Facce Dispari
Maurizio Casula, l'ambulante dei film per resistere a Netflix
Porta i film in piazza e combatte la distrazione innata fra i più giovani, drogati di serie tv. La sua ricetta? "La passività è importante. Il cinema ti toglie pulsanti e telecomandi e ti costringe all’attenzione"
Alla fine, fra i cento modi in cui poteva amare il cinema, e lo ha amato, Maurizio Casula ha scelto il più romantico o attinente al suo passato da girovago: portarlo tra i paesi del Nord e Centro Italia nella bella stagione con tanto di programmazione e attrezzature per le proiezioni all’aperto, più il futuro ricordo di una sera d’estate che quando tornerai d’inverno nella stessa piazza, senza schermo e sedie messe in fila, sembrerà un altro posto. Due regioni e 32 date nel 2020, tre regioni e 34 date nel 2021 con ‘il cinemambulante’: avventura intrapresa sette anni orsono dopo altre che probabilmente non si sono mai concluse.
Casula, cinquantun anni, nativo di La Spezia, durante l’inverno non prepara solo la stagione successiva, ma da patito innamorato del cinema lo frequenta più che spesso: dodici volte dal primo gennaio al 28 scorso. Perseguendo una cocciuta, dolorosa statistica, conta il numero delle persone in sala. Neppure cento, ma 98 in totale in queste dodici ultime volte.
Signor Casula, altro che distanziamento in sala. Se è come dice lei s’apre un abisso tra uno spettatore e l’altro.
Per ‘Illusioni perdute’, che ha la bellezza di 15 candidature ai Premi César 2022, ero addirittura l’unico spettatore.
Colpa del Covid?
Il Covid ha dato una spallata, ma le sale erano semivuote già prima. Colpa della disabitudine: ci sono ragazzi che non vanno al cinema da due o tre anni. Nei decenni ’70 e ’80 capitava spesso di sopportare la fila per entrare. Negli anni Duemila c’è stato il declino. Forse è vero che il cinema è uno spettacolo che appartiene al Novecento.
Lo spostamento sulle piattaforme e sulle serie tv è necessariamente un male?
Sì, se ne ingolli grosse quantità giusto per ‘stare sul pezzo’. Una volta c’era l’appuntamento settimanale con ‘Radici’, con ‘Twin Peaks’: avevi sette giorni per digerire una puntata e commentarla. Adesso puoi persino accelerare la velocità di riproduzione per vederti tutto ‘Squid Game’ in una sola giornata. La soglia di attenzione si è ridotta a pochi secondi, se in quei pochi secondi non sei catturato cambi serie. Se non c’è lo schiaffo visivo o sonoro, il pugno in faccia, te ne vai. Una volta a una rassegna sperimentai la proiezione, a un gruppo di ragazzi, de ‘I Caschi bianchi’, cortometraggio straordinario sulla guerra in Siria vincitore di un Oscar. Dissi: ‘Guardatelo, dura appena quaranta minuti’. Quando finì, una ragazza in sala non riusciva a smettere di piangere. Se l’avesse visto sull’iPad, dopo qualche minuto forse avrebbe cambiato. La passività è importante. Il cinema ti toglie pulsanti e telecomandi e ti costringe all’attenzione.
Il cinema itinerante è un’opera di resistenza?
Ricalco quel che si faceva ai primi del Novecento, quando le sale erano quasi inesistenti o proiettavano in via occasionale, sicché giravano queste specie di baracconi che noleggiavano le pellicole e le portavano nelle piazze. Ho due proiettori, quattro schermi, audio multicanale perché la qualità sonora fa la differenza. Sbaglia chi pensa che montaggio e sonorizzazione siano solo aspetti tecnici. Dietro c’è tanta arte, c’è l’ingegno. Perciò trovo inconcepibile chi proietta addirittura in mono, con una cassa a sinistra dello schermo, pensando che per il pubblico di una sera sola vada bene lo stesso. Qualche volta, se proiettiamo il muto, porto un’amica che suona musica dal vivo. Utilizzando una custodia in legno che nasconde il ‘cuore’ digitale per simulare i proiettori di un tempo.
Quanti film propone?
Tra aprile e maggio fornisco ai Comuni una lista di due o trecento titoli che spaziano in tutti i generi, ma può capitare una proiezione anche fuori stagione: l’anno scorso, per Natale, in una chiesa sconsacrata a Cornaredo in provincia di Milano vennero cento persone. Di questi tempi, una folla.
Le maggiori difficoltà?
La concorrenza illegale, quelli che girano e non pagano i diritti. Purtroppo i Comuni a volte tollerano. Fanno il paio con chi cracca le password delle piattaforme per risparmiare dieci euro al mese.
Non le viene voglia di star dietro una camera anziché dietro il proiettore?
Fatto. Tra i cortometraggi che ho girato uno andò alla Mostra del Cinema di Venezia. Mandai la videocassetta e non solo lo presero, ma quel corto inaugurò l’edizione 1994. S’intitolava ‘C’è Nessuno?!’: un omaggio a mio padre, la storia di uno speleologo che perde la torcia e si smarrisce in una grotta, un film al buio giocato sul suono. All’epoca lavoravo come magazziniere a Milano e stavo spesso nei locali sottoterra. Quella era la mia esperienza. Ho fatto il regista di cortometraggi dal 1988 al 2018, ma anche un mucchio di altri lavori: proiezionista, responsabile di multisala a Milano, produttore esecutivo nella pubblicità, ma anche il barman e il pasticciere.
La sua pagina Facebook, ‘L’arca cinematografica’, conta 20.926 follower.
Con una peculiarità: commento i film solo con chi li ha già visti. Altrimenti è rumore di fondo: non voglio influenzare le scelte, sono dell’idea che bisogna fare da soli. Non voglio essere condizionato né condizionare. Ognuno deve arrivarci col suo gusto al cinema, non passando per le recensioni.