Tutto tranne l'amore. Libri e film per un San Valentino anti retorico
Una breve selezione di dieci opere piene di disperazione, perfette per trascorrere al meglio la festività più appassionata dell’anno
Un giorno, non molti anni fa, lessi una frase che mi rimase impressa. Era sull’amore, o meglio, su ciò che significasse la parola “amore”. Se non ricordo male, apparteneva a Louis-Ferdinand Céline – un genio che in effetti non se l’era passata benissimo, in vita – e recitava: “L’amore è l’infinito abbassato al livello dei barboncini, e ci ho la mia dignità, io!”. Vai a dargli torto, pensai all’epoca – e dire che, stranamente, non avevo litigato con nessun fidanzato, perché non ce l’avevo. Ma ricordo anche che San Valentino era alle porte, e la frase di Céline fu il colpo finale con cui, dentro di me, uccisi l’idea che mi ero fatta dell’amore – in tutti i casi, pessima.
Da qui l’impulso, ogni volta, di celebrare la festività più appassionata dell’anno leggendo un libro e guardando un film a tema, in cui o qualcuno viene tradito, o qualcuno muore, o qualcuno viene prima tradito e poi muore – quasi sempre ammazzato visto che, ricordiamolo, San Valentino (di Terni) venne decapitato da un centurione romano nei pressi di Ponte Milvio.
Dunque, ci sembrava giusto regalarvi un tocco di romanticismo suggerendovi cinque libri e cinque film in cui la disperazione regna sovrana, anche perché – come dicevano in “The Handmaid’s Tale” – “ogni storia d’amore è una tragedia, se si ha la pazienza di aspettare”.
L’odore del sangue di Goffredo Parise (Rizzoli)
L’odore del sangue, film di Mario Martone
Un po’ trascurato, un po’ dimenticato, un po’ lasciato da parte, Goffredo Parise non è uno di quegli scrittori che viene letto, oggi, con l’attenzione che gli spetterebbe, eppure ha scritto dei gran romanzi, ultimo ma non ultimo L’odore del sangue, di cui sfortunatamente non ha potuto vedere la pubblicazione quand’era in vita. L’edizione di Rizzoli è a cura di Giacomo Magrini e Cesare Garboli, ed è ammissibile pensare che sia quanto di più vicino a ciò che l’autore avrebbe voluto.
La storia di Silvia e Filippo (quest’ultimo, voce narrante) è quella di un matrimonio in crisi, ma non solo. Il tradimento, che come un virus parte da lui e poi colpisce anche lei, non è un semplice atto di fiducia mancata, è il primo contatto diretto con il sesso vero, quello volgare e selvaggio, e quindi con la morte. Fra i temi cruciali che il romanzo attraversa, mentre si fa portavoce soprattutto della vicenda di Silvia – che da moglie tradita diventa traditrice per eccellenza, informando il marito che il suo partner è un giovane di borgata – ci sono la colpa, il significato della confessione, la verità come luogo sconosciuto e, d’un tratto, illuminato da un fascio di luce accecante. È in questo senso che Parise, attraverso simboli fallici e descrizioni di alcune scene di sesso, ci porta fino alle soglie dell’aldilà: l’odore del sangue subentra a traino della gelosia, e la gelosia si manifesta quando dai racconti di Silvia a Filippo si scatena “il divino”, ossia la prepotenza del membro maschile che l’accompagna ad un passo dalla morte.
Il sesso è morte, la gioventù è vecchiaia, la verità non è che menzogna.
L’apparenza delle cose di Elizabeth Brundage (Bollati Boringhieri)
L’apparenza delle cose, film di Shari Springer Berman e Robert Pulcini
Da un grande classico italiano ad un contemporaneo americano, che è giunto a ben cinque edizioni. L’apparenza delle cose di Brundage si presenta come un thriller psicologico perfettamente architettato, in cui si sommano elementi gotici, antropo-filosofici e sociali.
Ci troviamo nello stato di New York, in un tardo pomeriggio d’inverno, quando il professor George Clare rientra a casa dall’università e trova sua moglie Catherine nella stanza da letto, in una pozza di sangue e con un’ascia in testa. Sua figlia è lì vicino, mentre si dondola ripetendo “mamma malata”. Inizia così la storia di questo matrimonio che più infelice e più storto non si può. Due ragazzi che si sono conosciuti ai tempi degli studi universitari, lei che rimane incinta per caso e lui che è costretto a sposarla per non disonorare la famiglia. L’amore non esiste, non c’è mai stato né mai ci sarà: è quanto emerge dalla narrazione delle vicende di tutti i personaggi – i due protagonisti, George e Catherine, si trovano infatti alle prese con numerose altre persone che ruotano attorno alla loro vita, tra cui i tre fratelli Hale, che finché i genitori non sono morti (lei ammazzata dal marito, lui suicidatosi subito dopo) hanno abitato proprio nella fattoria ora acquistata dai Clare; gli amici Justine e Bram, coppia ricchissima, piena di passione e di amore reciproco; i coniugi Travis, vicini dei Clare (sarà proprio il signor Travis, della polizia, ad essere avvisato da George e a trovare il corpo di Catherine in quello stato); la giovane Willis, che intratterrà una turbolenta relazione clandestina con il protagonista, presto scoperta dalla povera e ingenua Catherine.
In questo romanzo a più voci, il racconto della storia di ognuno e i relativi dettagli diventano fondamentali per comprendere non chi abbia ucciso Catherine – la deduzione è facile, arrivati ad un certo punto – ma il perché l’abbia fatto. “L’apparenza delle cose” è soprattutto un romanzo su come si muore, quando e perché, è una lunga riflessione sullo stare al di sopra delle parti e sulla colpa di essere “il diverso”, che sente, conosce e prova cose che per tutti gli altri sono indecifrabili.
