Foto Marco Alpozzi / LaPresse

Scegliere il genere è un diritto dell'uomo. Idee per un dibattito

Franco Debenedetti

Un libro di Preciado offre lo spunto: in una società dove ci sono migliaia di bambini nati in famiglie non eterosessuali e non binarie, non ha senso affermare l’universalità della differenza sessuale

Al direttore - “Misgendering” è il neologismo che significa l’usare pronomi o declinare aggettivi del genere attribuito alla nascita e non di quello scelto in seguito. Fatto per disattenzione, è uno sbaglio di cui scusarsi al più presto, fatto intenzionalmente è un’offesa che può costar cara. È quello che è successo al deputato americano Jim Banks, per aver detto pubblicamente che la promozione a generale a quattro stelle di Rachel Levine, la prima attribuita a un trans, era data a un uomo maschio. Contro di lui, il "j’accuse" dei nostri giorni, i social, che hanno oscurato tutti i suoi account.

 

Per evitare il “misgendering”, alle tavole rotonde o alle conferenze in cui parlano diversi oratori, è diventato prassi chiedere prima a ciascuno con quali attributi vuole essere chiamato, se “he” oppure “she” o l’ambivalente “they”. In Belgio, scrive Giulio Meotti sul Foglio, faranno cadere ogni riferimento al genere dalla carta d’identità: si decreta l’invarianza della persona rispetto al “suo” genere. Etichetta a parte, c’è un problema di fondo. Cambiare genere è una prassi consentita e accettata, o è un diritto fondamentale dell’uomo, come la libertà di parola, di movimento, o come, per restare in un campo affine, il diritto ad avere le proprie preferenze sessuali? Anche tra quelli per cui questa è una libera scelta individuale, ci sono alcuni che hanno difficoltà a considerare allo stesso modo anche il diritto di cambiare sesso, cioè di farne un diritto universale della specie uomo. La ragione, sostengono, è che mentre le preferenze sessuali sono innegabilmente un fatto culturale – da Socrate a Saffo, da Brunetto Latini a Pasolini – e non esiste il gene dell’omosessualità, la scelta di genere deve fare i conti con l’anatomia. Per loro, modificare il proprio genere sarebbe una scelta lecita ma non un diritto universale. La soluzione la suggerisce Paul P. Preciado (“Sono un mostro che vi parla”, Fandango Libri): non dare per scontata l’esistenza naturale della mascolinità e della femminilità, riconoscere la natura “culturale” anche del dato anatomico, ridotto ossessivamente a pene e vagina, cioè a quanto è necessario per la funzione riproduttiva. In questo consiste l’insegnamento che il trans dà a tutti, la necessità di uscire dalla logica binaria, o questo o quello, o uomo o donna. “Fare una transizione equivale a capire che i codici culturali della mascolinità e della femminilità sono aneddotici se comparati all’infinita oscillazione delle modalità dell’esistenza”. L’individuo trans non imita qualcuno, al contrario la sua esperienza è un turbine di energia: ricodifica i significanti politici e culturali senza che sia possibile stabilire la cesura netta tra prima e dopo, tra maschile e femminile.

 

"La differenza sessuale, scrive, non è né una natura né un ordine simbolico, ma un’epistemologia politica del corpo, binaria e gerarchica". È messa in crisi dai movimenti politici delle minoranze dissidenti, è in mutazione: ne sono avvisaglie i movimenti transfemministi, le nuove pratiche di filiazione, di relazione amorosa, di identificazione di genere, del desiderio, della sessualità.

