l'intervista
La favola di Sarah, duchessa di York
Il suo nuovo romanzo ("Il mio modo di scappare dalla pandemia”), la cancel culture "devastante e inaccettabile" e i "guerrieri della tastiera", sui social e fuori. Diana, la Regina e le tre regole dell'amore (e della vita). Parla Sarah Ferguson
Dietro una porta del più posh tra gli hotel romani, rossa come il colore dei suoi capelli, compare lei, Sarah Ferguson, e per un attimo pensiamo a quel momento in cui Cherie Blair, subito dopo essersi trasferita al 10 di Downing Street col marito Tony, aprì lei stessa la porta a un postino che aveva suonato, senza immaginare che lì fuori, ad immortalarla con quel suo look out of bed (spettinatissima e in pigiama) cerano decine e decine di paparazzi pronti a rendere quel momento unico, un po’ come accadde a Rhys Ifans in Notting Hill.
Fergie la Rossa è lontana da tutto questo – il suo total look Chanel di certo aiuta – ma del suo essere “inglese” ha sicuramente una spontaneità che ci dimostra in ogni sua forma. “Quello che mi piace nell’essere autentica", spiega al Foglio, "è che rappresento solo me stessa, non parlo con un copione alla mano. In un recente discorso che ho tenuto all’università del Bahrain, ho ricordato agli studenti quello fatto da Einstein ai suoi, senza paragoni, ovviamente (ride, ndr). Dopo aver risolto diverse equazioni complicatissime, alla fine disse '9 decimi uguale 91'. Tutti si misero a ridere per il risultato sbagliato, ma lui li interruppe dicendo loro di non evidenziare solo le cose cattive, ma di ricordare quelle buone. Li invitò a osare, a sbagliare, perché – e in questo sono molto d’accordo – solo sbagliando si impara. Bisogna imparare a contestare la vita mano a mano che si presenta. Il vero e unico nemico da combattere è l’ignoranza, ma il problema è che spesso molte persone non sanno di essere ignoranti. L’unico modo per combatterla è imparare, imparando si sbaglia e sbagliare, quindi, non è solo ammesso, ma è necessario”.
Più in forma che mai, è felice di essere tornata nella sua amata Italia che frequenta oramai da anni, complici le amicizie - con la famiglia Della Gherardesca, tra la Toscana e la Puglia, e Tiziana Rocca, tra Roma e la Sardegna e il suo Filming Italy – la sua associazione umanitaria (Children in Crisis) e il suo grande amore “per la cultura e la storia”.
“Il momento che stiamo vivendo – continua – è davvero molto fragile”. La cancel culture, per esempio, è devastante e inaccettabile, per non parlare, poi, delle troppe persone che esprimono giudizi a vanvera. Io li chiamo i guerrieri della tastiera. Sono sui social e non solo. Basta un errore e vieni subito messo alla gogna. Ma c’è una regola: bisogna sempre reagire positivamente e andare avanti. Fidatevi – aggiunge fissandoci con i suoi occhi celesti e sorridendo di nuovo – io me ne intendo”. Parla di storia, in particolare di quella inglese, anche La bussola del cuore (HarperCollins/Harmony), “il mio primo romanzo per adulti dopo 42 libri per bambini. È stata la pandemia che mi ha spinta a partire, erano 15 anni che volevo scriverlo, ma prima non ho mai avuto il tempo. Scriverlo e fuggire dentro questo libro, è stato il mio modo di scappare dalla pandemia”.
Lady Margaret, la protagonista, è una donna impulsiva, diretta e insofferente alle rigide e repressive costrizioni sociali (siamo nella Londra del 1870 circa) e fugge prima che il suo fidanzamento stabilito a tavolino venga annunciato, bandita poi dalla famiglia e dall’alta società. “Non è autobiografico – tiene a precisare – lei è stata solo una pro-zia in cui mi sono rispecchiata. Documentandomi, ho scoperto che si parlava solo dei suoi fratelli e non di lei. Ho voluto a mio modo renderle giustizia”. La sua storia e quella di persone forti e testarde come lei – aggiunge – dimostra che quello che conta è ciò che abbiamo nella nostra testa, nel nostro cuore, a tutti i livelli. È importante ascoltare, farsi delle domande e non subire. Libertà di parola significa proprio libertà di chiedere e di contestare. L’ho sempre fatto, da sposata e non”.
“Non bisogna mai dimenticare che ho realizzato il sogno di qualunque bambina: quello di vivere in una favola, di sposare un principe. Questo va sempre ricordato e quando vai per strada, devi sorridere, perché non puoi spezzare i sogni di quelli che ti guardano pensando che stai vivendo quella favola lì. Mi son sposata il 23 luglio del 1986 assolutamente per amore – aggiunge - lui (il principe Andrea, ndr) era un ufficiale di Marina, Diana era la mia migliore amica da quando eravamo piccole, fu lei a presentarmelo. Avevo potuto vedere quello che lei aveva passato, avevo capito che c’erano delle regole, mi ha insegnato tantissimo. La favola, così, l’ho portata nella mia vita. A prescindere, poi, da quello che è successo poi nella vita reale, io quei sogni non li ho mai spezzati”. Diana – ammette – è stata meno forte di lei e col principe Andrea il matrimonio è finito, ma non certo l’amore, “perché resta e può sempre trasformarsi in altro”. Tre le regole: “Comunicare, dire quello che si desidera; scendere a dei compromessi e e avere empatia, affetto, indulgenza, ascolto”.
“Sono stata abbandonata da mia madre quando ero piccola ed è per questo che non abbandonerò mai nessuno. Non voglio che altri si sentano come mi sono sentita io. In ogni caso, quello che posso dire è che il mio matrimonio e la mia vita a corte sono stati un viaggio molto interessante, ma adesso ne sto cominciando un altro più personale. Di questo libro voglio farne un film, ma dalla parte della produzione (già iniziata con The Young Victoria, Oscar ai Costumi) e magari recitare anche in un piccolo ruolo, chissà. Nel frattempo, a 62 anni faccio la romanziera e ne vado fiera, ma soprattutto, faccio la nonna (di August, avuto da sua figlia Eugenie, ndr)”.
Ha ricevuto qualche consiglio dalla “nonna per eccellenza”? le chiediamo. “Quello che conta nella vita – ci dice prima di salutarci - è l’esempio e ‘la Regina’ (come la chiama lei, ndr) - è un esempio di leadership, un’icona. Con tutti i nipoti è stata ed è eccezionale, un esempio assoluto. Anche questo fa parte della ‘favola’. Ha un grande senso pratico e non si ferma mai. Ha dimostrato la sua integrità e la sua forza durante la Seconda guerra mondiale e continua a dimostrarlo, invitando sempre il suo popolo e la sua famiglia a continuare, ad andare avanti e non avere paura. The show must go on è il suo mantra e anche il mio da quando mio padre non c’è più. Era in ospedale ricoverato per colpa del cancro. Andai a trovarlo e gli dissi che sarei dovuta andare in Australia per lavoro. Mi disse: vai, perché tanto sto andando anche io, The Show must go on. Quando sono atterrata a Brisbane, è morto, ma ero serena nonostante tutto”. È felice di ricordarlo in questo modo, ci fissa di nuovo, si commuove, ma il tempo a disposizione per l’intervista è finito, e lei, pronta per il prossima incontro, torna a sorridere. Lo show, nel senso più buono del termine, appunto, continua.