La bestia nella giungla di Henry James (Il Saggiatore)
La camera verde, film di François Truffaut
«Quando perciò le possibilità si fossero esaurite del tutto, quando il segreto degli dèi fosse stato lì lì per venir meno, o forse fosse addirittura evaporato, quello, e quello soltanto, era il fallimento. Non sarebbe stato fallimento andare in bancarotta, compromettere il proprio onore, passare per la gogna, essere impiccati; fallimento era essere nulla».
Di nuovo in libreria in un’edizione tutta sua – a cura di Alberto Rollo – grazie a Il Saggiatore, il racconto lungo La bestia nella giungla è l’occasione giusta non solo per riscoprire un piccolo capolavoro di James, ma per fare i conti con il deserto in cui abbiamo imparato a vivere. Il lungo colloquio tra i due protagonisti, il “poor” John Marcher e Miss May Bertram, si trasforma in una lunga e articolata riflessione sul vuoto, sul senso mancato del vivere, sull’incapacità, soprattutto, di accogliere l’esistenza nella sua forma più autentica, quella dominata dal rischio, dal pericolo e dalla passione. Il povero Marcher, da sempre in attesa di questo evento traumatico che avrebbe dovuto cambiare il corso della sua vita – la bestia acquattata nella giungla, appunto –, non si rende conto che in realtà tutto quel che non accade e che lui non accoglie – compreso l’amore – sono, di fatto, la bestia che lui si aspetta prima o poi di vedere. Divorato dal vuoto e più di ogni cosa dal non capire che quel che abita è un nulla, Marcher finirà i suoi giorni in preda all’angoscia, assistendo come spettatore neutrale al processo vitale altrui, che non gli appartiene e non potrà mai sentire suo.
Soltanto Miss Bertram si renderà conto di quel dramma senza fine, e fino all’ultimo dei suoi giorni tenterà di proteggere quel suo “poor” Marcher cui ha sacrificato tutte i suoi sforzi, le sue attenzioni.
Morsi di Marco Peano (Bompiani)
It – capitolo uno, film di Andy Muschietti
«Ormai era chiaro a entrambi che diventare grandi significa imparare a dire addio».
Anche a noi è chiaro qualcosa, e fin da subito, cioè che il nuovo romanzo di Marco Peano non è un horror, né un gotico, né un thriller: “Morsi” è qualcosa di più profondo e orrorifico, un romanzo di formazione e di scoperta e dunque per questo facilmente classificabile come “romanzo nero”.
Abbinare il film “It” non è stata una scelta casuale, prima di tutto per il riferimento che accomuna pellicola e romanzo, e che riguarda l’orrore di un mostro in agguato: se in King è metafora di tutte quelle paure che non riusciamo ad affrontare da piccoli e ci influenzano poi nell’età adulta, in Peano è quasi l’esatto contrario, ossia l’atroce consapevolezza che per continuare a vivere occorre crescere, e che crescere significa gettarsi nella solitudine a fari spenti.
Sonia e Teo, i giovanissimi protagonisti di “Morsi” poco più che bambini, si ritroveranno a fronteggiare una specie di “virus” – che nulla a che vedere con quel che potete immaginare – manifestatosi a seguito di un episodio all’apparenza isolato, e che ha investito la professoressa Andreina Cardone. Il cosiddetto “incidente” sarà il preludio di un percorso articolato e faticoso, in cui i due ragazzini comprenderanno non solo cosa significa diventare grandi ma anche cosa vuol dire far parte di un mondo che cambia in continuazione anche quando – proprio come succede a Lanzo Torinese, il paesino di mezza montagna in cui è ambientata la storia, e dove tutto sembra ancora fermo a cinquant’anni prima – ogni cosa resta immobile lì dov’è.
Peano, che ricompare dopo diversi anni dai tempi de L’invenzione della madre, torna a parlare in qualche modo di paura, sebbene lo faccia con uno spirito, una scrittura e un intento completamente diversi.
Rebecca la prima moglie di Daphe du Maurier (Il Saggiatore)
Rebecca la prima moglie, film di Alfred Hitchcock
Anche in questo caso scomodiamo un grande classico, ma di “Rebecca” non potevamo davvero fare a meno. Quale miglior libro/film (tra l’altro, trasposizione cinematografica quasi del tutto fedele al romanzo) per concludere una serata romantica, se non quello in cui si racconta la storia di una donna che, durante un soggiorno a Monte Carlo insieme alla signora cui fa la dama di compagnia, conosce – per sposare subito dopo, praticamente nel giro di una manciata di giorni – un ricco e affascinante vedovo, Maxim de Winter.
Fin qui tutto bene, ma i danni arrivano puntuali proprio quando la novella signora de Winter varca per la prima volta la soglia della grande tenuta di famiglia di lui, a Manderlay. È lì che, tra le ostilità della servitù e in particolare dell’austera governante, la signora Danvers, dovrà fare i conti con lo spettro di Rebecca, la prima moglie di de Winter, colei che da quella villa non se n’è mai realmente andata.
Un incubo ad occhi aperti è quel che vive la giovane sposa, e che di giorno in giorno si fa sempre più fitto, inspiegabile, atroce. Il romanzo di du Maurier rappresenta alla perfezione la vertigine dell’incompiuto, del passato che torna per infestare la felicità del presente, scalfendo per sempre i desideri e le aspirazioni future.