Raccontare i punti dolenti della contemporaneità senza moralismi? Si può
Il gran piglio satirico di Matthew Baker in "Perché l'America": era da un bel po' che non leggevamo racconti tanto brillanti e ben scritti
Se lo sono strappati di mano. Rilancio dopo rilancio. All’asta, per aggiudicarsi i diritti di adattamento cinematografico o televisivo del racconto di Matthew Baker “Ergastolo”, erano in otto. Dalla A di Amazon Studios alla W di Warner Bros. Apple+ si è aggiunta all’ultimo momento, e avrebbe potuto vincere. Ma lo scrittore voleva un film, non una serie. Ha vinto Netflix, pagando per i diritti un assegno a sei cifre, e stanziando qualche milione di dollari per la produzione.
Matthew Baker non è nuovo a questi successi. Aveva già venduto a Hollywood quattro altre storie della raccolta “Perché l’America”, ora pubblicata da Sellerio. Se abbiamo contato bene – l’ultimo contratto risale a un paio di giorni fa – ne restano da vendere 8, abbastanza fascinosi per accasarsi presto. Comprate il libro, per portarvi avanti sui film e sulle serie a venire. Ma soprattutto, per spassarvela come raramente capita in questi tempi di scellerata e insistente autofiction.
Da un bel po’ non leggevamo racconti tanto brillanti (nell’ideazione) e ben scritti (conta anche l’esecuzione). Ambientati in un futuro non lontano, o in universi paralleli che differiscono di poco da quello che conosciamo. Come la serie “Black Mirror”, ma priva di moralismi, stuzzicano i punti dolenti della contemporaneità, dai migranti agli anziani al carcere alla voglia di disfarsi del proprio corpo. Temi che di solito sono affrontati con facce compunte e prosa burocratica, e invece Matthew Baker svolge con fantasioso piglio satirico. Vale lo stesso per nuovi obblighi, come la decrescita felice, o i nuovi timori: una madre terra troppo popolata di fastidiosi umani. “Ergastolo” racconta di un uomo che torna a casa da moglie e figli. Condannato a vita, secondo le nuove regole, gli sono stati cancellati dalla memoria tutti i ricordi (a chi ha condanne più leggere vengono cancellati i ricordi di un anno o due, a seconda del crimine commesso). Forte è la tentazione di consultare i vecchi giornali per capire qual era il suo delitto, ma intanto la vita in famiglia ha prodotto altri ricordi, e non vale la pena metterli a rischio.
“Testimonianza di Sua Maestà” è il pentimento di una madre. Vede i suoi figli entusiasmarsi per i libri della biblioteca pubblica, e ripensa alla sua sciagurata infanzia di ragazza schifosamente ricca. Il rapporto consigliato per l’equilibrio spirituale era 100 a 1 – cento oggetti per persona. La sua famiglia arrivava a 9.000:1: soprammobili, scaffali e armadi pieni, la piscina nel giardino. La famiglia dei vicini, altrettanto ricchi ma generosi con la beneficenza, seguiva lo stile pauperistico in voga: “Semplicità, ruvidezza, erosione, ossidazione” (bravi i traduttori Veronica Raimo e Marco Rossari).
Le spose si disperano per lo sponsor fuggitivo, proprio all’ultimo momento. E non uno da poco, che aveva garantito i biscottini o poco più. Disperazione. Telefonate ai possibili sostituti, fornendo i guadagni annui degli invitati (tutto il racconto è zeppo di marche e di marchi registrati). In “Parole in guerra” leggiamo di “parole miraggio”: termini inventati come “sofferismo”, che servirebbero a smascherare chi copia i dizionari. Definizione: “La sofferenza che si prova verso la sofferenza altrui, perfino più dolorosa della sofferenza originale” (utile, in questi tempi di vittimismo). Matthew Baker arricchisce ogni racconto con le sue lunghissime e fantasmagoriche liste, pezzi di acrobatica bravura. Oggetti superflui, stranezze viste dalla cabina di un camion, sensazioni che un giovanotto in transizione – vuole rinunciare al corpo, trasferendo la propria mente in un computer, sotto forma di dati – mai più proverà.