Il simbolo del dissenso della Ddr contro il bla bla della cancel culture

Giulio Meotti

“Chi dimentica la storia è condannato a ripeterla”. Da Berlino est a Berlino woke, la crociata pol. corr. contro il ‘pensiero sbagliato’ riemerge nella società di oggi

“Ciò che oggi si chiama wokeness (risveglio) ieri veniva chiamata vigilanza rivoluzionaria. Sei circondato da un mondo di nemici. Nella Ddr veniva fatta la distinzione tra controrivoluzionario soggettivo e oggettivo. Nella Ddr si poteva fondamentalmente acquisire solo la propria cultura, cioè quella degli sfruttati e degli oppressi. Il resto cadde sotto i colpi della cancel culture”. Ha scritto così Kerstin Decker sul Tagesspiegel. E se c’è un’icona del dissenso della Germania dell’est quello è Wolf Biermann.

 

Ha appena compiuto 85 anni, ma non vuole andare in pensione. Così pubblica il libro “Mensch Gott!”. “Che io creda o meno in Dio non ha molta importanza”, scrive il poeta e cantautore che la Ddr provò a far tacere con la messa al bando e l’esilio a ovest. “Poiché vivo in una cultura ebraico-cristiana in Europa, devo tenermi in contatto con questo Dio”. Nel suo libro, Biermann affronta anche temi di attualità come la cancel culture: “Se le persone non riescono a cambiare radicalmente le loro condizioni di vita in meglio, cambiano l’uso della lingua, allora questo è un sostituto bla bla bla”.

 

Nei giorni scorsi un’artista che è stata “cancellata” dalla Royal Academy of Arts dopo che gli attivisti l’hanno accusata di “transfobia” ha affermato che ostracizzare le persone per le loro opinioni è “un’assurdità della Guerra Fredda”. Jess de Wahls al Times dice che una censura simile c’era nella Germania dell’est, dove è nata. “Sono cresciuta a Berlino est”, ha detto De Wahls. “La cartella d’arte, a scuola, la possiedo ancora ed è piena di bandiere comuniste, colombe della pace e bandiere della Ddr. C’è un disegno di tre bambine che si tengono per mano: una bianca, una bruna, una gialla; perché sotto il comunismo ‘tutti sono uguali’. Ma di certo non eravamo liberi di pensare e fare ciò che volevamo. L’idea del ‘pensiero sbagliato’ è qualcosa che, in modo preoccupante, è tornata. E la sua crescente prevalenza mi spaventa a morte. Chi dimentica la storia è condannato a ripeterla”.

 

Il Balletto di stato di Berlino ha appena cancellato “Lo Schiaccianoci” di Tchaikovsky in ossequio al politicamente corretto e alle accuse di razzismo rivolte al capolavoro della musica russa. Biermann ha visto di cosa fosse capace questa cultura quando hanno aggredito un amico socialdemocratico che fu licenziato dal ministero della Cultura della Ddr per avere rifiutato di firmare una dichiarazione proprio a favore della cacciata dal paese  di Biermann. “Quanta identità può assumere la società?”, ha chiesto Wolfgang Thierse in un articolo per la Faz. “I dibattiti su razzismo, postcolonialismo e genere stanno diventando più intensi e aggressivi. La pluralità non è un idillio, ma è piena di controversie e di potenziali conflitti”.

 

Presidente del Bundestag dal 1998 al 2005, Thierse ha ricevuto una violenta opposizione da parte di gruppi lgbt e antirazzisti. La presidente dell’Spd, Saskia Esken, il partito di Thierse, si è “vergognata” delle parole del collega. “Non possiamo più parlare liberamente e disinibitamente senza essere insultati e sospettati di essere reazionari e omofobi”, ha detto Thierse alla Zdf. “Solo perché sono bianco, perché vivo in Europa e in Germania, sono già colpevole”.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.