Gianni Celati, il ferrarese misantropo che amava passeggiare
L'autore che sapeva togliere di mezzo i luoghi comuni e rendere interessanti le zone più insignificanti. La bellezza è qualcosa di nebbioso e pianeggiante, camminando con Ghirri
Chi in futuro si limiterà agli estremi biografici cosa mai potrà capire di Gianni Celati? Nato a Sondrio nel 1937 e morto a Brighton nel 2022… Due località in cui proprio non ce lo vedo: Celati era ferrarese! La montagna lombarda fu solo un breve accidente famigliare, l’Inghilterra sarà dovuta a una moglie inglese, alle traduzioni dall’inglese… Attività ancillare, dichiaratamente alimentare e, permettetemi, artisticamente marginale. Lo so che ha tradotto London e Swift, Melville e Mark Twain, lo so che ha tradotto nientepopodimeno che l’“Ulisse” ma per me è più importante Celati di Joyce e avrei voluto che i sette anni persi dietro il prolisso irlandese li avesse impiegati a scrivere qualcosa di suo. Qualcosa di ferrarese. Qualcosa di nebbioso e pianeggiante.
La pianura come l’ha raccontata lui l’ha raccontata soltanto Luigi Ghirri, che però era un fotografo. Legati da un idem sentire o meglio da un idem vedere i due hanno collaborato molto, in quegli Ottanta che furono l’ora topica di entrambi. Sulla copertina di Narratori delle pianure (Feltrinelli 1985) c’è una foto di Ghirri con Celati di spalle che guarda i campi innevati da uno stradello fangoso. Li guarda fino a un certo punto perché la visibilità è scarsa, siamo appunto in Val Padana. Ho amato quel libro di racconti e come avrei potuto non farlo se i titoli erano “Fantasmi a Borgoforte”, “Traversata delle pianure”, “La ragazza di Sermide”? Non ricordo chi fosse e cosa facesse, se fosse bella o mica tanto questa ragazza mantovana, ma mi basta rileggere il titolo perché me ne innamori nuovamente. Meglio della ragazza della Ipanema, ai miei antiesotici occhi. Ho amato ancor più la copertina, direi il miglior ritratto fotografico di Ghirri che non era un grande ritrattista, era un sommo paesaggista. Ho amato fino alle lacrime un libro successivo, se possibile ancora più ghirriano: Verso la foce. E’ un diario di viaggio, o di viaggetto (non sto mica parlando di Bruce Chatwin che per risultare interessante doveva spingersi in capo al mondo, povero lui). Partenza da Gadesco-Pieve Delmona, comune ignoto come pochi, e arrivo dove il Grande Fiume incontra il mare, e in mezzo paesi e argini raggiunti coi treni locali, con le corriere, a piedi. Perché Celati era un grande camminatore. Davide Bregola, uno dei suoi eredi letterari e non soltanto perché vive a Sermide, nel recente libro sugli scrittori appartati d’Italia, I solitari, racconta di averlo incontrato una mattina presto, per caso: “L’ho visto vagare per Carpi e l’ho fermato. Mi ha detto che per lui camminare è vitale. Per essere più precisi non l’ho fermato, ma ho iniziato a camminare io al suo fianco”.
Mi dispiace non aver mai camminato al suo fianco, di averne soltanto, in alcuni luoghi, percepito l’aleggiare: una volta nella trattoria della famiglia di Franco Arminio, a Bisaccia (Avellino), dove lui aveva mangiato prima di me, e ovviamente sulle rive del Po, a Casalmaggiore, a Pomponesco, a Brescello, a Boretto… Ma forse è stato meglio così, credo fosse più misantropo di me come dimostra il curriculum di chierico vagante, insofferente.
Insegnò addirittura al Dams, un ganglio del sistema culturale, ma si dimise presto scegliendo l’instabilità, rifiutando la competizione e “diciamolo pure: quel tipo di massoneria creato dalla sinistra” (da un’intervista rilasciata al Giornale nel 2008). Scrisse che le fotografie di Ghirri “tolgono di mezzo un luogo comune tra i più penosi, secondo cui il mondo si dividerebbe in aspetti interessanti e banali. Tutto diventa interessante, ossia tutto acquista la dignità dell’essere”. Le stesse parole si possono usare per le sue pagine che rendono interessanti i luoghi più insignificanti, dove perfino Gadesco-Pieve Delmona acquista la dignità dell’essere.