Il poeta Giuseppe Conte

facce dispari

Giuseppe Conte, il poeta: "L'Europa ha perso l'anima nel pil"

Francesco Palmieri

"Non riusciamo più a riflettere sul nostro passato, figuriamoci sul nostro futuro. La cancel culture? Una barbarie". Colloquio con lo scrittore ligure, amato da Jovanotti

E sull’omominia, je vous en prie, niente battute: il poeta Giuseppe Conte da Imperia esisteva da prima ed esisterà dopo Giuseppe Conte avvocato del popolo da Volturara Appula. Allievo di Gillo Dorfles, fu pellegrino a Parigi, traduttore di Shelley, Whitman, D.H. Lawrence. Convinto che la poesia sia “una forma di resistenza spirituale” e il poeta “uno che non sta al gioco”, Conte ha scritto tanto quanto ha vissuto – anche narrativa, saggistica, teatro – ma senza rinunciare a vivere per scrivere. Se è vero che la faccia, da un certo punto in poi, rispecchia la vita di chi l’ha portata, quella di Conte evoca più il vecchio marinaio ligure dalle infinite partenze che uno studioso consumato da infinite veglie libresche. Mantenendo a leitmotiv, anche con la pandemia, l’amore per la Natura mentre altri la piangevano matrigna, dal 2020 a oggi Conte ha raccontato ‘Dante in love’ alla maniera pop, è stato insignito del Premio Celle promosso dal mecenate Giuliano Gori e Lorenzo Jovanotti ha declamato a più riprese la sua poesia ‘Perché’, in cui spiega perché è sempre preferibile la democrazia.

Perché?

La democrazia malgrado le magagne, anche quando diventa vile e corrotta, ci esime dagli orrori.

Si è sorpreso di piacere a Jovanotti?

Sì, però non mi ha sorpreso che abbia scelto quella poesia, che non avevo mai letto in pubblico. Non è la mia più bella ma è efficace. Mi fa felice che abbia valicato le piccole cerchie per arrivare a chi neanche sapeva chi fossi.

Le piace Jovanotti?

Rappresenta la vena apollinea dei cantautori italiani, mentre Zucchero e Vasco Rossi sono dionisiaci. Ha il seme della positività.

Dèi, eroi e miti sono il suo costante riferimento.

Il mito racchiude in modo figurale le pulsioni dominanti della psiche, che sono il fulcro dell’umanità. Se si abolisce il legame con gli dèi, la Natura e il corpo, non appassisce solo l’anima dell’individuo, ma rischia l’intera società.

L’ultimo libro di Paolo Macry, ‘Storie di fuoco’, parla di patrioti, militanti e terroristi che mettevano “il proprio corpo a disposizione” di una causa.

Sono contento che lo abbia detto Macry, cui mi legano ricordi lontanissimi. L’eroe è fatto di corpo e anima e questi sono uniti, la divisione cartesiana è artificiosa. Se si spegne l’anima si spegne la forza del corpo. Perciò oggi chi è disposto a giocarsi il corpo per un ideale lo vediamo solo fuori d’Europa, perché l’Europa ha perso l’anima. Non riesce più a riflettere sul suo passato, figuriamoci sul futuro.

Troppo gravata da sensi di colpa?

È chiaro che l’Europa ha da scontare colonialismo e orrori: già Giuseppe Parini diceva che il sangue versato in Messico sarebbe ricaduto su di noi. Ma l’Europa è stata anche un insieme di saperi, valori, civiltà e arte. Rischiamo di non ricordarlo più come non ricordiamo Parini e forse, a breve, neppure Verga o Manzoni. Stretta com’è fra America, Russia e Cina, l’Europa rincorre una crescita faticosa che identifica nel Prodotto interno lordo. Le sembra normale?

Cos’è invece la crescita?

Spirito, desiderio di futuro. L’Europa non ce l’ha. In Francia ci riflettono di più, basti pensare a Houellebecq. In Italia c’incartiamo solo nella discussione sui vaccini. Potevamo essere l’avamposto europeo nel Mediterraneo, ma gli intellettuali magrebini guardano alla Turchia, mica all’Italia. Perché la Turchia crede in se stessa, ha voglia di affermarsi e quindi attrae malgrado Erdogan. Noi siamo narcotizzati e conformisti. Quanto mi manca Umberto Eco…

Cosa le manca?

Da fautore degli “integrati” si era reso conto che il web avrebbe dato voce agli scemi del villaggio: la sua sfiducia ha un valore più pesante di quella di un “apocalittico” alla Zolla. E c’è un’altra cosa. In un testo uscito postumo, ‘Sulle spalle dei giganti’, Eco dice una cosa bellissima sul romanzo: che è una forma di educazione al Fato.

 

Quali classici consiglia per educarsi al Fato?

Tre francesi: ‘Il rosso e il nero’, ‘Madame Bovary’, ‘I miserabili’.

Di cosa ha bisogno la cultura italiana?

Mi disse Mario Soldati che quando voleva chiarirsi le idee andava a trovare Benedetto Croce. Io a mia volta andavo da Soldati, da Calvino. Erano un bel conforto. E appena misi piede a Milano nel ’64, dalla provincia ligure, i primi nomi che cercai sull’elenco erano Eco e Montale. Ma adesso?

È pessimista?

Con la testa vedo nero, ma con la volontà sono ottimista. Oggi si parla poco di volontà perché fa subito pensare all’istinto di potenza, invece muove la lotta che l’uomo ha sempre combattuto. Alla fine vince la vita: c’è un’astuzia della vita e anche della letteratura. Se la letteratura morisse la civiltà finirebbe, ma so che non potrà accadere. Tutt’al più sarà un’eclisse.

La cancel culture non la preoccupa?

L’ultimo bersaglio è Norman Mailer. Che un’espressività cruda possa offendere la sensibilità vuol dire che anche Dante e Shakespeare saranno chiamati ad accomodarsi fuori. Mi spiace che gli intellettuali europei siano poco reattivi, perché la cultura della cancellazione è cancellazione della cultura. Dovrebbero esporsi di più contro questa barbarie. Ridere in faccia a chi la propugna e dirgli: sei un coglione. Foss’anche rischioso, chi se ne frega.

Di più su questi argomenti: