Geografie dell'Europa
Dai romantici a Segantini, l'Ottocento in mostra a Padova
Un'esposizione che indaga, attraverso gli artisti ma non solo, il rapporto dell'uomo con la natura. E della montagna in particolare
Caspar David Friedrich, Le bianche scogliere di Rügen, Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart © SIK-ISEA, Zurigo (Philipp Hitz)
Arnold Böcklin, Bambini che intagliano zufoli, 1865, olio su tela. Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart © SIK-ISEA, Zurigo (Philipp Hitz)
Giovanni Segantini, Paesaggio alpino con donna all'abbeveratoio, 1893, circa olio su tela. Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart © SIK-ISEA, Zurigo (Philipp Hitz)
Ferdinand Hodler Sguardo nell'infinito, 1913-1914, olio su tela. Kunst Museum Winterthur, 1923 © SIK-ISEA, Zurigo (Jean-Pierre Kuhn)
In questi tempi post pandemici e purtroppo bellicosi, cercare di distrarsi e di pensare ad altro grazie all’arte può essere una soluzione e – perché no? - magari andando a visitare anche una bella mostra. Se siete a Padova, patrimonio Unesco - oltre alla Cappella degli Scrovegni, al Battistero, alla Basilica di Sant’Antonio e al suo splendido chiostro – non perdete al Centro San Gaetano “Dai Romantici a Segantini: storie di lune e poi di sguardi e montagne”, la nuova mostra in cui il curatore Marco Goldin ha deciso di mettere in pratica il suo studio più che ventennale dedicato all’arte dell’Ottocento in Europa e nel mondo, già in parte raccontato nel libro Il giardino e la luna. Arte dell’Ottocento dal romanticismo all’impressionismo (La Nave di Teseo), vasto ed articolato affresco sulla pittura del XIX secolo.
Il punto di partenza è la collezione di Oskar Reinhart (1885-1965), erede di una grande famiglia di collezionisti della cittadina svizzera di Wintherthur, che come suo padre e suo fratello, iniziò a recuperare ed acquistare opere d’arte senza mai fermarsi neanche durante la Seconda Guerra Mondiale. Pezzi unici e preziosi che negli anni divennero sempre più numerosi fino a formare la sua collezione, portatrice del principio secondo cui “l’arte deve essere accessibile a tutti, soprattutto a chi non ha il denaro per acquistare le opere”. La fondazione aprì nel gennaio del 1951 e il suo lascito consiste oggi in circa 600 quadri e sculture di artisti tedeschi, svizzeri e austriaci dal XVIII al XX secolo, compresi i quasi settemila tra acquerelli e stampe. Alcune di quelle opere, una settantina, potrete ammirarle nella mostra padovana, allestita con giochi di luce sulle opere che le evidenziano al meglio, facendo emergere dettagli che, al contrario, nessuno avrebbe mai notato.
Come, ad esempio, i fiori rossi o il cappello presenti nel meraviglioso Le bianche scogliere di Rügen, quadro/simbolo di questa mostra, dominato da una forza misteriosa e segreta. A realizzarlo fu Caspar David-Friedrich nel 1818, artista che, come pochi, fu capace di coniugare l’osservazione microspcopica con la contemplazione. Questo suo dipinto, come gli altri quattro da lui realizzati, seguono a una prima sezione della mostra che va ripercorrere la storia della pittura di paesaggio in Svizzera dall’ultimo quarto del Settecento di cui Caspar Wolf, con la sua opera dedicata alla montagna, ne è il simbolo. Partendo da quell’idea del Sublime tanto cara a Kant, dipinse montagne e ghiacciai a lui molto cari, scoperte durante le sue lunghe passeggiate, studiate ed amate, fino a decidere di riprodurle, trasformando la sua pittura in testimonianza, dominata comunque da una luce nuova.
Con Arnold Böcklin, artista di Basilea, Goldin continua invece a mostrarci una natura capace di evocare il mondo dell’interiorità di cui Pan nel canneto ne è il simbolo. Tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, la storia tiene insieme l’elemento dionisiaco e quello apollineo e va a mescolarsi con la musica in Bambini che intagliano zufoli, fino quasi a confondersi. Lo sguardo e il mistero del silenzio è il nome dato alla quarta sezione dedicata ad Albert Anker e a Ferdinando Hodler, anche questi sconosciuti ai più, ma basterà ammirare i loro quadri dedicati a diverse scene di vita quotidiana, per innamorarvene. Con La convalescente fu proprio Hodler ad anticipare, influenzandola, l’opera di Munch e del giovane Picasso. Adolph Menzel, invece, “il più grande maestro vivente”, per usare le parole di Degas, fa un racconto speciale della vita facendoci passare del realismo all’impressionismo.
La mostra - promossa dal Comune di Padova e da Linea d’ombra e visitabile fino al 5 giugno prossimo - rappresenta il primo capitolo di un nuovo, ampio progetto espositivo, concepito da Goldin con il titolo complessivo di “Geografie dell’Europa. La trama della pittura tra Ottocento e Novecento”. Trattasi di una sequenza di grandi esposizioni che darà vita a un vasto scenario artistico e storico sulla situazione della pittura in Europa lungo tutto il corso del XIX e parte del XX secolo, volta a far conoscere il punto di partenza dell’arte in Europa a inizio Ottocento: il romanticismo. Non è un caso, quindi, se la Germania è al centro della mostra, assieme alla Svizzera con cui condivide, almeno in una parte del secolo, intenzioni simili soprattutto sul versante del realismo. “Sarà un racconto nuovo e pieno di fascino per il pubblico italiano che verrà condotto a viaggiare, attraverso opere di grande bellezza, entro una pittura che dalla strepitosa modernità dei paesaggi di fine Settecento in Svizzera di Caspar Wolf, che quasi anticipa Turner, arriverà fino a Segantini”, spiega il curatore al Foglio. “In mezzo, una vera e propria avventura della forma e del colore, con paesaggi meravigliosi e ritratti altrettanto significativi”.
Sala dopo sala, ripercorrerete così 150 anni di arte e di storia della Svizzera e della Germania ed è un puro piacere potersi abbandonare alla dottrina della natura tanto cara anche a Rousseau che per non perdersi, agiva con un razionalismo necessario sì a descrivere la realtà, aderendo però all’infinito dello spazio. Quello di Goldin è un racconto, sì – perché di questo si tratta – che indaga, attraverso gli artisti ma non solo, il rapporto dell'uomo con la natura, della montagna in particolare, con il cambiamento della sua essere da luogo “oscuro” a realtà che si apre al turismo, che si trasforma, che diviene meta di viaggio.
Tra occhi, villaggi e montagne, la Svizzera cambia colore con Giovanni Segantini e Ferdinand Hodler, esponenti della grande famiglia del simbolismo internazionale. I coetanei Cuno Amiet e Giovanni Giacometti (papà del grande scultore Alberto), sono parte fondamentale della poesia in immagini della montagna svizzera avendo come spazio dell’anima i luoghi attorno al passo del Maloja. Il Paesaggio alpino con donna all'abbeveratoio (1893) di Segantini, che ricorda un po’ l’Abruzzo di Teofilo Patini, è caratterizzato da un senso di sospensione cosmica, di calma, di beatitudine quotidiana e di una spazialità quasi immisurabile, tanto da confinare con l’eterno. Sguardo sull’infinito, infine, l’enorme olio su tela del 1916 con le cinque figure femminili realizzate da Hodler in abito blu, ci porta a uno dei temi più noti dell’artista, nel parallelismo dei corpi, realizzato in più di una versione. “Tra Hodler e Segantini nasce così la devozione emozionata per la montagna che è insieme spalto fisico e categoria dello spirito”, conclude Goldin, “e la mostra ne darà ampia e appassionata testimonianza, innalzando così alla natura un vero e proprio inno”.
Così come le montagne, quindi, anche quelle splendide fanciulle sono visioni ed apparizioni a seconda dei momenti della giornata che sintetizzano il guardare alla conclusione della vita come a una struggente realtà presa ormai dall’infinito.