da 60 anni di un capolavoro
Il “Giardino dei Finzi Contini” racconta la nostra storia
Un romanzo dedicato alla giovinezza e al tempo che serve per diventare adulti attraverso l'eterna e sfuggente Micòl: “Ho scritto il libro per identificarmi con lei. I poeti si confessano sempre attraverso uno dei loro personaggi", disse Bassani
Sessant’anni dopo, Micòl Finzi-Contini è ancora affacciata come da un davanzale dal muro di cinta di corso Ercole Primo d’Este, a Ferrara (non più soltanto F., come Bassani scriveva fino ai primi anni Cinquanta. Non un luogo misterioso e vezzoso, ma un posto reale, e anche inventato, più vero del vero: come il Giardino che non è mai esistito ma dopo sessant’anni è sempre lì, con il campo da tennis appena abbandonato).
Micòl Finzi-Contini è sempre giovane e bella, altera, sfuggente, studia e traduce Emily Dickinson, seduce per gioco e per un senso del tragico che è evidente a lei soltanto. Gli altri sono concentrati sul presente e sul futuro, lei ha la testa sempre rivolta all’indietro, verso “il buono, il dolce, il pio passato”. Negli anni delle leggi razziali Micòl ride in faccia a Malnate, l’amico comunista, quando parla di un domani “democratico e sociale”. Micòl gioca a tennis, legge, flirta, si laurea senza lode perché uno dei professori di Ca’ Foscari è nazista e lei è ebrea, e ride allegrissima nel raccontare che ha risposto a quell’umiliazione “con il più impeccabile dei saluti romani”.
Nel febbraio del 1962, più o meno oggi, uscì la prima edizione del Giardino dei Finzi-Contini, che lo stesso anno vince il Premio Viareggio e che è dedicato: a Micòl. Alle illusioni perdute, a Proust, alla giovinezza, ma soprattutto alla storia che ha determinato il nostro presente e ha ucciso Micòl, l’unica che non voleva soccombere. Gli altri Finzi-Contini che si muovono per il giardino, che leggono in biblioteca, che siedono a tavola, sono ombre gentili, sono borghesi ammutoliti e ignari, sono già morti.
“Ho scritto il libro per identificarmi con Micòl. I poeti si confessano sempre attraverso uno dei loro personaggi. Anzi: tutti i loro personaggi, se sono tanti, sono forme del loro sentimento. Micòl è come me”, ha detto Giorgio Bassani anni dopo. Micòl è la forma del sentimento di diversità e consapevolezza, è Giorgio Bassani che dal 1938, a ventidue anni, fa lezione di nascosto agli studenti espulsi perché ebrei, a Ferrara: legge Vittorini, Montale, García Lorca, Cechov, gli americani, fa scoprire i libri rossi di Einaudi. Molti di quegli studenti ferraresi accolti da Bassani sono morti ad Auschwitz. Più veri del vero, più reali di Micòl ma non più veri di lei, che forse non ha avuto nemmeno una sepoltura.
Dopo sessant’anni, possiamo dire che Il giardino dei Finzi-Contini è un romanzo eterno e che Micòl non svanirà mai: è un romanzo sul tempo e sulla sofferenza che serve per diventare adulti. Il protagonista desidera Micòl, Micòl desidera vivere, scavalcare il muro di cinta e scappare. Ma poiché va avanti con la testa sempre rivolta all’indietro, non scappa mai davvero, e i nazisti la troveranno lì. Nel film di Vittorio De Sica, che vinse l’Oscar nel 1972 come miglior film straniero, Dominique Sanda compare in cima alla scala mentre un tedesco pronuncia male il suo nome: Mìcol, dice, e lei lo corregge andando verso di lui: Micòl.
Anche questa scena è entrata per sempre nella storia del Giardino e del Romanzo di Ferrara, ed è successo contro la volontà di Bassani, che non l’ha mai scritta, si è rifiutato di firmare la sceneggiatura, se in tivù sentiva pronunciare il nome di Vittorio De Sica spegneva e lasciava la stanza, e dopo quel film non è mai più andato al cinema. Bassani considerava Micòl soltanto sua, la forma del suo sentimento. Ma Micòl ormai è nostra, come quel bacio non dato, come quel poco che il cuore riesce a ricordare.
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