conversazione tra i quadri
Roma oggi è ancora una musa. Lo sguardo di tre pittori sulla Capitale che cambia
Nella città dove più di tutte la storia si è accumulata e stratificata, non è facile sapere dove volgere lo sguardo. Gli artisti e i loro quadri offrono un punto di vista nuovo. A colloquio con Giorgio Ortona, Mauro Reggio e Silvia Codignola
Giorgio Ortona, "Le palazzine di Roma", olio su tavola, 2010
Giorgio Ortona, "Cemento romantico", olio su tavola, 2011
Giorgio Ortona, "Le palazzine di Roma", olio su tavola, 2010
Giorgio Ortona, "Emanuele salvato dall'Atac", olio su tavola, 2018
Giorgio Ortona, "Coronavirus Flaminium", olio su tela 2020
Mauro Reggio, "Tangenziale", olio su tela, 2011
Mauro Reggio, "Via Giolitti", olio su tela, 2011
Mauro Reggio, "Palazzaccio", olio su tela, 2016
Silvia Codignola, "Da Ponte Sisto". Olio su tela, 1996
Silvia Codignola, "San Francesco d'Assisi". Olio su tela, 2003
Silvia Codignola, "Palazzo Spada". Olio su tela, 1998
Se la pittura serve – anche – ad allenare lo sguardo, a formare il gusto, allora a Roma servono i pittori. Una città antica, piena, dove non si sa più da che parte girarsi, a volte drammaticamente divisa tra il bello dei monumenti e delle abitazioni borghesi e il discutibile, se non il brutto, delle zone ex industriali e popolari. I pittori possono aiutare a colmare questa spaccatura e portare l’osservatore a concentrare lo sguardo per una volta su qualcosa di diverso dalle solite vedute da cartolina. Lo fa Giorgio Ortona, classe 1960, ebreo tripolino a Roma dall’infanzia, allievo di Antonio López García che lo ha indicato perché partecipasse alla Biennale di Venezia nel 2011. Un pittore palazzinaro. “Dipingo le costruzioni degli anni 50 e 60, ma non sono un artista di denuncia. Altrimenti guarderei a Tor Bella Monaca o Corviale. Invece dipingo le palazzine che trovo belle, dal Tiburtino a quelle che si vedono dal parco di Monte Mario”. “Cemento romantico” è il titolo di un quadro, “Borgata Parioli” un altro. Umorismo yiddish, gli ha fatto notare qualcuno. Un rovesciamento paradossale di quel “Vietnam di Roma nord” maldestramente indicato da Pietro Castellitto. “Quanto si offendono ai Parioli per quel titolo! Io mi diverto, i titoli per me sono fondamentali, alcuni sono lunghi alla Wertmüller, altri li cambio nel tempo e faccio impazzire galleristi e collezionisti”.
Ce n’è uno che sembra particolarmente spassoso, “Emanuele salvato dall’Atac”. “E invece questo è veritiero: Emanuele Di Porto riuscì a sfuggire ai rastrellamenti nazisti del 16 ottobre 1943 grazie alla solidarietà dei tranvieri romani che per due giorni lo nascosero, dodicenne, tra mezzi e depositi”. Così a 88 anni è finito ritratto accanto al tram, uno dei non così numerosi volti espressivi che si trovano sulle tele di Ortona: “La maggior parte delle facce che dipingo sono neutre, perché non sono quello che mi interessa”. Lui è un pittore scientifico, appassionato alle strutture, un architetto di formazione.
A Roma c’è tanta architettura storica che può stimolare un pittore. “Ma ho evitato i monumenti finché non ho trovato una prospettiva nuova che facesse per me: dall’alto, con Google Maps. Allora ho dipinto anche il Colosseo”. O il Palazzetto dello sport, altro titolo geniale: “Coronavirus Flaminium”. “La forma è quella! L’ingegnere Pier Luigi Nervi era il massimo, per me”. Tradizione e innovazione, un solido bagaglio tecnico e un uso liberissimo della tecnologia per scovare punti di vista nuovi, anche in una città trita e ritrita come Roma. “E comunque non ho dipinto mai en plein air, ma sempre da foto che scatto. Non sono un naturalista, nemmeno un figurativo in realtà”. Questo perché le ampie porzioni di bianco o di colore che occupano parte dei suoi quadri “non sono meno importanti della palazzina, o dei personaggi che appaiono come il soggetto principale”. Non tagli selettivi, dunque, ma una libera composizione dove l’unica cosa che conta è lo sguardo complessivo dell’artista.
Qualcuno invece taglia deliberatamente. Lo fa Mauro Reggio, e non solo perché ripulisce Roma – non dalla monnezza, ma dalle macchine e dai passanti: “Dipingo spesso la tangenziale perché mi ricorda il film ‘Metropolis’ di Fritz Lang, quella strada è la Metropolis de noantri. In uno di questi quadri da una certa prospettiva si doveva vedere la nuova stazione Tiburtina, quella con le superfici a specchio. Non mi interessava, l’ho eliminata. Macchine e passanti invece li cancello per evitare l’impressione che la tela rappresenti un istante preciso”. Così architetture spesso dimenticate della Capitale – oltre alla tangenziale, la torre-serbatoio razionalista della stazione Termini e il gazometro – si tingono di metafisico, anche grazie ai colori surreali del cielo. Che però in fondo, per chi la luce di Roma ce l’ha presente, sono surreali solo fino a un certo punto. “Ho fatto cieli di tutti i colori, dal fucsia al nero pece. Ma di recente ho iniziato anche con l’azzurro, ed è vero che i rosa e gli arancioni trovano la loro ispirazione diretta in certe albe o tramonti che si vedono solo a Roma”. Un altro modo, questo, di schivare l’effetto cartolina cogliendo però qualcosa di essenziale dello sguardo sulla capitale, tant’è che Mauro Reggio il Colosseo e altri monumenti li dipinge eccome.
Silvia Codignola invece a volte preferisce tagliare i monumenti simbolo di Roma: “Anni fa ho dipinto questa veduta da Ponte Sisto, si dovrebbe vedere la cupola di San Pietro, e invece non c’è”. Il cupolone sarebbe inevitabilmente diventato il soggetto del quadro, che invece vuole mettere a fuoco altro. Il ponte, forse. “No, nemmeno, direi l’acqua del Tevere, o meglio, lo spazio vuoto che indica. E’ una sorta di proscenio vuoto, con gli argini a fare da quinte, una reminiscenza del mio lavoro da scenografa”. Un modo diverso di esplorare Roma, città teatrale al massimo livello, certo, ma più spesso rappresentata dal punto di vista del teatro barocco, con i suoi palchi decisamente affollati. “La mia esigenza come pittrice è semplificare. Oggi viviamo un momento dell’architettura che pure è in qualche modo manieristico, con queste superfici quasi magmatiche. Ma a me interessa l’essenza delle strutture”. Silvia Codignola non dipinge Roma da un po’, ma ci sono elementi di Roma anche nei suoi quadri di oggi, perché la città è “un palinsesto, con la stratificazione che la caratterizza sin dall’antichità, visibile anche sui singoli edifici. E anche la memoria visiva funziona così, per accumulo. Quindi qualcosa di Roma, un dettaglio, una particolare combinazione di forme che ho visto andando in giro, torna nei miei quadri anche quando il soggetto è tutt’altro”.