Mathias Enard (Wikimedia Commons)

Il romanzo

Mathias Énard, un anti-Houellebecq vitale che profuma di Rabelais

Mariarosa Mancuso

Arriva in Italia "Il banchetto annuale della confraternita dei becchini". Il suo autore ha l’aria di apprezzare la vita, senza la smorfia perenne da scrittore impegnato e depresso del "rivale". Un libro che è una irresistibile presa in giro degli etnografi fissati con i buoni selvaggi

Un anti Houellebecq si aggira per la Francia. Da qualche mese anche da noi, grazie all’editore e/o, e a Yasmina Melaouah che firma la scoppiettante traduzione del “Banchetto annuale della confraternita dei becchini”. Un romanzo che non ha bisogno di arrivare a pagina 599 (su 743) per decollare, come ha puntualizzato una recensora di buona volontà non propriamente entusiasta di “Annientare”. Come non ricavarne che il lettore non pagato ma pagante, che dovrà comprare il libro con i suoi soldini, dovrà accollarsi una tara sproporzionata al peso della merce?

  

L’anti Houellebecq – non ha goduto di un lancio a reti unificate, come il discorso di Sergio Mattarella, né di copie protette da codici per lettura segretissima di pochi eletti – si chiama Mathias Énard. Un cinquantenne barbuto che ha girato il mondo, ha vissuto a Barcellona e a Berlino, ha imparato il persiano e perfino l’arabo, scelta che potrebbe indurre Michel Houellebecq a un immediato esorcismo. Ha l’aria di apprezzare la vita, senza la smorfia perenne da scrittore impegnato e depresso del rivale che di anni ne ha 65, e alle paturnie del giovanotto sovrappone la malinconia di chi giovanotto non è più.

  

L’anti Houellebecq comincia con il diario di campo di un giovane etnografo parigino. Invece di partire per lontane isole della Melanesia ha scelto come terreno di studio un paesello della Francia rurale e i dintorni: La Pierre-Saint-Christophe, nell’entroterra di La Rochelle (porto di mare caro a Georges Simenon). 649 abitanti, secondo l’ultimo censimento. Quei posti che quando li vediamo, di passaggio, suscitano un solo pensiero: “Meno male che siamo nati da un’altra parte”. Ha intenzione di intervistare un centinaio di abitanti per ricavarne un saggetto, sulle “questioni attuali in materia di ruralità”. Non leggevamo una presa in giro tanto spassosa degli etnografi alle prese con usi e costumi dei “buoni selvaggi” da “Euforia” di Lily King, ambientato a Papua con Margaret Mead e compagnia.

  

Il sindaco del villaggio, che svolge anche le funzioni di becchino, gli consiglia di piazzarsi al bar, da lì passano tutti prima o poi (c’è anche la tribù stanziale dei giocatori di carte). Chiacchierata dopo chiacchierata, conosciamo tutto il paese. Il sapientone che a dirgli una data scatta, ti dice il santo del giorno, e una serie di nascite e morti. I contadini e allevatori che se la passano maluccio. Gli inglesi che trascorrono qualche settimana di vacanza campagnola. Tipi umani che vediamo apparire anche nei romanzi di Houellebecq, ma lì son portatori di messaggio senza spessore.

  

Gli antenati e i luoghi fanno rievocare i secoli passati. Il banchetto annuale dei becchini dura per decine pagine ed è puro Rabelais. Il menu fa alzare il colesterolo solo a leggerlo, la generosità dell’ospite gareggia con quella dello scrittore. Arrivano a tavola, oltre a carni e pesci, 99 formaggi: “i più molli esibivano il loro grasso come ventri di pascià sui cuscini del serraglio, i vacherin liquefatti dalla pigrizia”. E via così. Per gli inappetenti letterari c’è Houellebecq

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