"E lo lasceremo bruciare, bruciare, bruciare, bruciare...". Frame dal trailer HBO di Fahrenheit 451, adattamento del romanzo di Ray Bradbury

Catalogo dei grandi romanzieri che si vorrebbero cancellare subito

Giulio Meotti

Tutti reietti. Da stupratori come Koestler e Golding a razzisti come Borges e Whitman. Nel tempo della cancel culture retroattiva, basta perdersi nei dettagli. Anche per i grandi autori che hanno già passato la reductio ad hitlerum, ma che non possono farla franca con il woke

Lo scrittore francese Patrice Jean nel suo romanzo “L’homme surnuméraire” immagina un editor disoccupato che trova lavoro presso una casa editrice che sta lanciando due collane: “Le Belle Lettere Egualitarie” e i “Romanzi senza Razzismo”. Clément, il nome del protagonista, ha il compito di “espungere da un’opera le parti che feriscono la dignità dell’uomo, il senso del progresso e la causa delle donne”. Clément riscrive i classici della letteratura allo scopo di liberarli da qualsiasi scoria. 

   

Se si è appena arrivati a censurare “The White Negro” di Norman Mailer (reo di aver pure accoltellato la moglie, Adele Morales) e a lasciarlo ristampare da una piccola casa editrice che ha accolto le memorie di appestati come Woody Allen, nessuno può sentirsi più al sicuro. Non Louis-Ferdinand Céline, Knut Hamsun, Gottfried Benn, Ernst Jünger e Wyndham Lewis. Ma degli altri. Dei grandi che hanno già passato la reductio ad hitlerum, ma che non possono farla franca con il woke.  

     

 

Un uomo con un martello giorni fa ha attaccato la statua all’esterno della Bbc’s Broadcasting House nel centro di Londra. La scultura, che raffigura Prospero e Ariel dall’opera di William Shakespeare “La tempesta”, è stata installata nel 1933 e il suo scultore, il famoso Eric Gill, ha abusato sessualmente delle figlie. Non meriterebbe di scomparire dalla vista?  

    

In Inghilterra il cottage a Chawton nell’Hampshire, dove Jean Austen scrisse “Emma” e “Mansfield Park” è ora un museo e un luogo di pellegrinaggio dedicato alla sua vita e al suo lavoro. Il Jane Austen Memorial Trust sta rivalutando il ruolo di Jane Austen nel colonialismo sulla scia del Black Lives Matter. Un pannello al museo si intitolerà proprio “Da Black Lives Matter a Jane Austen”. I legami della grande scrittrice con la schiavitù tramite il padre, George Austen, amministratore di una piantagione di zucchero ad Antigua, saranno raccontati dal museo. Le colpe dei padri devono ricadere sui figli… Lizzie Dunford, direttrice dell’House Museum di Jane Austen, ha dichiarato al Telegraph: “La tratta degli schiavi e le conseguenze del colonialismo hanno toccato ogni famiglia durante quel periodo. La famiglia di Jane Austen non ha fatto eccezione”. Il Guardian non perde tempo e titola: “Orgoglio e pregiudizio razziale”. 

  

Nel tempo della cancel culture retroattiva, basta perdersi nei dettagli. C’è moltissimo lavoro da fare. 

  

Geoffrey Chaucer, l’autore dei “Racconti di Canterbury” che ispirarono un altro da cancellare per lesa immoralità come Pier Paolo Pasolini, stuprò la figlia del panettiere,  Cicely Champaigne. Per fortuna ci sono università inglesi che stanno rimpiazzando Chaucer con dei corsi su razza e gender.  Lo scrittore Thomas Malory ci avrà regalato anche le leggende di Re Artù, ma fu imprigionato per stupro. Agli studenti delle università, che oggi per leggere le “Metamorfosi” di Ovidio sono avvisati del potenziale “contenuto offensivo”, tutto questo va detto chiaro e forte. Per non parlare dello scrittore-viaggiatore più famoso del Novecento, Patrick Leigh Fermor, che  frequentava un bordello dietro l’altro. 

     

Arthur Koestler, l’autore del grande romanzo antistaliniano “Buio a Mezzogiorno”, era uno stupratore e trascinò nella propria paranoia suicida anche la moglie. David Cesarani, che ha indagato negli archivi koestleriani per approfondire il suo rapporto con l’ebraismo, ne ha tirato fuori l’immagine del picchiatore di donne e stupratore che ha dato luogo al libro-scandalo “The Homeless Mind” (in seguito al quale è stata rimossa la statua dello scrittore dall’Università di Edimburgo, che un eroico collettivo di femministe inferocite aveva minacciato di “decapitare”). 

