Dalla Bibbia a Tebe, fino a oggi: le origini ataviche dell'odio fratricida
Il primo delitto si consumò all'interno di una famiglia. Oggi la crisi della natalità e la caduta dei modelli sociali ha spostato verso l'esterno le pulsioni violente: così è possibile spiegare il delitto del Circeo, l'omicidio Varani e il pestaggio brutale di Willy Monteiro Duarte
Il primo delitto che ha segnato la storia umana è avvenuto all’interno della famiglia e come viene raccontato nella Genesi l’invidia e la gelosia hanno spinto Caino a uccidere il fratello più piccolo Abele. Nel corso dei secoli, questi delitti famigliari si sono ripetuti, da Romolo e Remo fino a giungere ai due fratelli gemelli, figli di Edipo, Eteocle e Polinice. I due fratelli gemelli vengono rievocati da Dante nel Canto XXVI dell’Inferno quando accede al cerchio dei consiglieri fraudolenti e si trova di fronte a una fiamma biforcuta, che gli ricorda il fuoco della pira per i corpi di Eteocle e Polinice che si erano uccisi in battaglia lottando fra loro per il trono di Tebe.
Lo scontro fraterno nasce dalla competizione e dall’invidia, ognuno dei fratelli vuole primeggiare in famiglia e si sente minacciato dall’altro, che gli potrebbe sottrarre non solo l’amore e le ricchezze dei genitori ma anche i privilegi sociali e il potere. Se questo riguarda il mondo fraterno, il conflitto fra gemelli è ancora più drammatico; fin dall’inizio della vita hanno dovuto lottare per garantire il proprio riconoscimento e i propri diritti all’interno della famiglia.
Nonostante sia un conflitto che ha contrassegnato molte famiglie, il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, ha posto al centro dello scenario umano il complesso di Edipo, in cui la contrapposizione emerge nel rapporto tra figli e genitori. E’ singolare che Freud, pur avendo avuto una famiglia estremamente numerosa con sette fratelli e sorelle e tre fratellastri, non abbia costruito una teoria del mondo fraterno.
Nel caso di Eteocle e Polinice, il loro destino fatale non dipende solo dalla lotta per il trono di Tebe, perché appartengono a una famiglia che si era macchiata di delitti terribili fin dal nonno Laio, Re di Tebe. La sua era una storia cupa: aveva abusato di un giovane che poi si era suicidato e poi aveva abbandonato il proprio figlio appena nato, Edipo, sul monte Citerone per farlo morire. Edipo a sua volta, sopravvissuto all’abbandono, era stato adottato dal Re di Corinto e poi senza esserne consapevole si era scontrato col padre Laio uccidendolo e poi congiungendosi con sua madre Giocasta, da cui aveva avuto quattro figli, fra cui i due gemelli. Era una stirpe maledetta e le colpe e i delitti delle passate generazioni continuavano a infettare la psiche dei figli e dei nipoti, che rivivevano inconsapevolmente gli scenari del passato.
Ma questi conflitti fra fratelli sono ancora oggi così forti nelle famiglie, nonostante siano cambiate così profondamente. Il padre non è più la guida indiscussa e autoritaria, spesso è una figura debole e remissiva. E’ quello che ha messo in luce lo psicoanalista tedesco Alexander Mitscherlich già negli anni 60 del secolo scorso nel suo libro “Verso una società senza padri”, in cui spiegava che al modello patriarcale della famiglia si stava sostituendo un modello “fatriarcale”, in cui prevaleva la competizione esasperata tra fratelli. Come lui stesso scrive, il conflitto principale non è quello della rivalità edipica col padre, ma dell’invidia verso il fratello, che ha avuto più privilegi.
Oltre a questa mutazione si aggiunge il fatto che oggi si fanno sempre meno figli rendendo le dinamiche tra fratelli quasi irrilevanti. Secondo i recenti dati dell’Istat il 50 per cento delle famiglie che hanno figli ne hanno uno solo, senza un fratello a cui contendere il primato. Questo ha provocato probabilmente lo spostamento dell’invidia e della lotta per la supremazia nei gruppi dei coetanei, sempre più decisivi durante il periodo dell’adolescenza. Lo scenario sociale è cambiato, per cui la competizione non si sviluppa più all’interno della matrice famigliare, ma nei gruppi di coetanei, in cui non ci sono gli adulti in grado di porre dei limiti e fornire modelli di identificazione.
Di questa nuova stagione le prime avvisaglie allarmanti ed estreme sono comparse col massacro del Circeo nel 1975, raccontato nel libro di Edoardo Albinati “La scuola cattolica”. Questo massacro ha mostrato a quali livelli di efferatezza e di violenza avevano potuto giungere i giovani protagonisti, che provenivano da ambienti borghesi, in bilico fra un’educazione religiosa più che tradizionale e una malintesa liberazione sessuale. Attraverso il sesso si esprimeva ogni pulsione, come scrive Albinati, “vendicativa, rivendicativa, esibizionistica, identitaria” che si colorava di morte, con cui esercitare il dominio sull’altro, a cui non veniva riconosciuta una fisionomia umana, ma solo una carnalità corporea da assoggettare e annullare. Nel 2016, circa 40 anni dopo si ripete una violenza inaudita da parte di due giovani di famiglie borghesi, che seviziano per ore un ragazzo di borgata addirittura sconosciuto, che giunge casualmente a casa loro, torturandolo a morte in modo lento e terribile in un’escalation di alcol, droga e sesso, come viene poi raccontato da Nicola Lagioia nel libro “La città dei vivi”. Questa violenza fa pensare anche a un altro fatto di cronaca recente: Willy Monteiro Duarte, ucciso mentre cerca di difendere un amico. Una scarica ingiustificata di colpi sul povero ragazzo, violenza per la violenza, quasi per annullare la sua stessa presenza fisica.
Ci troviamo in uno scenario molto diverso da quello tebano, in cui si poteva riconoscere un’intenzionalità delittuosa non sempre conscia rivolta verso le figure della famiglia. In queste situazioni attuali viene invece da pensare al delitto casuale in cui vittima e atto delittuoso sono accidentali. Queste pulsioni cieche vengono a volte alimentate dalla crudeltà e dal gusto perverso del dominio e dell’annientamento, sostenute a volte da una confusa ideologia fascista di esaltazione di sé come nel delitto del Circeo o di Colleferro oppure dall’abuso di alcol e droga come nel delitto di Roma. E’ un mondo abitato soltanto dalle proprie pulsioni predatorie e violente, nel quale la stessa presenza dell’altro, soprattutto se più debole oppure di classe sociale più bassa oppure dell’altro sesso, deve essere annullata cancellando addirittura ogni forma di alterità.