La Biennale cancella la centralità dell'uomo? Notizia fortemente esagerata
L’uomo non è quasi mai stato al centro. Lo si impara al liceo. Questi allarmi sono vecchi almeno qualche millennio
Ditemi voi se uno certe cose deve scoprirle dai giornali. Le pagine culturali spiegano che la Biennale di Venezia del 2022 annuncia la fine della centralità dell’uomo e io, che fino a pochi minuti prima stavo bevendo il caffè compiacendomi della mia essenzialità nell’universo, sono rimasto oltremodo deluso e non nascondo che la rivelazione mi ha parzialmente rovinato la giornata. Mi sono consolato però con un rapido excursus storico. La centralità dell’uomo è un’invenzione relativamente recente. Il liceo l’abbiamo fatto tutti quindi sappiamo come per i primi filosofi greci – che sugli appunti di terza superiore indicavamo sbrigativamente come “Talete: quello dell’acqua”, “Anassimandro: quello dell’apeiron”, “Anassimene: quello dell’aria” – l’arché dell’universo, il suo principio regolatore e momento d’origine, fosse un elemento o un qualche curioso miscuglio astratto, da cui il nostro mondo si era staccato per condensazione o rarefazione, tale che la nostra realtà altro non facesse che bramare di annullarsi ritornando al confuso magma primigenio, sentendosi anche in colpa per essersene separata.
Ancora Democrito, contemporaneo di Socrate, poneva a caso il mondo al punto che il nostro corpo e la nostra anima risultavano essere un conglomerato di atomi vorticanti, destinati a disgregarsi e riaggregarsi in uno spaziotempo infinito, sufficiente a riordinarli in tutte le combinazioni possibili secondo un disordine ben articolato, cerume e candela, mucca e platano, macchina da cucire e ombrello, dove il centro è ovunque e in nessun luogo.
E’ stato col cosiddetto illuminismo greco, fra i sofisti e Socrate, che l’uomo è diventato misura di tutte le cose e ostetrico della verità. E’ tuttavia durata poco, poiché già Platone sbilanciava il baricentro verso l’iperuranio, trasformando la nostra vita nell’anelito dell’anima a ricordarselo; il neoplatonismo e il suo fratello di maggior successo, il Cristianesimo, ponevano al centro con qualche complicazione l’anima mundi, l’Intelletto, il Verbo. Seguiva all’incirca un millennio e rotti che, secondo la frettolosa ma efficace definizione di Burckhardt, poteva definirsi teocentrico.
Cambiano le cose con Pico della Mirandola, e non solo lui, quando la dignità dell’uomo viene ravvisata nella sua libertà ma soprattutto nella sua medietà, nell’essere perno e copula dell’universo, potenziale angelo e potenziale bestia. Copula che viene interrotta nel giro di decenni quando Copernico, maledetto, ridisegna la mappa orbitale e ci relega in periferia, scotendo alle fondamenta le nostre convinzioni e presunzioni più radicate: “A new philosophy calls all in doubt, scriveva allora John Donne, e Spinoza vedeva nell’uomo solo un modo finito ossia una manifestazione limitata della sostanza universale, mentre Pascal infieriva sull’uomo sperduto in un remoto angolo, un’angusta prigione nella natura infinita; giù fino al globo di Leopardi, ove l’uomo è nulla, e alle amare considerazioni pascoliane su quest’atomo opaco del male.
Salvo accessi di temporaneo e ingenuo entusiasmo, la centralità dell’uomo ha storicamente persuaso meno il dotto dell’incolto. Perfino Nietzsche, che filosofava col martello onde demolire tutte le proiezioni sovrumane e assolute che trovava castranti (le Idee platoniche, il Paradiso cristiano, l’imperativo categorico di Kant), finiva per ammettere che poi centro e senso di tutta l’operazione non era l’uomo ma il suo superamento. La notizia sulla Biennale è dunque fortemente esagerata. Cos’è rimasto dunque della centralità dell’uomo in duemilasettecento anni di storia, già prima che la pandemia ci dimostrasse come il pangolino sia molto più rilevante di noi? Ben poco: le fregnacce sull’essere affamati e folli, il bla bla bla millenarista degli ambientalisti sul cambiamento climatico causato dal capitalismo, l’individualismo sterile dei profili social dove, di tanto in tanto, rilanciamo giulivi la notizia che qualcuno o qualcosa annuncia la fine della centralità dell’uomo: l’inizio di una nuova era che, a pensarci bene, vive da millenni.