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La cortesia nuoce al romanzo

Mariarosa Mancuso

Che bella l’America dove ogni grande scrittore è tale perché vanta una collezione di lettere di rifiuto

Non abbiamo gran passione per la fantascienza con gli omini verdi. Neanche per la più sofisticata versione “esploriamo lo spazio profondo dentro di noi”. Fa effetto di fantascienza la lettura di certi articoli sul mondo letterario americano, luogo mitico dove gli editor esistono e non sono amici degli scrittori. Se lo diventano, restano professionisti. Sanno che la cortesia nuoce al romanzo, e si comportano come il Dr. House: “Preferisci uno burbero che ti guarisca o uno che ti tenga la mano mentre muori?”.

Gli scrittori italiani non vantano editor spietati né lettere di rifiuto. Gli scrittori americani considerano il “no, grazie” editoriale una tappa obbligata in una carriera che non sempre va spedita dal giornaletto scolastico al premio Pulitzer. Sul sito Literary Hub raccontano le loro reazioni al momentaccio. Ray Bradbury dice di avere svariate pareti, in diverse stanze della casa, coperte di lettere che respingevano al mittente i suoi manoscritti. Le riguarda soddisfatto: “Ero davvero una persona forte, allora”. Saul Bellow invece nel 1985 scriveva sul New York Times: “I rifiuti editoriali insegnano a uno scrittore che deve fidarsi solo di se stesso, e mandare al diavolo tutto il resto del mondo”.

Maya Angelou, che oltre a scrivere ha fatto l’attrice e la ballerina, calcola per ogni impresa riuscita una ventina di rifiuti (poi però ha ricevuto la National Medal of Arts dalle mani di Bill Clinton). “Per una casa editrice ero troppo astratta, per un’altra troppo concreta. Ma un rifiuto vuol dire una sola cosa: stai andando nella direzione sbagliata”. Fantascienza, abbiamo detto. A leggere gli ultimi romanzi italiani arrivati sul tavolo (e i penultimi, e quelli ancora prima) sembra che nessuno mai abbia cercato di reindirizzare gli scrittori italiani. Per esempio, verso una storia che possa interessare il pubblico – non vale l’invettiva contro il mondo di Saul Bellow, non se ne vedono tanti come lui in giro da queste parti.

 

Sylvia Plath nei suoi diari spiega che un rifiuto editoriale (ma anche un editore che scrive “ti pubblico”) non coincide con un giudizio complessivo sull’individuo. Così suggeriscono anche gli psicologi di passaggio – brava poetessa, ma nessuno è perfetto quando esce dal suo terreno. Qualcuno riferisce di aver visto colleghi piangere (ma erano sempre gli altri). La più spiritosa è Octavia Butler – il suo “La sera, il giorno e la notte” è uscito da BigSur: “E’ come se ti dicessero che il tuo bambino è orrendo. Poi ti guardi in giro e scopri che un sacco di creature altrettanto orrende sono state pubblicate e hanno successo”.

Jennifer Egan, che si trovò dall’altra parte della barricata scegliendo le storie da pubblicare sulla Paris Review, confessa un certo delirio di onnipotenza. E del resto, solo in questa lista, confessano di essere stati respinti Isaac Bashevis Singer, Neil Gaiman, Isaac Asimov. Ha una storia di rifiuti alle spalle anche Stephen King. Il manoscritto di “Carrie” lo ripescò sua moglie dalla spazzatura; lui si era rassegnato a lavare e candeggiare montagne di tovaglie e tovaglioli, lavorava per un ristorante che serviva aragoste. La “Guida di Snoopy alla vita dello scrittore” – edizioni Omero, sarebbe da rendere obbligatoria in tutte le scuole di scrittura – ha utili consigli di romanzieri affermati alternati alle strisce. Le lettere di rifiuto a “Era una notte buia e tempestosa…” sono archiviate dall’uccellino Woodstock sui rami di un alberello spoglio. Manoscritto respinto oggi e manoscritto respinto domani, finisce che vengono risputati all’istante dalla cassetta delle lettere.

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