   

Il premio Nobel William Golding, l’autore del “Signore delle mosche” che non se la passa più bene nei curricula nordamericani (in Canada è stato interdetto da alcuni consigli scolastici che bruciano anche libri riconsegnandoli come cenere a Madre Natura), aveva cercato di violentare una ragazza. Per non parlare di George Orwell, che ha violentato una ragazza di nome Jacintha Buddicom. Ma per fortuna ora uscirà “1984” rivisitato in chiave femminista e speriamo che cancellino anche il brano “ogni disco è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e ogni edificio è stato rinominato, ogni data è stata modificata. E il processo continua giorno per giorno e minuto per minuto. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione”. 

   
W.M. Thackeray (quello della “Fiera delle vanità”) si divertiva a sorseggiare menta nelle piantagioni di schiavi, Charles Dickens maltrattava la moglie e provò a chiuderla in un manicomio, mentre Jack London, l’autore di “Zanna bianca”, pensava che “il sale della Terra” fossero gli anglosassoni di lingua inglese, “una razza di maestria e successo”. Per London, i bianchi che uccidono quelli di altre razze non fanno che una selezione puramente naturale: i non bianchi vengono distrutti una volta che entrano in contatto “con una civiltà superiore”. Di fronte alla crescita della popolazione, London ha sostenuto il genocidio delle “razze inferiori”. Via il suo nome da tutte le strade e piazze. Per molto meno è caduto Abraham Lincoln.  

  
La moglie di John Steinbeck, Gwyn Conger Steinbeck, tre anni fa in un libro di memorie ha descritto il grande scrittore come un “sadico donnaiolo seriale”, uno che sotto il MeToo non merita neanche di essere più citato, neanche “Uomini e topi”, che infatti è sparito da numerose scuole americane perché non rientra nei canoni dell’antirazzismo. 

  
André Gide era uno pedofilo perso. Cancelliamo “Se il grano non muore”, dove il romanziere francese racconta la propria pedofilia e cerca di giustificarla. Gide ebbe una storia con il figlio del pastore Allegret, Marc, quando aveva quarantasette anni e l’adolescente quindici. Non si è ancora capito quanto pedofilo fosse Lewis Carroll, che scrisse “Alice nel paese delle meraviglie” (molto a giudicare dai nudi infantili che fotografava), ma nel dubbio via anche lui. 

    
Pablo Neruda, il vate rosso che cantò la bellezza delle donne e dell’amore, immortalato nel film “Il Postino”, stuprò una donna. “L’incontro è stato simile a quello fra un uomo e una statua” scrisse Neruda. Non un minuto di più in catalogo. Il poeta era console onorario del Cile a Colombo, Ceylon, governata dagli inglesi, nel 1929. Prese una donna delle pulizie tamil che svuotava la latrina di casa sua ogni giorno. “Un timido animale della giungla”. Mentre faceva sesso con Neruda, “teneva gli occhi aperti per tutto il tempo, completamente insensibile”. Farrar, Straus e Giroux ha appena pubblicato le “Memorie complete” del poeta comunista. Non meriterebbe una nota a pié di pagina? 

   
Mario Vargas Llosa, il peruviano Nobel per la Letteratura, ha scritto sul País: “Con questo tipo di approccio a un’opera letteraria non c’è un solo romanzo della letteratura occidentale che scampi all’incinerimento. ‘Santuario’, per esempio, in cui il degenerato Popeye svergina la pura Temple con una pannocchia non avrebbe dovuto essere proibito, e William Faulkner, il suo autore, spedito all’ergastolo?”. Giusto, sì. 

