Galeotta fu capri
Un sacchetto di mandorle e una passione, quella tra il filosofo Walter Benjamin e Asja Lacis
Nel mercato di Capri Walter Benjamin conobbe e si innamorò di Asja Lacis, un'attrice lettone che nella Russia centrale, a Orjol, aveva fondato un teatro per bambini proletari
Giugno 1924. Nel mercato di Capri, a una bancarella che vendeva mandorle, Walter Benjamin conobbe la persona destinata a cambiargli la vita. Si chiamava Asja Lacis, una cittadina lettone che dopo aver studiato a Mosca e a San Pietroburgo aveva fondato un teatro per bambini proletari a Orjol, nella Russia centrale, e messo in scena alcune opere al teatro dei lavoratori di Riga. All’indomani della Rivoluzione aveva vissuto l’Ottobre teatrale di Vsevolod Meyerhold e Vladimir Majakovskij. Asja Lacis, regista, militante comunista era inoltre nota per aver svolto un ruolo di mediatrice tra le avanguardie russe e il teatro politico della Repubblica di Weimar.
Nel 1922, a Berlino, era entrata in contatto con la cerchia di Brecht e si era legata sentimentalmente con il direttore e critico teatrale Bernhard Reich. Nell’autunno del 1923 Asja Lacis e Reich avevano seguito Brecht a Monaco, dove lei si era impegnata come assistente alla direzione per la messa in scena alla Kammerspiele della Vita di Edoardo II d’Inghilterra. A Pasqua del 1924, dopo la prima dell’opera, lei e Reich portarono a Capri la loro figlioletta, Daga, perché si rimettesse da un’infezione polmonare. Reich lasciò presto l’isola per andare a Parigi ove aveva impegni di lavoro. Nelle memorie scritte molti anni dopo, Asja Lacis evocò il suo primo incontro con Benjamin avvenuto proprio a Capri. “Andavo sovente con Daga a far spese in piazza.
Un giorno volevo comprare delle mandorle ma non sapevo come si chiamassero in italiano e il venditore non capiva cosa volessi. Si fermò accanto a me un uomo che disse: ‘Posso aiutarla, signora?’. Ebbi le mandorle e me ne andai con il mio pacchetto attraverso la piazza. Il signore mi seguì: ‘Posso accompagnarla e portarle il pacchetto?’. Lo guardai. L’uomo continuò: ‘Permetta che mi presenti: dottor Walter Benjamin’. A mia volta mi presentai. La prima impressione di lui: occhiali che mandavano bagliori come due piccoli fari, folti capelli scuri, naso sottile. Da subito maldestro tanto che il pacchetto da lui voluto portare a tutti i costi gli cadde di mano. In complesso aveva l’aspetto di un intellettuale. Mi accompagnò a casa. Si congedò e chiese il permesso di venirmi a trovare. Benjamin ritornò il giorno dopo e confessò che mi osservava da due settimane”.
Se Asja Lacis fu per Benjamin da subito una infatuazione, ben presto l’afflato momentaneo mutò in qualcosa di ben più intenso. Certamente complicato. Quell’incontro dal carattere casuale, in realtà, era per Benjamin il compimento di una premonizione.
In quel 1924, con l’arrivo della primavera, le giornate di Walter Benjamin erano state dominate dall’attesa di un viaggio verso sud. Deciso a sfuggire alla “cattiva influenza di cupe atmosfere”, percepiva in lui l’agitarsi di incomprensibili contraddizioni. Era arrivato alla determinazione, lui grande amatore dei libri, di finanziare il viaggio vendendo parte della sua biblioteca. Si apprestava alla partenza nutrito da un vivace orgasmo. Immaginava i cambiamenti esteriori e interiori che il viaggio prometteva. Viveva i giorni in una specie di esaltazione. Si era preparato ad affrontare un mondo sconosciuto su una guida settecentesca del Bel paese sfogliata golosamente da molti tedeschi dell’alta borghesia in previsione dei loro viaggi di formazione: “Un viaggiatore sufficientemente sensibile per essere colpito dalle bellezze di cui la natura in Italia è così ricca molto superiori alle bellezze artistiche incontrerà situazioni fortemente emozionanti”. Per Benjamin la promessa di un oroscopo favorevole.
