La statua di Taras Bulba a Kaleberda, in Ucraina (foto Wikimedia Commons)

Le anime morte e la guerra di Putin

Paolo Nori

Attaccati alla radio e alla tv russa, in questi giorni, viene in mente che Gogol’ e Bulgakov e l’Achmatova sono nati in Ucraina, e non si capisce come i russi possano bombardare quelle città delle quali ci hanno fatto innamorare

Sono un appassionato di letteratura russa, ho avuto il privilegio di tradurre alcuni dei capolavori, di quella letteratura, e da qualche anno ho il piacere di guidare dei gruppi di appassionati, come me, sui luoghi dove la letteratura russa è nata e si è sviluppata. 
A Pietroburgo, tra le altre cose, vediamo il ponte dove hanno rubato il cappotto a Akakij Akakievic, il protagonista del Cappotto di Gogol’ e, per via dell’assessore di collegio Kovalëv, protagonista del Naso, sempre di Gogol’, entriamo nella cattedrale di Kazan’.
Nel racconto, come si sa, Kovalëv si sveglia un mattino e scopre di non avere più il naso. Si butta una sciarpa sulla faccia, esce, e vede il proprio naso, in divisa, salire su una carrozza. Gli sembra che si comporti come se avesse un grado più alto del suo, consigliere di stato, almeno; si mette a correre dietro la carrozza e vede che, poco dopo, il naso scende e entra nella cattedrale di Kazan’. Kovalëv lo segue, lo vede seduto a pregare, gli si avvicina e gli dice “Mi scusi, mi sembra che lei sia il mio naso”. “Il naso” scrive Gogol’ “aggrottò le sopracciglia e rispose: ‘Lei si sbaglia, egregio signore. Io sto per conto mio. Inoltre tra di noi non ci può essere nessun legame stretto. A giudicare dai bottoni della sua divisa, lei lavora per un altro dicastero’”.

 

Questo viaggio che organizzo si chiama Gogol’ Maps, e ha una versione moscovita, e il primo posto che andiamo a vedere, a Mosca, sono gli stagni dei Patriarchi, una piazzetta del centro nella quale, all’inizio del Maestro e Margherita di Bulgakov, il direttore di una rivista e un poeta chiedono dell’acqua minerale a una donna che sta in un chiosco con scritto “Birra e Bibite”. La donna risponde che di acqua minerale non ce n’è; allora le chiedono della birra, e lei risponde che di birra non ce n’è. Le chiedono cosa c’è, e lei risponde “Del succo di albicocca, ma è caldo”. Le ordinano due succhi di albicocca, lei li apre, e per l’aria si diffonde “odore di pettinatrice”. 

 

Ecco, in questi giorni mi è venuto da pensare che Gogol’, e Bulgakov, grandi scrittori russi, sono nati in Ucraina. E che gli scrittori nati in Ucraina come Gogol’, e Bulgakov, e Anna Achmatova, e Isaak Babel’, e Il’ja Il’f e Evgenij Petrov hanno contribuito alla gloria della lingua russa, e mi son ricordato come mi è sembrato strano, qualche anno fa, quando avevo sentito dire per radio che nelle scuole ucraine avevano vietato l’insegnamento del russo. 

 

Non sono un appassionato di geopolitica, mi occupo di una cosa diversa, la letteratura, ma in questi ultimi giorni sono rimasto attaccato alla radio e alla televisione russa, e ho fatto fatica, a pensare a dell’altro.  E su Dožd’ Tv, un canale indipendente che si vede su YouTube, ho sentito un ragazzo, giovedì mattina, un cittadino russo che diceva che lui era nato a Kiev, e aveva fatto le scuole a Kiev, e a Kiev abitavano sua mamma e suo fratello, e lui si era svegliato quella mattina che la sua nazione, la Russia, bombardava Kiev, bombardava sua mamma, e suo fratello, e poi aveva taciuto e aveva stretto le labbra e non sapeva più cosa dire e gli veniva da piangere e veniva da piangere anche a me. 

