adulti ritrovarsi tagliati fuori dai discorsi degli altri adulti alla pari dei bambini a cui non è consentito stordirsi coi cartoni animati, che si ritrovano tagliati fuori dai discorsi degli altri bambini”. “Studiarsi Bridgerton su Netflix”, consiglia Tiberi, “per l’ambientazione in un Settecento inglese che la presenza di nobili di pelle nera rende inverosimile ma rettificato”. Nemmeno da perdere l’imminente I Ferragnez, con la scusa dell’interesse sociologico.
Scienziati
“Prenderli in giro”, suggeriva Flaubert anticipando i No vax la cui ragione di vita, ricorda Culicchia, sono i vaccini: “Affermare: ‘Non sono altro che una fonte di guadagno per Big Pharma’. Sottolineare: ‘Quello contro l’idiozia non esiste’”.
Caldeggiata la lettura o rilettura di Bouvard e Pécuchet. Dentro c’è tutto.
Il segreto più importante
E’, come sanno i militanti della Sincerità, quello di “essere se stessi”, con cui si pone termine al vergognoso stress di un tempo, quando sapendo di non essere nessuno ti sforzavi di imparare e migliorare. Mantra elogiativo con cui nei talent show si surroga la desolante carenza di virtù: “Però si vede che è se stesso”. Gli sbagli non fanno più paura, basta autodenunciarsi dopo averli commessi.
Perché “d’altronde si sa che io sono fatto così”: una persona perbene.