     

  
Bisogna aggiungere subito un disclaimer alla pessima traduzione di Bompiani del “Signore degli anelli” di Tolkien: “Gli orchi sono vittime di una rappresentazione razzista”. Inoltre, non ci sono Hobbit gay né orchi transessuali e Margaret Atwood ha detto che “in Tolkien non ci sono donne”. Per fortuna sul grande scrittore inglese cattolico e conservatore che detestava il nazismo e il socialismo e sospettava del culto del progresso e che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo ci ha pensato la Tolkien Society, l’organizzazione fondata nel 1969 e dedicata alla promozione delle opere di Tolkien (sua figlia Priscilla è vicepresidente), che da decenni tiene una conferenza accademica annuale. Quest’anno il tema è stato “Tolkien e la diversità”. “Gondor in transizione: le realtà transgender nel Signore degli Anelli” e “Indigeneità, identità e antirazzismo” soltanto alcuni dei temi della conferenza. Il Guardian dà di “reazionario” a Tolkien. Perché tutto ciò che Tolkien era, e tutto ciò che scrisse, è un affronto alla comprensione del mondo, della realtà, del significato e della vita da parte del woke. I suoi grandi temi –  bene e male, verità e menzogna, potere e gloria, onore e sacrificio – scaturirono tutti dalla sua reazionaria fede cristiana. Intollerabile. Per questo in Unione sovietica Tolkien è stato sempre proibito. Il New York Times ha da poco ricordato che “i libri di Tolkien erano difficili da trovare per decenni in Unione Sovietica, senza una traduzione ufficiale dello ‘Hobbit’ fino al 1976. La trilogia degli ‘Anelli’ è stata vietata per decenni, a causa dei suoi temi religiosi e della rappresentazione di alleati occidentali che si uniscono contro un potere sinistro da Oriente”.

  
E se i libri di Enid Blyton, la scrittrice inglese per bambini più tradotta al mondo (600 milioni di copie), sono stati appena classificati come “razzisti”, non c’è tempo da perdere neanche con il grande poeta americano Walt Whitman, questo orrido trumpiano ante litteram pieno di pregiudizi contro i neri e gli indigeni americani. Whitman considerava i neri meno evoluti dei bianchi, si opponeva al diritto di voto per loro e non pensava che sarebbero sopravvissuti come razza per avere un futuro nella grande democrazia americana. “Come se negli ultimi cinquant’anni non avessimo sforzato al massimo il calibro elettorale della democrazia americana con milioni di stranieri ignoranti, ora abbiamo infuso una potente percentuale di neri, con tanto intelletto quanto i babbuini”, scriveva Whitman, l’immortale delle “Foglie d’erba”.

     
Per non parlare del grande Nobel mancato, Jorge Luis Borges. In una conversazione pubblicata dalla Cambridge University Press e che risale al gennaio 1969 con Thomas Di Giovanni, il suo traduttore nordamericano dell’epoca, Borges affermava: “Negli Stati Uniti le persone non prendono in giro i neri”. Di Giovanni gli spiega che nel suo paese c’è una certa sensibilità. Borges replica: “Sono razzista. Toglierei loro la parola e vedremmo chi emerge vincitore. Cancellerei i neri dagli Stati Uniti e, se nessuno mi fermasse, farei lo stesso in Brasile. Se non si sbarazzano dei neri, trasformeranno il paese in un'altra Africa”. Qualcuno faccia presente queste righe al comitato etico della Random House, che per molto meno oggi cancella i libri, e all’Adelphi, che almeno apponga un bollino, come si fa con “Gli aristogatti”.

   

Scrivere per dimenticarsi
Jorge Luis Borges. Foto di Levan Ramishvili via Flickr
   
E poi si deve continuare con H.P. Lovercraft, a cui Hbo ha dedicato una indegna serie di successo, e William Butler Yeats, il Nobel irlandese imbevuto di nazionalismo celtico e razzista. E se Philip Larkin, Daniel Defoe (quello del colonialista “Robinson Crusue”) e Roald Dahl (un antisemita spinto) erano dei bigottoni tendenza suprematista (il primo era anche un feroce onanista), Joseph Conrad ha scritto il “Negro del Narciso” (imperdonabile la prefazione di Italo Calvino all’edizione italiana). 

   

E se il Times Literary Supplement ci informa che Charles Baudelaire era un bieco razzista che chiamò i belgi “scimmie” e diffidava della democrazia e del progresso, ai futuri traduttori non passi inosservato che Arthur Rimbaud, in “Una stagione all’inferno”, ha scritto: “Non avevo previsto la saggezza bastarda del Corano”. 

  

Quando avremo finito potremo finalmente goderci e capire tutta l’importanza, la bontà e l’acume dell’articolo sull’Osservatore romano dell’ultima Immacolata, in cui Michela Murgia definisce Giuseppe, il padre putativo di Gesù, “un maschio che col maschilismo non c’entra niente”. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.