 

E mi sono ricordato che Putin, qualche giorno prima, nel suo discorso, quello lungo, di un’ora, una delle prime cose che ha detto è che moltissimi cittadini russi hanno un parente in Ucraina, o qualcuno che comunque è “rodnoj”, che è una parola russa difficile da tradurre e che significa, più o meno, “caro”, ma è più forte, viene da rodìt’, che significa partorire, e se un russo ti dice che sei rodnoj vuol dire che si sente legato a te con le viscere, e io ho chiamato due miei amici che vivono a Pietroburgo e che mi chiamano “rodnoj”, e gli ho chiesto come stanno e loro mi hanno detto che stanno bene, che sono mortificati da quello che sta succedendo e mi hanno chiesto come stiamo noi e io gli ho detto “Bene” e loro mi han detto “Tenete duro”. Loro. A me. 

 

E mi son messo a sentire il primo canale russo, Pervyj kanal, la televisione governativa, e ho sentito che loro non parlano di guerra, parlano di “operazione di denazificazione e smilitarizzazione dell’Ucraina”, e mi è tornato in mente quando anche in Italia si diceva che la guerra in Jugoslavia non era una guerra, altrimenti noi non l’avremmo appoggiata, è contro la Costituzione, era anche quella lì una qualche operazione adesso non mi ricordo esattamente di che tipo.  E ho sentito una donna russa che diceva che lei adesso usciva di casa e andava in piazza Puškin, a Mosca, con un cartello con su scritto “No alla guerra”.  E ho sentito uno scrittore russo che ho conosciuto, Dmitrij Bykov, che ha pubblicato anni fa una raccolta di nuove fiabe russe intitolata Come Vladimir Putin divenne Presidente degli Stati Uniti d’America e altre fiabe russe, che è intervenuto a Dožd’ Tv e ha detto che c’è solo da avere vergogna, e ha chiesto scusa agli amici ucraini per quel che succedeva. 

 

E poi hanno detto che quella donna che era uscita di casa per andare a manifestare in piazza Puškin in piazza Puškin non c’era arrivata perché l’aveva fermata la polizia sotto casa.  E ho visto però che in piazza Puškin la gente passava davanti alle telecamere di Dožd’ Tv con dei cartelli dove c’era scritto “Net vojne”, che significa “No alla guerra”. E hanno detto che Ivan Urgant, uno dei più conosciuti conduttori televisivi russi, che ha una seguitissima striscia serale sul Pervyj kanal, il canale governativo, ha postato sui social un cartello con scritto “Net vojne”, “no alla guerra”.E hanno detto che il ministro degli Interni russo aveva fatto un comunicato in cui diceva che ciascuno, in Russia, poteva avere l’opinione che voleva (“Grazie”, aveva commentato la conduttrice di Dožd’ Tv), ma non si poteva, in Russia, partecipare a manifestazioni non autorizzate. E alla sera, a San Pietroburgo, davanti al Gostinyj dvor, un grande magazzino sulla prospettiva Nevskij, era tanta la gente che diceva, ad alta voce, in coro, “Net vojne”. 

 

E ho visto che quella sera la striscia serale di Ivan Urgant non l’hanno mandata in onda.  E ho poi sentito una dichiarazione della responsabile dei social della televisione filogovernativa Pervyj kanal che diceva che per un po’ Ivan Urgant non sarebbe andato in onda, per via di “importanti avvenimenti socio-politici”. E ho sentito uno che diceva che, nel 2014, quando la Russia aveva annesso la Crimea, la maggior parte dei russi erano entusiasti, mentre adesso i russi, secondo lui, non erano entusiasti per niente erano anzi abbastanza mortificati.  E poi sono andato a letto e il mattino dopo mi hanno invitato a una trasmissione televisiva, Omnibus, sulla 7, e mi sono collegato da casa, con skype, e ho detto più o meno le cose che ho scritto qua sopra, che io non sono un esperto di geopolitica e tutto il resto, più o meno.  

 

E quando mi hanno chiesto cosa pensavo del fatto che il sindaco di Milano aveva detto che il direttore d’orchestra Gergiev, che avrebbe dovuto dirigere La dama di picche di Ciajkovskij alla Scala, la poteva dirigere solo se prendeva posizione contro la Russia, io ho detto che mi sembrava una cosa un po’ esagerata. E ho detto che io, questa cosa che era successa, che da Mosca partissero dei missili diretti a Kiev o a Odessa non la capivo, perché io Kiev la conoscevo dalla letteratura russa, e sapevo, dalla letteratura russa, che il Dnepr è così grande che le aquile che lo vogliono attraversare quando arrivano a metà tornano indietro, e Odessa, la scalinata, la conoscevo dal cinema russo e non capivo come i russi potessero bombardare quelle città delle quali mi avevano fatto innamorare, e che l’unica cosa che sapevo era che mi veniva da piangere.  