Ancor prima di partire per Capri si era costruito un’immagine del luogo. La fuga verso l’isola era diventata la sua più vitale aspirazione: vivere in un ambiente ampio e libero. E ancor prima che accadesse l’incontro determinante, quasi una premonizione, egli considerava il soggiorno a Capri un evento di profonda trasformazione della propria esistenza. Più tardi, nel dicembre 1924, rievocando il viaggio, diceva che a Berlino in molti erano d’accordo nel constatare che si sarebbe verificato in lui un palese cambiamento. Arrivò a Capri, dopo essersi fermato a Genova, Pisa e Napoli. Anni dopo, nel 1931, evocava ancora il panico che lo aveva preso all’idea che una incombente costellazione gli avesse impedito di fuggire dalla Germania. Nell’aprile del 1924, mentre camminava per l’Unter den Linden, lo aveva colpito il titolo di un giornale: “Divieto di viaggiare all’estero”. Il governo annunciava che per far fronte alla perdurante crisi valutaria i tedeschi avrebbero avuto il permesso di andare all’estero soltanto se avessero depositato, a garanzia, una cospicua somma di denaro recuperabile al ritorno. Il divieto sarebbe entrato in vigore dopo tre giorni e Benjamin, per il quale era impossibile raccogliere la somma richiesta, non poté fare altro che radunare in fretta le sue cose e immediatamente partire, senza addirittura la somma di cui sperava disporre per coprire le spese.
Arrivò a Capri il 9 o il 10 aprile. Prese alloggio alla pensione Gaudeamus, dove, pochi giorni dopo, lo raggiunsero alcuni amici con cui aveva progettato il viaggio: Florens Christian Rang, scrittore e attore, Erich Gutkind, filosofo, e Dov Flattau, l’insegnante di ebraico di Gutkind. Il gruppo si trasferì pochi giorni dopo al piano superiore di un’abitazione privata in via Sopramonte 18, non lontano dalla Piazzetta. La casa aveva una terrazza dalla quale si godeva la vista del mare. Benjamin viveva con esaltazione la “prodigiosa bellezza” dell’isola, “l’eccezionale splendore” della vegetazione di una sublime perfidia soprattutto per lui che aveva il terrore della natura.
In quegli anni Capri era invasa da tipi che Benjamin definiva “proletariato ambulante intellettuale”. Sull’isola soggiornavano, nel periodo coincidente con la permanenza di Benjamin, Bertolt e Marianne Brecht; due amici di Brecht, lo scenografo Caspar Neher e il drammaturgo Bernhard Reich; il grafico e illustratore dei libri di Stefan George, Melchior Lechter; e un antico avversario di Benjamin, Friedrich Gundolf. E pure Asja Lacis: Benjamin ignorava chi fosse, anche se la vista di lei fu la costante della sua attenzione. Fino alla bancarella delle mandorle.
L’isola da subito aveva rappresentato per Benjamin un idillio di luce, calma, e voluttà. Da tempo non provava una simile emozione. Per la prima volta dopo anni poteva soddisfare il suo insaziabile e panico desiderio di sensualità.
