I cattivi di Tolkien sono ancora i migliori. Speranze per la serie Amazon
Il conflitto che ha raccontato il creatore della Terra di mezzo è prima di tutto nella coscienza degli eroi. Non come lo strano manicheismo senza dialogo messo in scena nel "Trono di spade" e negli "Avengers"
Speranze e timori davanti alla serie Amazon “Gli anelli del potere”, ambientata nella Terra di mezzo creata da J. R. R. Tolkien. Si è vista tanta epica al cinema e nelle serie tv degli ultimi anni. Epica in senso lato: conflitti grandiosi che oppongono un eroe alla sua nemesi. Esiste un modo tutto contemporaneo di caratterizzare gli antagonisti di queste narrazioni. Questi “cattivi” assomigliano più a calamità naturali che non a dei malvagi in senso morale.
Prendiamo la serie del “Trono di spade”, tratta dai romanzi di George R. R. Martin, in onda su Hbo. Un grande affresco rinascimentale nelle prime stagioni, anti epico e anti tolkieniano: guerre dinastiche, intrighi, tradimenti. Poi però a un certo punto compare un pericolo diverso: il Re della notte, una creatura che dal gelido nord minaccia di piombare il continente in un’apocalisse zombie e una perenne èra glaciale, metafora pressoché esplicita del cambiamento climatico. Il tutto senza pronunciare una sola parola nel corso di tutta la serie.
Parla di più Thanos, il titano pazzo antagonista degli Avengers nei film della Marvel, ma tutto sommato è un cattivo analogo. Il suo obiettivo è dissolvere con un guanto magico la metà dei viventi nell’universo. Perché? Letteralmente perché “siamo troppi”. Thanos, in una sorta di delirio pseudo ecologista, vede la vita come un virus che turba l’ordine della stasi. Anche qui il male morale c’entra poco: come dice di sé il gigante dalla pelle viola, “I am inevitable”, “io sono ineluttabile” nel doppiaggio italiano.
Di fronte a tali minacce gli eroi dei due diversi archi narrativi, che hanno visto le proprie conclusioni al cinema e in tv entrambe nella primavera 2019, non possono che unirsi in una gigantesca ammucchiata anche se prima si erano fatti la guerra – è successo anche nell’universo Marvel, nel film “Captain America: Civil War”. Una Große Koalition contro l’estinzione globale, puro Zeitgeist. La minaccia è incarnata da antagonisti con i quali non si dialoga e non si media, non lasciano altra possibilità: batterli o perire.
Questo paradigma del conflitto è completamente estraneo a Tolkien. I suoi cattivi – l’angelo caduto Melkor/Morgoth, l’apprendista Sauron – sono sì incarnazioni del male assoluto, e Tolkien è convinto che con il male assoluto non si media. Ma non perché non si può: perché non si deve. Tant’è che nel “Signore degli anelli” qualcuno ci prova, convinto di poter piegare lo strumento del nemico, l’anello del potere, ai propri fini. Il principe Boromir, lo stregone Saruman. I risultati sono disastrosi. Tutt’altro che uniti, gli eroi del “Signore degli anelli” e del “Silmarillion” sono in lotta perenne, tra loro e con se stessi. Un modello di conflitto per nulla manicheo e profondamente “inattuale” che la serie Amazon può sfruttare per infondere nuova vita all’epica commerciale delle serie tv.
Ma, c’è un ma. Nel “Signore degli anelli” Tolkien usa una geniale scoperta/invenzione letteraria come strumento per mediare ulteriormente l’epica: gli hobbit, personaggi piccolo borghesi che sono i veri protagonisti del racconto, a dispetto di grandi principi e guerrieri. E’ grazie agli hobbit e alla loro “mediocrità” che il “Signore degli anelli” è un romanzo autenticamente moderno. Ma la serie Amazon è basata sull’antefatto al “Signore degli anelli”, in un’epoca che nei romanzi di Tolkien vede come protagoniste le nobili dinastie degli elfi e degli uomini. Epica “tradizionale”. Trattare adeguatamente la materia hobbit – la presenza dei mezzuomini è stata annunciata nella serie – sarà la vera sfida degli sceneggiatori Amazon.
Universalismo individualistico