 

E poi è finito il collegamento e ho letto che la finale di Champions League che si sarebbe dovuta tenere a San Pietroburgo, l’avrebbero spostata in un’altra città. E poi sono andato dal dottore e son tornato a casa, ho mangiato, poi ho fatto una diretta su Radio 3 e ho parlato venti minuti e alla fine mi ha chiamato la mamma di mia figlia mi ha detto che non si capiva niente di quel che dicevo, era molto disturbato. E io ho pensato che avevo parlato venti minuti per niente. 

  

E poi al pomeriggio ho sentito su Dožd’ Tv che gli organizzatori dell’Euorvision, italiani, se non sbaglio, avevan deciso che, siccome la presenza della Russia rischiava di “riflettersi negativamente sulla reputazione dell’Eurovision”, escludevano la Russia dall’Eurovision. E la commentatrice di Dožd’ Tv, la tv indipendente russa, aveva detto “Noooo, che mi piace così tanto, l’Eurovision…”. E a me è sembrato che prendesse un po’ in giro gli organizzatori, italiani, se non sbaglio, dell’Eurovision. E poi lei aveva detto “Questa cosa è cominciata da un giorno e mezzo, ci hanno già tolto la finale di Champions League, la finale dell’Eurovision, se andiamo avanti così dove andremo a finire?”. 

 

E poi aveva detto che un quotidiano sportivo russo, Sovetskij sport, era in edicola con una prima pagina nera con su scritto, in bianco: “Ne do futbola”, che significa “Non è il momento di parlare di calcio”. E che la Novaja gazeta, quotidiano indipendente russo diretto da Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace, era in edicola con una versione bilingue, russa e ucraina. E poi avevan detto che c’era stato un sondaggio che il 73 per cento dei russi era d’accordo con l’annessione del Donbas. E poi ho saputo che Zelensky, il presidente ucraino, si era arrabbiato con Mario Draghi perché Draghi aveva detto che lui, Zelensky, prima aveva fissato un appuntamento telefonico alle 9 e 30, poi non l’aveva potuto rispettare. “La prossima volta”, aveva scritto Zelensky “cercherò di spostare il programma di guerra per parlare con Mario Draghi”. 

 

E poi alla sera, su un canale internet di un mio conoscente italiano che vive a Pietroburgo avevo visto una foto del centro di Pietroburgo con un cartellone pubblicitario con la faccia di Putin e una grande bandiera russa sullo sfondo e la scritta “Non ci hanno dato la possibilità di agire diversamente”. E mi era tornato in mente che Putin, quando aveva sedici anni, era andato nella sede del Kgb di Leningrado, sul Litejnyj prospekt, vicino alla casa dove abitava Iosif Brodskij, e ancora più vicino alla prima casa pietroburghese dove va il principe Myškin, l’Idiota di Dostoevskij, la casa del generale Epancin e delle sue tre figlie, Alekandra, Adelaida e Aglaja, e aveva chiesto, quel Putin sedicenne, cosa doveva fare per farsi assumere al Kgb. E c’è chi da piccolo vuol far l’astronauta, chi vuole fare il calciatore, chi vuole fare la rockstar, lui voleva fare l’agente del Kgb. E ero andato a cercare nella mia libreria il Trattato politico di Spinoza, e avevo trovato la parte in cui Spinoza scrive “mi sono impegnato a fondo non a deridere, né a compiangere, né tantomeno a detestare le azioni degli uomini, ma a comprenderle, considerando quindi gli affetti umani, come l’amore, l’odio, l’ira, l’invidia, la gloria, la misericordia e gli altri moti dell’animo, non come vizi dell’umana natura, ma come proprietà che gli competono, al modo in cui il caldo, il freddo, la tempesta, il tuono e via dicendo competono alla natura dell’aria” (la traduzione è di Andrea Sangiacomo). E ho pensato che Spinoza aveva ragione, bisognava comprendere, e che io non comprendevo niente.  

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