A Capri si innamorò disperatamente di Asja Lacis. In una lettera a Sholem dell’inizio di giugno alluse sia pur con cautela alla sua storia d’amore: “Ho conosciuto una rivoluzionaria russa di Riga, una delle donne più notevoli che abbia mai incontrato”. I mesi trascorsi a Capri con Asja Lacis sono per Benjamin un terremoto nell’orientamento politico, e in generale nelle opinioni. Com’era ovvio la nuova storia d’amore liberò i suoi impulsi vitali nei quali a Berlino aveva riposto le speranze. Quella con Asja per Benjamin non fu soltanto una “storia d’amore”. Divenne una intensa avventura che si manifestò in un modo diverso dalla tempesta dei sentimenti. Soprattutto fu la scoperta di un mondo. Asja Lacis fu il tramite verso il mondo culturale sovietico che Benjamin non conosceva e di cui aveva avuto brevi cenni dopo aver incontrato fuggevolmente El Lissitzky e László Moholy-Nagy. Goloso di esperienze intellettuali, sollecitava Asja con domande sull’arte e sugli artisti sovietici contemporanei. Discutevano di teatro, del panorama letterario, evocando le opere di Babel’, Kataev, Majakovskij, Kirillov, Gerasimov. Allo stesso tempo Benjamin si entusiasmava sempre più per le sue nuove scoperte nel mondo francese, non soltanto Gide e Proust, ma anche Duhamel, Radiguet e Giraudoux. La mutazione di un uomo affamato di esperienze estetiche vissute attraverso l’amore per una donna sempre pronta a soddisfare e condividere le sue curiosità. Walter Benjamin faceva progetti da sviluppare assieme ad Asja: la pubblicazione a Mosca di una lunga relazione per un giornale sulle nuove ideologie estremiste borghesi in Germania e la traduzione in russo della Descrizione e analisi del declino tedesco. Non se ne fece nulla.
Alla partenza di Asja da Capri, Benjamin cadde in una crisi da abbandono. Si mise allora in viaggio per Riga, la capitale della Lettonia sul Mar Baltico, dove arrivò all’inizio di novembre. Era andato fin là per rivedere Asja. Il viaggio doveva essere per lui il compimento e il risvegliarsi dei ricordi della loro estate. E ovviamente voleva rivivere i medesimi emozionanti trasporti.
Rievocò quei giorni con dolorosa sconsolatezza: “Ero arrivato a Riga per far visita ad Asja. La sua casa, la città, la lingua mi erano sconosciute. Nessuno mi aspettava, non mi conosceva nessuno. Camminai due ore, solo, per le strade. Da ogni portone dardeggiava una fiammata, ogni pietra angolare sprizzava scintille e ogni tram sopraggiungeva come un carro dei pompieri. Lei poteva appunto uscire dal portone, girare l’angolo e stare sul tram: ma dei due dovevo esser io, a ogni costo, il primo a vedere l’altro. Perché se lei m’avesse sfiorato con la miccia del suo sguardo, io sarei volato in aria come un deposito di munizioni”.
Asja non si aspettava che Benjamin si sarebbe presentato alla sua porta. In quei giorni era impegnata in una serie di spettacoli del teatro comunista e nella creazione di un teatro proletario per l’infanzia. Viveva inoltre di una cupa preoccupazione: il governo lettone minacciava di arrestarla come sovversiva. La comparsa del suo “amante estivo” produsse in lei un effetto inquietante. “Era il giorno precedente a una prima; arrivai alle prove con la testa piena di pensieri e mi trovai davanti Walter Benjamin. Gli piaceva fare sorprese, ma stavolta la sua sorpresa non mi piacque; veniva da un altro pianeta e non avevo tempo per lui”.
Trafitto dalla sconsolatezza, comunque ostinato, Benjamin si fermò a Riga. Tutta la città, ovviamente per lui, era pervasa di tristezza e sembrava avvolta della furibonda scenata della Lacis. In Stereoscopio, nella parte Giocattoli del suo libro Strada a senso unico, ricorda la città come un immenso mercato, una “fitta città di basse baracche di legno” che si estendevano lungo un molo al quale erano ormeggiati “piccoli vaporetti, lungo il caliginoso abitato lillipuziana”. Il rifiuto di Asja provocò in Benjamin i per lui consueti effetti somatici. La visita non ebbe mai il carattere gioioso che aveva sperato anche se Asja, forse pietosamente, gli consentì di incontrarlo. Ogni tanto.
