l'eccezione
Preferisci l'Iran o vincere? Alireza ha scelto
Firouzja, che si candida a essere lo scacchista più forte del mondo, ha voluto la seconda
La promessa degli scacchi ha diciotto anni e deve scegliere: la vittoria o il suo paese. Alireza Firouzja non è (ancora) il più bravo di tutti, ma è senza dubbio il più interessante dei giocatori in circolazione. E’ nato a Babol, in Iran, nel 2003. E’ il numero due al mondo e il primo, con distacco, nella sua categoria, quella degli under 20. Ha una storia particolarmente strana per gli scacchi: i genitori non sanno giocare e non sono stati loro a spingerlo ad iniziare, cosa che è avvenuta sostanzialmente per caso a otto anni. Strano anche questo, perché otto anni sono un’età già troppo avanzata perché il cervello riesca a sviluppare adeguatamente determinate tipologie di connessioni sinaptiche ritenute indispensabili per poter raggiungere i massimi livelli. Alireza è un’eccezione.
A dodici anni – solo quattro dopo l’esordio – era il campione nazionale iraniano. A sedici ha ottenuto il titolo di Grande Maestro, il massimo riconoscimento che la Federazione internazionale degli scacchi può attribuire a un giocatore: se ne contano circa 1.300 in tutto il mondo. Ma la sorpresa più grande è arrivata lo scorso novembre, quando Firouzja è diventato il più giovane scacchista di sempre a sorpassare i 2.800 punti Elo – un traguardo che, in totale, hanno raggiunto soltanto tredici giocatori in tutta la storia degli scacchi. Il punteggio Elo è una metrica della forza di uno scacchista nelle varie discipline: standard (la più importante e la categoria storica, quella con partite lunghe e ragionate), rapid (partite da 15 minuti) e blitz (3 minuti). Questo punteggio è ciò che conta di più nella vita di un giocatore. Per essere il migliore non basta vincere il campionato del mondo e, in questa disciplina, non capita mai che ci si giochi tutto in un singolo torneo. Il sistema Elo è pensato per valutare un giocatore nel tempo, tenendo conto di tutte le sue mosse in ogni partita. E’ una misurazione complessa e spietata perché non perdona una distrazione in un torneo minore, periodi di stanchezza e singole cadute.
Quando lo scorso novembre Alireza Firouzja ha superato i 2.800 punti Elo, il mondo degli scacchi è impietrito. Non perché fosse appena entrato nell’Olimpo dei pochi che ci sono riusciti e non perché fosse il più giovane in assoluto ad averlo fatto. Perché, quel giorno, ha spezzato un incantesimo: ha battuto il record del dio degli scacchi Magnus Carlsen. Norvegese, classe 1990, 731 mila follower su Instagram dove la sua bio recita: “Campione del mondo di scacchi e il giocatore con il rating più alto di tutti i tempi”. Carlsen non è soltanto il sovrano indiscusso degli scacchi contemporanei. Sui social lo seguono anche molti che del gioco ne capiscono relativamente poco, perché la sua disinvoltura e la sua proverbiale arroganza sono divertenti e per conoscere i segreti della routine con cui mantiene in salute mente e corpo (mangia sano, fa il bagno nelle pozze gelate, visita posti splendidi e fa moltissimo sport). “Find beauty in repetition”, scrive spesso.
La Federazione iraniana gli aveva imposto di ritirarsi per evitare di ritrovarsi un israeliano di fronte
E’ il campione del mondo imbattuto dal 2013 ed è quasi universalmente riconosciuto come il più forte di tutti i tempi. “Quasi” perché, secondo alcuni, si contende ancora la corona di “goat” – greatest of all time – con Garri Kasparov, il leggendario campione sovietico e poi russo, ora fiero oppositore di Vladimir Putin da cittadino croato residente a New York. A oggi, Alireza Firouzja è l’unico che si possa scorgere all’orizzonte con una reale chance di mettere in discussione il dominio a lungo incontrastato del campione norvegese. Ma, per arrivare dove è arrivato, ha dovuto abbandonare il suo paese e rinunciare alla cittadinanza. E’ una scelta di fronte alla quale l’Iran mette molti dei suoi atleti, giocatori e menti migliori. Semplicemente perché nelle competizioni internazionali c’è anche Israele, il nemico esistenziale. Gli iraniani non tollerano che un loro cittadino si confronti con quello di un paese che non riconoscono, che per la propaganda della Repubblica islamica non dovrebbe esistere e che – hanno sempre minacciato – prima o poi smetterà di esistere.
Per molti campioni iraniani una simile scelta di vita dipende anche da quanto sono bravi, ma nel caso di Alireza la questione non si pone. Nel 2019, a Mosca, la Federazione della Repubblica islamica gli aveva imposto di ritirarsi, in quella occasione c’era il rischio concreto che si ritrovasse un israeliano seduto dall’altro lato del tavolo. Alireza è andato nel panico. La richiesta era tutt’altro che a costo zero, significava il sapore amaro della sconfitta a tavolino, con la consapevolezza che, di conseguenza, sarebbe precipitato nel punteggio con cui si stabilisce la classifica mondiale, e poi non avrebbe più potuto sperare in un primo premio lussureggiante: un milione di dollari. Bruciava ancora di più perché quella di Mosca era un tipo di competizione per cui lui è particolarmente portato, basata sulla rapidità di ragionamento e di esecuzione. Sono i tornei rapid e blitz. Alireza nel ragionamento veloce è favoloso, lo dice anche Hikaru Nakamura, uno dei più forti Grandi Maestri in circolazione che, come Carlsen, è diventato anche una star del web: “Insieme al campione mondiale Magnus Carlsen e a me, Alireza Firouzja è il più bravo del mondo in quanto a rapidità di ragionamento e reazione”. Questo Nakamura non lo ha detto oggi, ma quando l’iraniano aveva quindici anni: nel frattempo è migliorato.
