l'antifuturista
Aldo Palazzeschi aiutaci tu, contro i vizi della “volontà di potenza”
Lo scrittore italiano del Novecento più leggero dell’aria, è ora protagonista di una nuova, esauriente e brillante monografia critica e biografica. “Palazzeschi”, un libro di Gino Tellini
Aldo Palazzeschi, ovvero l’imprendibile, lo scrittore italiano del Novecento più leggero dell’aria, è ora protagonista di una nuova, esauriente e brillante monografia critica e biografica. “Palazzeschi” di Gino Tellini (Salerno editrice, pp. 340, euro 25) è un libro da leggere, per la semplice ragione che il competentissimo critico è davvero ispirato dal suo autore, avendolo letto e studiato per decenni. Del resto la bibliografia su Palazzeschi è vastissima: sfogliandola in fondo al volume noto perfino un articolo di Montale del 1957 in cui si parla sia di Palazzeschi sia di Auden. Non ho a portata di mano gli scritti critici di Montale per verificare di che cosa si tratti, ma l’accostamento lo trovo suggestivo, dato che certamente i due sono accomunati da alcune cose: l’eccezionale mobilità dell’intelligenza e dell’immaginazione, l’originalità sorprendente della tecnica, lo spirito umoristico e satirico. Auden però è intellettualmente assai complesso e arduo, mentre Palazzeschi ha sempre amato la semplicità e l’evidenza; non ha studiato a Oxford e (dice Tellini) è “insofferente di aule scolastiche e di professori”.
Il bello è che la sua incontenibile, incorreggibile libertà e singolarità nel modo di vivere e di scrivere lo ha reso anche indocile nei confronti di quelle particolari “scuole” che nel Novecento sono state le avanguardie di gruppo con i loro manifesti. Palazzeschi ebbe a che fare con il futurismo e con il suo sovreccitato inventore e capo Marinetti; eppure riuscì a sottrarsi con assoluta naturalezza alle regole e agli imperativi che i manifesti marinettiani imponevano.
A coloro che ancora si mostrano molto fieri del Futurismo di Marinetti, prima avanguardia in Italia e in Europa, non smetterei di ricordare l’antifuturismo e la non conformità di Palazzeschi, che pure ne fu a suo modo partecipe. Scrive Tellini: “La militanza futurista di Palazzeschi rifiuta il paroliberismo, il culto dell’egolatria messianica e le trombonate vatesche (direbbe Gadda) di chi vuole rifondare il mondo. Rifiuta le nostalgie superomistiche dannunziane (che vibrano sottopelle in ogni sovversivo futurista, spesso poi ardito e squadrista), l’esaltazione nazionalistica e la furia belligerante […]. Il suo è un futurismo sui generis, antimuscolare e antigladiatorio, ironico e (ciò che più conta) autoironico, pulito e leggero […] Con Palazzeschi, l’io che sale alla ribalta è degradato in chiave autoironica [...] La spettacolarizzazione di Marinetti è eroica, aggressiva e monocentrica, la spettacolarizzazione di Palazzeschi è buffa e policentrica”.
Si direbbe che è tutta una questione di voce. La voce di Palazzeschi non poteva diventare stentorea, non avrebbe mai potuto pronunciare, proclamare, declamare gli articoli dei manifesti di Marinetti: “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarità […] Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno […] Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”. Eccetera. Troppi “vogliamo” in quel manifesto, troppa volontà e poca realtà. L’io volitivo, da Giovanni Gentile a Filippo Tommaso Marinetti, vuole superare la realtà e invece la nega.
Il tono di voce di Palazzeschi è tutt’altro. È quello di una poesia come la celebre “E lasciatemi divertire” (“Il poeta si diverte, / pazzamente, / smisuratamente! / Non lo state a insolentire, / lasciatelo divertire / poveretto, / queste piccole corbellerie / sono il suo diletto”). O come l’altra “Chi sono?” (“Son forse un poeta? / No, certo. / Non scrive che una parola, ben strana, / la penna dell’anima mia: / ‘follia’”). L’eversione, la rivolta di Palazzeschi è sommessa, vive di attenuazioni che però colpiscono e demoliscono, con il minimo uso di energia, sia l’uomo dannunziano che l’uomo futurista, l’esteta e l’attivista, e “ne dissacra i fasti orgogliosi, le pompe superomistiche, le trionfanti mitomanie di dominio” (Tellini). Dopo un secolo di “volontà di potenza” e di relative catastrofi titaniche, i vizi dell’io eccessivo non smettono ancora di dare spettacolo. Uno spettacolo penoso, contagioso, pericoloso. Palazzeschi, aiutaci tu. Aiutaci a non strafare.