 

Il cambiamento di sesso, che nella nostra mente è una mutazione definitiva, irreversibile, cruenta e invasiva, diventa, nel racconto di Preciado “in sé più facile e più piacevole di gran parte delle esperienze che il discorso dominante propone come obbligatorie ed auspicabili; più facile da realizzare che non un matrimonio monogamo e fedele, che non la gravidanza e il parto. Tutto quel che c’è di terribile e spaventoso nella transessualità non si situa nel processo di transizione in sé, ma nel modo in cui le frontiere tra i sessi puniscono e minacciano di morte chiunque tenti di varcarle”. Il diritto, che ci sembrava quello di scegliere il proprio genere, si rivela essere quello di vivere oltre la legge patriarcale e coloniale, fuori dalla legge della differenza sessuale e di genere, e quindi un diritto del corpo vivente.

 

L’epistemologia della differenza sessuale è relativamente recente. Fino al secolo XVII era dominante quella mono-sessuale, in cui soltanto il corpo e la soggettività maschile erano riconosciuti anatomicamente perfetti: non c’erano donne, c’erano solo madri in potenza, la ginecologia si riduceva all’ostetricia. È recente la nuova epistemologia fondata sull’opposizione tra i sessi (pene e vagina, ovaie e testicoli, cromosomi X e cromosomi Y). È recente la psicoanalisi, target principale di Preciado, lui stesso uno psicoanalista trans.: “l’edificio freudiano è pensato a partire dalla posizione della mascolinità patriarcale, dal corpo maschile eterosessuale inteso come un corpo con un pene erettile, penetrante ed eiaculante”. Con Edipo e il suo desiderio incestuoso, la psicanalisi ha contribuito alla stabilità della dominazione maschile, non ha fatto nulla per eliminare l’epistemologia del genere binario, ma al contrario ha inventato pratiche terapeutiche che dovrebbero “normalizzare” le posizioni di uomo e donna. e le loro identificazioni sessuali, quelle dominanti e quelle devianti.

 

È solo negli anni ’60 che la nozione di sesso come realtà anatomica viene accantonata, sostituita da John Mesley con quella di identità di genere, a indicare la possibilità di produrre tecnicamente la differenza sessuale. Cade il binarismo, ci si accorge che “esiste una molteplicità di corpi e di morfologie, ma anziché cambiare l’epistemologia, si decide di cambiare i corpi, di normalizzare le sessualità. e di rettificare le identificazioni”. Per coloro che rifiutano di vivere seguendo le norme della differenza sessuale patriarcale è un calvario: perseguitati da polizia e magistratura in quanto criminali in potenza, patologizzati dall’apparato psicanalatico, sottoposti a lobotomie, terapie ormonali, elettroshock. Per Preciado è un progetto di sterminio politico quello contro le minoranze dissidenti, da parte di un regime per cui conta la differenza tra desiderio naturale e quello “contro natura”. Il problema è l’“inversione”: gli omosessuali uomini sono maschi effeminati, le lesbiche donne mascoline. “E se non fosse cosi chiaro che esistono solo peni e vulve, se ci fossero bambini con una vulva, e bambine con un pene, se ci fossero più di due sessi?”.

 

Con l’emancipazione della donna, la depatologizzazione dell’omosessualità, la commercializzazione della pillola anticoncezionale, la politicizzazione delle posizioni di genere non binario, l’epistemologia della differenza sessuale è diventata un problema politico. L’Oms riconosce la dimensione arbitraria e non naturale della tassonomia binaria. Diversi Stati nordamericani, l’Australia e Argentina riconoscono il genere non binario come possibilità politica, in Germania è possibile un terzo sesso come assegnazione sessuale. L’epistemologia della differenza sessuale è in mutazione, se ne deve inventare una nuova che consenta la redistribuzione della sovranità e il riconoscimento di altre forme di soggettività politica. La domanda se quello di scegliere il proprio genere sia un diritto dell’uomo o no sembra radicarsi in un tempo che abbiamo passato e non tener conto di quello che tecnicamente, socialmente e politicamente stiamo vivendo. In una società in cui è legale cambiare genere o identificarsi come persona di genere non binario, in una società dove ci sono migliaia di bambini nati in famiglie non eterosessuali e non binarie, non ha senso affermare l’universalità della differenza sessuale.
 

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