Il miglior libro per capire il nazionalismo di oggi è stato scritto nel 1960
Se “il principio di ogni sovranità risiede nella Nazione”, è ovvio che la nazione cessa di essere semplicemente il luogo dove siamo nati e diventa un grimaldello capace di scardinare qualsiasi ordine politico che non abbia nel principio nazionalistico il suo criterio di legittimità. La lettura originalissima di Elie Kedourie
E’ sicuramente uno dei libri più belli che ho letto sul nazionalismo. Una rara capacità di combinare filosofia, politica e storia si associa a un linguaggio sempre cristallino anche quando vengono affrontate le questioni più intricate. Per non dire del realismo che lo pervade in ogni pagina, senza mai una sbavatura ideologica. Sto parlando di Nazionalismo, il libro di Elie Kedourie, pubblicato nel 1960, in questi giorni in libreria grazie a Liberilibri con una magnifica introduzione di Alberto Mingardi: un affresco sulla vita e l’opera dell’autore che, movendo dal suo ebraismo e dalla sua città natale, Baghdad, passando per Londra, dove Kedourie ha studiato e insegnato (la London School of Economics), ci racconta uno spaccato avvincente della storia intellettuale di un’epoca.
Nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino leggiamo che “il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa”. Ecco, secondo Kedurie, il prerequisito della dottrina nazionalista, preparato dall’idea illuminista che la politica dovesse cambiare la società secondo un preciso disegno razionale e che la rivoluzione francese aveva clamorosamente dimostrato come realizzabile. Se “il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione”, è ovvio che la nazione cessa di essere semplicemente il luogo dove siamo nati e diventa invece un grimaldello capace di scardinare qualsiasi ordine politico che non abbia nel principio nazionalistico il suo criterio di legittimità. Come dice Kedourie, la volontà nazionale spinge per sua stessa natura all’estremismo; diventa molto più importante di qualsiasi patto o trattato. Non a caso i sovrani europei del Diciannovesimo secolo finiscono per diventare tutti degli usurpatori ai quali non è più dovuta alcuna obbedienza; le relazioni internazionali si surriscaldano; si accendono le rivalità etniche; l’arte e la letteratura diventano strumenti di lotta politica; la lingua, vedi Herder e Fichte, diventa addirittura la prova più eloquente dell’esistenza della nazione; la scuola assurge a strumento politico dello stato al pari dell’esercito, della polizia e del tesoro. Quanto agli individui, la loro libertà si riduce alla volontà di identificarsi nel tutto rappresentato dallo stato, a sua volta espressione di una nazione. Questi, in sintesi, gli elementi che Kedourie pone alla base del nazionalismo.
Nulla di nuovo e di originale, si potrebbe dire. Eppure il libro di Kedourie presenta secondo me alcuni tratti originalissimi sia riguardo ai presupposti filosofici cui viene ricondotto il nazionalismo, sia per il modo in cui le idee vengono intrecciate con la carne e il sangue della storia, guardando non soltanto all’Europa ma anche altrove, soprattutto al medio oriente, senza mai cedere alla “tentazione sociologica”, come la chiama Kedourie, ossia alla tentazione di spiegare i fenomeni storici, non nella loro contingenza, bensì come espressioni di condizioni materiali o “cause generali” che operano nel profondo della storia stessa. Dirò qualcosa sui presupposti filosofici.
Si può certo rimanere sorpresi negativamente dalla scarsa rilevanza che Kedourie attribuisce a Rousseau, forse il principale riferimento per il “volontarismo fanatico” dei rivoluzionari nazionalisti, ma più ancora, secondo me, si rimane sorpresi positivamente dal modo in cui il nazionalismo viene ricondotto a Kant. Almeno tre dei sette capitoli di questo libro sono dedicati al principio kantiano dell’autodeterminazione e al modo in cui, specialmente attraverso Fichte, tale principio diventerà la base del nazionalismo. “L’autodeterminazione, scrive Kedourie, è, in ultima analisi, una determinazione della volontà: e il nazionalismo è, in primo luogo, un modo per insegnare la corretta autodeterminazione della volontà”. Mi rendo conto (ma se ne rende conto benissimo anche Kedourie) che Kant era del tutto estraneo a ogni logica nazionalista. Il suo pensiero morale era rivolto alla razionalità e alla volontà individuali e il suo pensiero politico era fondamentalmente repubblicano. Tuttavia è pur vero che le idee seguono spesso percorsi che il loro artefice nemmeno immagina. Di conseguenza, non soltanto direi che Kedourie non sbaglia affatto allorché legge I discorsi alla nazione tedesca di Fichte come una variante collettivistica del principio kantiano dell’autodeterminazione, ma aggiungerei che la sua lettura ci aiuta anche a comprendere meglio l’ampiezza di questo principio, diciamo pure un lato inedito della sua Wirkungsgeschichte, quale potrebbe essere il nazionalismo, divenuto il peggiore nemico della nazione.
A tal proposito mi si consenta un’ultima considerazione. Nella sua bella introduzione, Alberto Mingardi considera giustamente questo libro di Kedourie come una sorta di continuazione ideale di quanto, circa un secolo prima, nel 1862, era stato scritto da Lord Acton, in un saggio intitolato allo stesso modo: Nationalism. Presagendo quasi profeticamente i danni che il nazionalismo avrebbe procurato al mondo intero e all’Europa in particolare, Lord Acton guardava al sistema inglese della “libertà nazionale” come l’unico modo per salvare la nazione dalle derive nazionaliste implicite nel principio francese della “unità nazionale”, che ne faceva “il modello e la misura dello stato”. Convinto che “la combinazione di diverse nazioni in uno stato è una condizione di civiltà tanto necessaria quanto la combinazione degli uomini nella società”, Acton arrivò a sostenere che “gli stati sostanzialmente più perfetti includono varie nazionalità distinte senza opprimerle. Imperfetti sono invece quegli stati nei quali non si ha miscuglio di razze, e decrepiti quelli che non ne risentono più gli effetti”. Le pagine che Kedourie dedica a Stuart Mill e allo stesso Lord Acton sono la riprova di quanto egli fosse sulla stessa linea. Una ragione in più per leggere questo libro, specialmente se consideriamo i rigurgiti di nazionalismo che continuano a levarsi un po’ ovunque, non soltanto in Europa.