La passione per Asja Lacis ebbe il suo apogeo durante il viaggio di Benjamin in Unione Sovietica. Fu un soggiorno di due mesi a Mosca, dal 6 dicembre 1926 alla fine gennaio 1927. Oltre al desiderio di rincorre ancora Asja Benjamin intendeva conoscere direttamente la situazione russa e rendersi conto di persona sull’aspetto della vita nella capitale sovietica: la “fisionomia della città”: “Su Mosca quale ci appare in questo momento, possiamo leggere in schematico compendio ogni possibilità, e prima di tutto quelle del fallimento della rivoluzione. In ogni caso l’esito sarà imprevedibile”. Quanti “personaggi” riuscisse a incontrare e a stabilire con loro un contatto, appartenevano all’opposizione o comunque al dissenso politico e artistico. Con quanti riuscì ad avere un rapporto intellettuale presto o tardi finirono vittime del potere assoluto stalinista. La stessa Asja Lacis, all’epoca delle “purghe”, trascorse anni in campo di concentramento. Ed era stata proprio lei a svelare a lui la realtà dell’Unione Sovietica.
Dopo Dora Kellner e Julia Cohn, Asja Lacis fu la terza donna ad avere un’influenza capitale nella vita di Benjamin. In lui l’attrazione erotica si coniugava con una intensa tensione intellettuale. Il “rapporto” con Asja in questo senso fu fortissimo anche se, in un certo senso, più che un coinvolgimento totalizzante potrebbe sembrare la storia di un corteggiamento fallito nonostante attorno al 1930, Benjamin e Asja Lacis avessero convissuto a Berlino per due mesi. Doveva essere un esperimento. Un tentativo fallito. Quando Benjamin era arrivato a Mosca Asja viveva nella clinica Rott, che stava nelle vicinanze della via Gorkij. Era stata ricoverata a seguito di una crisi nervosa che l’aveva colpita nel settembre 1926. Lo stato di Asja deve esser stata la ragione di fondo che aveva spinto Benjamin al viaggio a Mosca, dove, arrivato, incontrava Asja nella sua camera in clinica. Di quei giorni gli appunti di Benjamin sarebbero diventati un augusto libretto, Diario moscovita, ulteriore segnale della vocazione di un auscultatore del mondo per l’attenzione alle città.
Ciò che poi sorprende, nella storia di questa strana “non coppia” è che continuavano a cercarsi e a un tempo a sfuggirsi. Alcuni testimoni sconcertati dalle loro sceneggiate raccontarono che Asja e Walter, quando erano assieme, anche in pubblico, non facevano che litigare. E Benjamin appuntava nel suo diario: “Asja esige un’attenzione così devota e totale che non sono in grado di concederle senza un minimo di incoraggiamento e di gentilezza da parte sua”. La cosa assunse poi un carattere di farsa allorquando, conviventi nei giorni di Berlino, Benjamin aveva chiesto il divorzio dalla moglie Dora Kellner, di cui era ancora formalmente il marito, per sposare Asja Lacis che con vaghezze, tradimenti e contraddizioni era comunque “legata”, e con cui aveva avuto una figlia, a Bernhard Reich, che poi, nel tempo, avrebbe finito con sposare.
Quello tra Walter Benjamin e Asja Lacis fu evidentemente un rapporto complicato e contraddittorio. Nessuno dei due avrebbe comunque dimenticato l’altro. Oltre che nelle opere di Benjamin la loro storia affiora anche in quelle della Lacis. Intanto in Professione rivoluzionaria, che reca nel titolo l’evocazione di personaggi intrecciati alla sua vita: Meyerhold, Brecht, Benjamin e Piscator, pubblicato in Italia nel 1976. E soprattutto il recente L’agitatrice rossa, teatro, femminismo, arte e rivoluzione, a cura diAndris Brinkmanis (Meltemi editore) che riesuma Asja Lacis quale effettivamente fu: una formidabile figura della cultura europea del Novecento.
Universalismo individualistico