Gli Nft non sono arte, dice Wikipedia. E a ragion veduta, aggiungiamo noi
Secondo l'enciclopedia online Beeple non è Michelangelo (ma a Zuckerberg non interessa molto)
Un tempo c’erano Bernard Berenson, Roberto Longhi, Federico Zeri, Robert Hughes e così via, a stabilire il valore dell’arte e se qualcosa era davvero arte o meno. Oggi il “critico” ha di fatto perso valore, grillo parlante in un’epoca dove non lo prendono nemmeno a martellate tanto è irrilevante. A conferma di questo è la notizia che gli editor di Wikipedia hanno deciso di non definire arte gli Nft nonostante alcuni di questi misteriosi crypto capolavori siano stati venduti per decine di milioni di dollari. Così, se un Nft non è arte, anche chi li produce non è un artista.
Beeple, che aveva venduto da Christie’s il suo Nft “Everydays” per 69 milioni di dollari diventando il terzo artista vivente più caro al mondo, è stato retrocesso o rimandato là da dove veniva: il mondo della grafica digitale, creativa ma forse non artistica. Se gli Nft erano stati un terremoto per il mercato e per il mondo dell’arte, ora la decisione di Wikipedia ha avuto gli stessi effetti ma nel senso opposto. Non solo sono venuti meno il riconoscimento e la legittimazione che la storia dell’arte più recente aveva conferito agli Nft, ma rischia di saltare anche una valanga di investimenti che erano arrivati da mondi fino a poco prima del tutto disinteressati all’arte.
La “sentenza” di Wikipedia ha suscitato parecchie proteste, in particolare da parte del fondatore della più popolare piattaforma di Nft artistici, Nifty Gateway. Il cofondatore Duncan Cock Foster su Twitter ha lanciato un grido di allarme: “Art Emergency!!”. Wikipedia è una fonte globale di verità, ha twittato, il fatto che definisca gli Nft “non arte” potrebbe essere un disastro. Gli editor della piattaforma si sono riservati di riprendere in mano la questione per valutare nuovamente in futuro la loro decisione. Chi invece sembra meno sensibile alla disquisizione sembra essere Meta, il colosso di Mark Zuckerberg. Secondo quanto riferito ieri dal Financial Times, Facebook e Instagram stanno lavorando a una funzione che consente agli utenti di creare e vendere non-fungible token rendendoli visibili sui propri profili social. Ma il problema, dal punto di vista artistico, è criptico. E’ dai tempi dell’“Orinatoio” di Duchamp, del “Quadrato nero” di Malevič fino alla “Merda d’Artista” di Manzoni che gli storici dell’arte dibattono su cosa sia arte e cosa non lo sia. Ma fra gli Nft e gli esempi citati prima c’è una differenza: Duchamp, Malevic e Manzoni volevano provocare una discussione sull’arte non speculare sulle loro provocazioni, invece gli Nft partono dalla speculazione, e a questa hanno attaccato delle espressioni creative che appartenevano più alla grafica e all’ingegneria digitale che al mondo dell’arte. Il successo economico ha fatto il resto.
Il dubbio di Wikipedia è legittimo, la paura del mondo degli Nft pure. Per valutare meglio il declassamento di uno come Beeple si può fare il paragone con il fenomeno popolare ed economico di Banksy. Che piaccia o meno, lo street artist gioca e lavora con la grammatica dell’arte e con il suo mercato. Banksy è ancora tangibile, ed è forse proprio questa parola, “tangibile”, che ha spinto i wikipedisti alla loro decisione. L’Nft è come il computer, come il pennello: sono strumenti con i quali si può creare un’opera d’arte, ma non necessariamente. Così come la “street” è un luogo dove un artista può mostrare il proprio lavoro, ma che di per sé non è arte. Il verdetto di Wikipedia quindi è un po’ come quello del Var nel calcio, ineccepibile seppur soggetto alle interpretazioni. Non si può attaccare il nome di uno strumento alla parola arte per fare sì che ciò che ne viene fuori sia definibile automaticamente arte. Non è quindi una questione di verità, ma di logica. Se un pennello non è considerato arte nemmeno un Nft può esserlo. Così come usare un pennello non fa diventare qualcuno un artista d’ufficio. Se ne devono fare una ragione tutti quelli che hanno investito soldi negli Nft. E’ stato Michelangelo a fare la Cappella Sistina, non i suoi pennelli. I papi lo sapevano e pagavano profumatamente lui, non quelli che gli facevano i pennelli.
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