A Mosca, Alireza ha scelto di vincere. Quindi ha giocato senza la bandiera della Repubblica islamica dell’Iran. Il tricolore verde, bianco e rosso con al centro la scritta stilizzata “Allah è grande” poi ripetuta ventidue volte sui bordi. Adesso lui vive a Chartr, in Francia, le procedure per ammetterlo alla Federazione nazionale sono avanzate in parallelo con quelle per naturalizzarlo cittadino francese. Firouzja farà sognare, e guadagnare moltissimo, gli scacchi della République. Per la Repubblica islamica è una grande perdita. L’Iran è un paese sotto sanzioni che lo hanno quasi isolato dal resto del mondo, Alireza era un modo per continuare a farne parte e un colpo di fortuna, un orgoglio nazionale che alla propaganda iraniana sarebbe piaciuto sfruttare. Anche perché si è posizionato come astro nascente degli scacchi proprio nel momento in cui, più o meno all’improvviso, sono tornati a splendere.
Sono forse il gioco più famoso del mondo e una metafora perfetta per descrivere complotti criminali e congiure di palazzo nei dialoghi delle serie o nei retroscena politici dedicati alla partita del Colle. Ma, dal punto di vista della pratica del gioco, ci si erano posate sopra due dita di polvere. Esclusi i professionisti e un (pur nutrito) gruppo internazionale di nerd che usa ancora i forum online, non ci giocava più nessuno. Poi è successo qualcosa: un nuovo hype, una seconda giovinezza. Con il lockdown, con il mondo fermo e le persone annoiate chiuse dentro casa, molti hanno riscoperto gioie (e frustrazioni) dell’assalto al re avversario, curando la difesa del proprio. Ingobbiti sulle sessantaquattro caselle bianche e nere che ospitano i pezzi di legno lucidato davanti al fidanzato, alla moglie, al figlio. Oppure dietro a un prosaico schermo del computer. Ovviamente del nuovo successo è stato complice fondamentale un altro schermo, quello sintonizzato su Netflix. La sua produzione originale “La Regina degli Scacchi” è una (un’altra) brutta traduzione di un titolo in lingua, “The Queen’s Gambit”, cioè il gambetto di donna, una popolare apertura – un inizio di partita – per chi gioca con il bianco. La serie ha fatto numeri record raccontando la storia di una scacchista americana nata negli anni Cinquanta e cresciuta in un orfanotrofio, dove ha scoperto e coltivato il suo dono del giusto mix tra intuizione, memoria fotografica e costanza, che è quello che rende grandi i giocatori.
Per l’Iran questo giocatore era un orgoglio, ma l’ideologia ha vinto. Ora Alireza farà grande la Francia
Poi, a conclamare il fenomeno, sono arrivati gli streamer. Gli influencer (dei giochi) la cui benedizione è indispensabile a rendere davvero di massa ogni fenomeno contemporaneo. La piattaforma Twitch è famosa per i gamers, siamo abituati a trovarci gente in t-shirt e pantaloni della tuta che gioca ai videogame per ore mentre migliaia di persone li guardano in azione per intrattenersi o scoprire le tecniche dei migliori. Su Twitch sono sbarcati gli scacchisti. Anche loro giocano per ore, davanti a una telecamera che li immortala in primo piano, con gli occhi incollati alla scacchiera sullo schermo, e adesso anche loro hanno milioni di follower. Su YouTube commentano partite, impartiscono lezioni, i loro tic e le loro caratteristiche distintive diventano meme. Nel 2020, la principale piattaforma di scacchi online, Chess.com, ha organizzato e ospitato il primo PogChamps: un torneo di scacchi destinato solo alle personalità di internet – principalmente streamer di altri giochi, star del web. Gli scacchi sono l’avanguardia che tutti i più seguiti videogiocatori del mondo non vedono l’ora di imparare. Gli scacchi sono tornati e visto che si gioca in larghissima parte su internet, sono entrati a far parte a pieno titolo – e al pari di ogni altro e-sport – del multimiliardario mercato dell’intrattenimento online.
Oggi la corona è così salda sulla testa di Magnus Carlsen che lui si annoia e ha dichiarato pubblicamente che sta perdendo interesse nel Campionato del mondo. In una intervista con il proprio sponsor ha detto che, da quando ha strappato il titolo alla generazione precedente nel 2013 – battendo il campione indiano Vishy Anand – e dopo averlo sempre difeso contro la generazione contemporanea, ormai confrontarsi con i suoi colleghi non lo diverte più. Con una sola eccezione. Carlsen ha detto che l’unico con cui gli piacerebbe giocare è “un rappresentante della nuova generazione”. Non ha fatto nomi, ma sappiamo che si riferisce ad Alireza.
Universalismo individualistico