Illustrazione di Elisabetta Mitrovic

il cammino dei vulcani - diario di bordi /1

Ogni cammino inizia sempre allo stesso modo

Marco Pastonesi

Parte il viaggio di Marco Pastonesi (e compagnia) tra i vulcani alle porte di Roma: nove giorni per nove tappe a piedi, da Oriolo a Cerveteri

Ci sono cammini che emergono da una mappa, ci sono cammini che nascono da un sogno, ci sono cammini che sorgono da una scommessa, ci sono cammini che risorgono dalla storia, ci sono cammini che si tramandano a parole, ci sono cammini che si seguono a segnali, ci sono cammini che arrivano da lontano, ci sono cammini che tornano a casa, ci sono cammini che vengono dal cuore, ma tutti i cammini cominciano nello stesso modo. Un passo. Il primo passo.

Il primo passo del Cammino dei vulcani è nella stazione ferroviaria di Oriolo Romano. Il cartello riporta soltanto Oriolo. Una targa fissa l’altitudine sopra il livello del mare: 409 metri e 60 centimetri. I treni giungono da Roma e da Viterbo. Il binario si sdoppia soltanto nella stazione. Le finestre della stazione al primo piano sono aperte, al secondo piano chiuse. Le stazioni ferroviarie – quelle secondarie, quelle sopravvissute, quelle resistenti - sono diventate, come è nella loro natura, luoghi di passaggio: e non si staziona più. Tanti spazi chiusi, vuoti, liberi (che paradosso: la libertà è il contrario della chiusura, e anche del vuoto).

Il primo pensiero è dunque una speranza: che un giorno il secondo piano non sia più chiuso, vuoto, libero, ma aperto, abitato, occupato, e che vi si possa stazionare per informarsi su questo viaggio: nove giorni per nove tappe a piedi, da Oriolo a Cerveteri, ma anche tappe di uno o più giorni, singolari e plurali, individuali e collettive, organizzate e anarchiche, solitarie e accompagnate. Niente di che, anzi, molto di che: cartine, mappe, magari una guida, e un sorriso. Il primo passo dovrebbe essere sempre fatto con un sorriso. Come una regola.

 

Oriolo, la faggeta, la Ciclovia del lago, Trevignano. I compagni di viaggio – ambientalisti (Settimio Cecconi), vulcanologi (Sandro Conticelli), botanici (Stefano Valente), geologi (Ilaria Mazzini) e artisti (fra cui Elisabetta Mitrovic, suo l’acquerello che illustra questa pagina) – spiegano, interpretano, rivelano. Una ventina di chilometri. Fatti e rifatti, da millenni. Da una parte la Via Claudia, dall’altra quella etrusca che collegava Veio a Ceri, più in là l’Aurelia, più in qua la Flaminia. E la Francigena, onnipresente. Eppure il Cammino dei vulcani è una prima volta. Tracciare un percorso che già esiste, ma scollegato. Forse era soltanto innominato.

Oggi, a suo modo, è un battesimo. Con tanto di madrine e padrini. Il sentiero – i cartelli segnalano incroci e innesti – è tracciato e battuto, curato e pulito. Facile, soffice, delicato, anche nei colori. Respira. È per tutti. Boschi. Squarci di cielo. Frontiere di colline. Un fontanile. Infine il Lago di Bracciano che si scorge, che si allarga, che si spalanca, che si fa strada sabbia e acqua. E Trevignano. Il ritorno alla vita urbana, automobilistica, non più parco ma parcheggio, non più cinguettii ma clacson, non più tronchi e ceppi ma sedie e tavolini. La scrittrice Giulia Caminito sostiene che il tramonto più affascinante sia quello da Vicarello, ma anche a Trevignano sorprende e rapisce. L’ultimo raggio è sempre un miraggio.

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