Perché fare paragoni tra vaccino o Green pass e Shoah è sbagliato, oltre che folle
Il Covid ha diffuso una nuova subdola forma di antisemitismo. L'ennesima distorsione di una delle più agghiaccainti malvagià del Novecento
Le donne e gli uomini di religione ebraica sono stati i capri espiatori tragicamente preferiti nelle pandemie in occidente, sin dai tempi della Peste Nera del Trecento. Uno dei più terribili colli di bottiglia demografici della storia recente, che tra 800 e 600 anni fa ridusse la comunità di askenaziti in Europa a soli 330 individui, fu causato anche dai massacri di ebrei fra il 1348 e il 1351 con l’accusa di diffondere la peste.
Sin dai primi mesi della pandemia è stata macinata nei mulini dei social media una quantità ingente e crescente di contenuti antisemiti, accusando gli ebrei di qualunque crimine. Più singolare e subdola è la forma di antisemitismo per cui chi rifiuta il vaccino o il green pass si paragona agli ebrei che subirono l’Olocausto. Sta accadendo ogni giorno in tutta Europa. Si può spiegare che persone semi-istruite cadano nelle trappole dei pregiudizi di senso comune o non conoscano la storia della Shoah, se non per sentito dire. Ma se cosiddetti maître à penser distorcono la più agghiacciante malvagità del Novecento, il pesce anche in questo caso puzza dalla testa. Alcuni stati federali e università Usa raccomandano l’insegnamento della Shoah nelle scuole, nei corsi di scienze sociali e come tema per insegnare l’etica ai medici. Tra i motivi vi è l’equivoco o distorsione per cui quella tragedia fu causata da medici o scienziati nazisti, in quanto medici o scienziati. Piuttosto che da nazisti antisemiti, razzisti e a volte sociopatici, vestiti da medici.
Non pochi storici, filosofi e bioeticisti quando discutono di etica della scienza usano gli abusi dei medici nei lager nazisti come esempio di scienza impazzita, ovvero trascurano il fatto che si trattava di Olocausto, non di medicina. Non è questione secondaria far capire la differenza tra la sperimentazione sull’uomo anche in assenza di consenso e la tortura e l’omicidio, perché se si imputa alla medicina o alla scienza la sofferenza e l’assassinio a carico di persone inermi si prende una comoda scorciatoia. Non sarebbe accaduto quel che è accaduto, alcuni hanno scritto, per la specifica responsabilità delle persone che hanno abusato della loro posizione. La Shoah fu una conseguenza del fatto che quelle persone erano medici, piuttosto che ragionieri, magari “banali” nel senso di Hannah Arendt, e quasi inconsapevolmente o perché inclini a obbedire (come si è pensato dopo gli esperimenti di Stanley Milgram del 1961), finirono per compiere le torture e gli omicidi commessi. A Norimberga gli avvocati dei medici nazisti provarono a seguire questa linea facendo paragoni con sperimentazioni senza consenso fatte in paesi Alleati su pressione della guerra in corso. Furono asfaltati dai tecnici del tribunale. Che per spiegarsi scrissero il Codice di Norimberga (1947), sulla base del quale il tribunale decretò le condanne, tra cui sette pene capitali. Non era la mancanza del consenso informato delle persone abusate sperimentalmente a denotare la tragedia della Shoah, dato che il consenso non era ancora in uso nella pratica sperimentale tranne, guarda caso, in Germania in base a una circolare del 1931 (ma inutilmente come è ovvio), quanto la disumanizzazione delle vittime (prego rileggere meglio Primo Levi!) e quello che Albert Bandura ha chiamato disimpegno morale, che consiste in larga parte nella colpevolizzazione denigratoria delle vittime e nell’autoassoluzione morale del carnefice. Dall’abuso medico nei campi di sterminio non uscì un solo dato di interesse scientifico o clinico, secondo gli standard accettati del tempo. Come ha scritto recentemente il bioeticista, Arthur Caplan, gli esperimenti “erano condotti da sadici inetti per mutilare e torturare, e non meritano di essere descritti come scienza, anche quando si tratta di medici”. Primo Levi lo scriveva già in I sommersi e i salvati.
I medici furono i principali attori dell’Olocausto per i privilegi di cui li ricoprì il regime, ripagati facendo propri i valori dell’etica nazista. Valori razzisti, antisemiti, supematististi che avevano tra i più accesi cantori anche ben noti umanisti, come Heidegger, Schmitt o Kittel. Per cui non necessariamente la medicina e la scienza devono aspettarsi dalla filosofia insegnamenti etici.