Il paesaggio come arte. Appunti dalla Biennale di Giarre
Il festival in provincia di Catania coinvolge artisti, architetti e designer. Protagonisti, il Mediterraneo e la natura, da valorizzare come motore di sviluppo immaginando il futuro dell'uomo e delle città
Quali saranno in un prossimo futuro le funzioni del giardino e come sarà progettato? Come saranno e quale ruolo sarà assegnato alle piante, ma – soprattutto - come potranno le stesse riparare ai guasti ambientali ed essere risorsa aggiuntiva di cibo? A queste e a molte altre domande, partendo proprio dall’urgenza di uno sviluppo sostenibile, in chiave economica, ambientale e sociale, ha cercato di rispondere la terza edizione di Radicepura Garden Festival, il primo evento internazionale a cadenza biennale dedicato al garden design e all’architettura del paesaggio del Mediterraneo che coinvolge grandi protagonisti del paesaggismo, dell’arte e dell’architettura, giovani designer, studiosi, istituzioni e imprese.
Siamo a Giarre, in provincia di Catania, in un posto a sé totalmente immerso nella natura più selvaggia e affascinante, a metà strada tra il mare blu e l’Etna che guarda da lontano, ma a cui nulla sfugge. “Progettare le città e gli spazi antropizzati senza violare l'essenza dei luoghi è un obiettivo – spiega al Foglio il Cavaliere Venerando Faro, fondatore di quell’archivio vivente di sperimentazione e formazione che è il Vivaio che porta il suo cognome, 5 ettari di terreno, con 3000 specie di piante e 7000 varietà - e per farlo “è necessario promuovere una cultura dell’abitare capace di coniugare le necessità ambientali con il desiderio dell’uomo di vivere a contatto con la natura in un rapporto di reciprocità e rispetto”. Ai giardini viene così riconosciuta la capacità di riparare, ovvero proteggere e difendere da elementi dannosi, diventando elemento curativo oltre che fonte di ristoro e quiete. “Disegnare e realizzare i giardini di domani – aggiunge - significa immaginare il futuro dell’uomo e delle città” ed è questo uno degli obiettivi del festival che organizza con la sua famiglia, volto anche “a valorizzare la natura come motore di sviluppo del mondo intero attraverso iniziative, eventi e linguaggi culturali, dalla musica alle installazioni artistiche, dalla botanica ai percorsi enogastronomici”. Una celebrazione vera e propria del giardino non soltanto nella sua valenza estetico-culturale, ma anche “per il suo ruolo di luogo ideale per fermare lo sguardo sulle bellezze della Sicilia, dimostrando le potenzialità infinite di un territorio unico con particolarità climatiche, una terra ricca e produttiva sia a livello territoriale che nelle sue componenti culturali”. Culla della autentica mediterraneità, il festival è anche una narrazione completa di quello che è, oggi, un giardino mediterraneo: una casa immaginifica fra colori e profumi fatta di piante resistenti e perfettamente a loro agio in un clima favorevole con piogge infrequenti nelle estati calde e uno iodio che arriva dal mare.
In questi mesi, sono stati tanti gli artisti, gli architetti e designer che hanno visitato Radice Pura e abbellito i suoi 15 giardini, ad esempio Emilio Isgrò, poeta e artista siciliano noto anche per la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1972, protagonista oggi di una mostra a Palermo, a Villa Zito (Dante e la Sicilia), ma anche Marialuisa Prestini e Giuseppe Ricupero, che con Fleurs, giardini degli inerti propongono un'allegoria del rapporto uomo/ambiente. Katy Rennie, Amber Myers e Josie Dalberg, paesaggiste sudafricane, si interrogano sulle sfide del cambiamento climatico con Garden of the Anthropocene; Lucia Angelini con il suo Giardino lineare personalizza una fonte di ispirazione per trasformare anche gli spazi pubblici urbani da luogo di passaggio a luogo confertevole di stay; Ainhoa Elissalde e Virgile Haëck, della Bordeaux Landscape School, presentano il loro Micro To Macro: un invito a riconsiderare la relazione con l'ambiente, mentre Andrea Bartolini, Annunziata Centonze, Lia Maggioli e Dario Trovato, con il progetto Nostos, inaugurano un viaggio ascendente fra le piante erbacee. Ci sono anche Erica Boncaldo e Margherita Pascucci con Plantocene, un paradigma di resilienza vegetale mentre Ivan Juarez sfonda una porta sonora unendo green e sound con un'installazione vivente dal titolo Sensory Landscape.
Ultimo, non certo per importanza, il torinese Renato Leotta, che in questa Biennale d’Arte e del Paesaggio ha esposto le sue fotografie, protagoniste della mostra Appunti sul giardino: capperi, castagni, carrubi, una raccolta di fotografie concepita come una raccolta di appunti attorno alla natura del versante est delle pendici dell’Etna, con protagonista la relazione tra la flora indigena e il vulcano. “Il suo sguardo si è perfettamente sposato con la nostra idea di giardino – precisa Mario Faro, figlio di Venerando, Vice Presidente della Fondazione Radicepura, proprietario anche della splendida cantina Pietradolce sull’Etna - e stupisce la sua capacità di raccontare temi complessi in maniera semplice, grazie alle sue immagini che restituiscono il movimento, l’alternarsi del tempo e di secoli in cui si è costruita la nostra storia mediterranea”. Nei suoi processi di osservazione, l’artista è solito identificare e circoscrivere una serie di immagini, visualizzate attraverso diversi media che, pur essendo in relazione con un tempo e uno spazio specifico, contengono un carattere universale. A Giarre, registrando il processo di caduta della cenere sulla superficie fotografica, è riuscito a produrre con la natura l’immagine del cielo, esempio perfetto di come l’uomo possa operare in armonia con la terra e le immagini registrate raccontano in tal modo il paesaggio misurando il tempo. “Il lavoro diventa, dunque, un’affermazione di unità tra uomo e natura che rende superflua la distinzione tra l’uno e l’altra nella somma del concetto di cultura”, continua Faro che lavora a stretto contatto con Antonio Perazzi, Direttore Artistico dell'evento e architetto paesaggista, e Martina Palumbo, capo della Fondazione RadicePura. La sua collezione di appunti è una riflessione su un aspetto peculiare del giardino Mediterraneo, dove la presenza generosa della natura “assorbe il tempo in una durata indefinita”, scandita “da un continuo rinnovamento”. L’opera dell’uomo è dunque lì e con la natura è protagonista della stessa storia e della stessa cultura mediterranea che si rinnova stagione dopo stagione, comunicando anche un forte senso di appartenenza. Oggi più che mai.