Il caso Anthony J. Broadwater: il buon cinema svela l'errore della cattiva letteratura
L'uomo è stato scagionato dopo 16 anni anni di carcere e venti di gogna come “aggressore sessuale”. La sua storia e la sua condanna nel libro autobiografico di Alice Sebold
Il 2 ottobre 1955, “Revenge” dava il via alla serie “Alfred Hitchcock presenta”. Diretto dal regista medesimo, l’episodio narrava la storia di una coppia: il marito torna dal lavoro, trova la moglie svenuta, malmenata da uno sconosciuto. “Vendetta”, pensa il marito, quando la consorte (Vera Miles di “Psycho”) riconosce in un passante l’aggressore: “Eccolo è lui”. La vendetta viene eseguita. Neanche mezz’ora dopo, l’aggredita vede un altro uomo per strada e punta il dito “E’ lui, è lui!”. A un’età impressionabile venivano i brividi. Come nell’episodio del poveretto che finalmente ha tempo di leggere – fuori c’è il deserto nucleare – e gli si rompono gli occhiali.
A un’età meno impressionabile, l’episodio fa arrivare preparati alla terribile storia di Anthony J. Broadwater, che ha scontato 16 anni di galera. E dopo la galera, la vita segnata dal certificato che lo identificava come “aggressore sessuale”. Dieci giorni fa è stato scagionato da ogni accusa – ma era uscito dal carcere nel 1998. Sono arrivate anche le scuse della ex ragazza che lo aveva identificato e accusato.
Sappiamo tutto di lui (tranne il nome) se abbiamo letto Lucky, il libro autobiografico in cui Alice Sebold racconta lo stupro subìto, mentre camminava in un parco, all’età di 18 anni. Confessiamo di non averlo letto, pur avendo molto apprezzato Amabili resti, il romanzo successivo. Sapeva troppo di memoir e vittimismo: parliamo di letteratura, cosa diversa dalla vita (se non altro, possiamo scegliere i drammi a cui fare attenzione).
Timothy Mucciante è un lettore più attento di noi. Per lavoro – fa il produttore – ha letto Lucky e ha letto una sceneggiatura tratta dal memoir, in vista di un film da girare. Si è accorto che qualcosa non tornava, nella sequenza che va dall’accusa, al confronto all’americana, all’identificazione del colpevole. Che c’entra, direte voi: è una storia vera accaduta in tribunale, Alice Sebold ne racconta lo svolgimento, cosa c’è da ridire?
Non è esattamente così: da un film ci aspettiamo che sia più stringente della vita e che tutti i dettagli debbano tornare. Lo spettatore non deve poter pensare “ma come, la vittima indica qualcuno e la convincono che il colpevole è un altro?”. Drammatizziamo, ma questo è il nocciolo della questione. Le cronache ricordano che a sostenere e rincuorare la vittima c’era l’amica Tess Gallagher, ovvero la moglie di Raymond Carver. Colei che disfece il meraviglioso lavoro fatto sui racconti del marito dall’editor Gordon Lish: taglienti come lame, ora sono irriconoscibili. E Carver è diventato uno dei tanti.
Mr Mucciante ha arruolato un detective privato, tale Dan Meyer, che ha fatto le sue ricerche e ha interrogato lo sventurato Anthony Broadwater, convincendosi della sua innocenza. Gli ha consigliato un avvocato, e le prove – le mancate prove per essere precisi, la tecnica per l’analisi del capello è ora considerata inaffidabile – sono tornate davanti a un giudice. Venti anni dopo aver scontato i sedici anni di carcere, il presunto stupratore è stato dichiarato estraneo ai fatti.
Il film tratto da Lucky non si farà più (il titolo si deve al poliziotto che disse a Alice Sebold, “sei stata fortunata, un’altra ragazza nei paraggi è stata uccisa”). Si farà invece un documentario intitolato “Unlucky”, con Mr Broadwater, il detective e gli avvocati che l’hanno scagionato.
Alice Sebold si è scusata con il poveretto a cui ha rovinato la vita. Nello stesso comunicato lamenta che il vero colpevole resterà impunito. L’editore americano ha tolto il libro dalla circolazione, ormai accade un po’ troppo spesso.
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