Foto di Haywood Magee tramite Getty Images 

Amore di pietra. Una vita con un corrispondente di guerra

Gaia Montanaro

Grazyna vive aspettando che il marito Wojciech torni a casa. L’attesa e il desiderio, la paura e il panicoma la vita va avanti per tutti, non rimane cristallizzata in attesa dell’ennesimo ritorno

L’attesa è una cosa complessa. E’ come attraversare distanze enormi restando immobili. La cosa migliore è frazionare il tragitto in piccole tappe da superare una alla volta, separatamente. Non bisogna lasciare che lo spazio da percorrere si sveli in tutta la sua estensione, perché causerebbe momenti di totale fallimento”. Una vita in attesa è quella che trascorre Grazyna aspettando che il marito Wojciech, tra i più importanti corrispondenti di guerra polacchi, torni a casa. Una vita che racconta in questo L’amore di pietra (Keller, 262 pp., 17,50 euro). Attende da una vita una telefonata, quella che gli dirà che suo marito è stato ucciso in una parte remota del mondo. Si prepara da una vita alla sua morte. L’attesa, insieme alla paura, all’apprensione, al dolore, le scava dentro un solco che piano piano diventa un abisso da cui non riesce più a tornare indietro. Si perde in una vita che la costringe a sopportare a distanza – ma in modo presente – il dolore di chi ama, di portarne insieme il peso, i lutti, l’orrore che ha accumulato negli occhi.

 

Il prezzo da pagare è un disturbo da stress post traumatico che costringe Grazyna a ricoverarsi. Dalla clinica dove trascorre la sua degenza scrive una lunga ed intima lettera al marito, per provare a spiegarli cosa abbia significato vivere una vita in guerra senza averne provato l’esperienza, rimanendo esclusa dai fatti ma dovendone sopportare le conseguenze. I dolori di cinquantatré guerre. “Vivere con qualcuno che può morire varie volte all’anno ha i suoi lati positivi, anche se non sono subito evidenti. Si acquisisce una diversa fiducia nella vita, che somiglia alle stagioni dell’anno, si rinnova dopo ogni crollo, molto più forte di prima. E’ una fiducia nei segmenti di vita di breve durata, bisogna arrivare alla fine del mese, fino a Natale, alla prossima primavera. Grazie a questo frazionamento si hanno idee più chiare e sensazioni più intense, come in punto di morte, non c’è tempo per gli errori”. Grazyna e Wojciech amavano viaggiare, insieme. Avevano progettato una vita nomade, abitata da quella passione comune. Ma ad un certo punto per Wojciech era arrivato il giornalismo e con esso l’abnegazione assoluta, il desiderio di vivere fino in fondo una professione che definisce la propria essenza, quello che si è. E che molto ha a che fare con una vocazione. Per questo forse certi lavori non si possono lasciare – non si può chiedere di ridimensionarli – perché questo significherebbe chiedere di abdicare ad una parte di sé stessi, ad un’espressione della propria natura. Abbandonare qualcosa per cui si è sacrificato molto, un molto non più recuperabile. Ma questo comporta anche lasciare dietro di sé dolorose macerie con cui spesso devono fare i conti quelli che ti amano.

 

Grazyna rimane schiacciata da quelle macerie perché quella non è la vita che ha scelto. E quel tipo di vita, per riuscire ad affrontarla, bisogna sceglierla e abbracciarla. E’ usurante vivere all’estremità, sempre sul crinale, e costringere chi ti ama a fare lo stesso. Ad abitare una terra di confine. Non basta l’amore, occorre l’indole, il temperamento per vivere la vita su questo confine. Occorre almeno una possibilità di condivisione. “La sua nuova vita, che ci era cresciuta accanto, in parte con il nostro consenso, aveva preso il sopravvento e occupava sempre più spazio dentro di noi”. Una pienezza di vita che Wojciech sperimenta altrove, lontano dalla sua famiglia che per lui è un puntello a cui tornare. Non rendendosi conto però che la vita va avanti per tutti, che non rimane cristallizzata in attesa dell’ennesimo ritorno. E che in quello spazio vuoto si possono perdere le coordinate, si può perdere il senso del proprio sacrificio. Ci si deve arrendere a un amore di pietra.
 

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