L'epoca del processo alla carne. Il j'accuse di David Haziza
Il giovane filosofo francese va all’attacco di un mondo asettico e asessuato, igienista e robotizzato che teme ogni desiderio
Nel 2011 New York “aveva ancora un profumo di Ventesimo secolo nelle pieghe della sua vita palpitante (…). Nel metrò ci si parlava, ci si guardava, la seduzione era ovunque. Così come l’ironia, le battute salaci e caustiche, dalle quali chiunque traeva piacere, a prescindere dal sesso o dalla razza. I giovani sembravano sereni, vivi. Oggi non è più così (…). Ho visto New York affievolirsi e i suoi abitanti consumati dalla tristezza e dalla noia”. David Haziza, filosofo di 34 anni e professore di letteratura francese alla Columbia University, ha assistito da vicino alla trasformazione sconvolgente di quell’America che aveva desiderato e sognato leggendo i libri di Philip Roth e ascoltando la musica di Ennio Morricone, “un paese di carne e sangue, con le splendide vendette del Far West e i fantasmi spagnoli di ‘Vertigo’, l’arrivo di Vito a Ellis Island nel ‘Padrino III’ e le Lincoln Continental del primo capitolo”: un tempo culla dei piaceri, oggi, invece, epicentro della nuova morale planetaria.
“Tutto è diventato spaventosamente salubre”, scrive Haziza nel suo ultimo libro, “Le procès de la chair” (Grasset), appello alla resistenza contro un mondo divenuto asettico e asessuato, contro la robotizzazione delle vite e l’annullamento del desiderio, contro l’igienismo covidista e l’ondata MeToo che hanno trasformato gli Stati Uniti in cui abita, e non solo, in un inferno profilattico. “Nella nostra epoca c’è un incontro tra le ideologie puritane, le derive del femminismo che io definisco ‘notarile’, perché considera il sesso come un contratto, e l’evoluzione della società, del nostro rapporto con la tecnologia e con la sorveglianza”, dice al Foglio Haziza, prima di aggiungere: “Il processo alla carne è legato anzitutto alla solitudine delle macchine. Viviamo dietro gli schermi dei computer, ossessionati dalle nostre miserabili prerogative individuali, terrorizzati dal minimo rischio, come dimostrato dalle decisioni autoritarie prese recentemente contro l’epidemia di Coronavirus, e, più indietro nel tempo, con il Patriot Act negli Stati Uniti e altre regolamentazioni di questo genere. In altri termini, il puritanesimo contemporaneo va letto nel quadro di una crescita più generale dell’igienismo, del sanitarismo, del securitarismo, della neutralità”.
Il processo alla carne denunciato da questo giovane filosofo formatosi all’École normale supérieure di Parigi trascende le ideologie e coinvolge sia la sinistra che la destra. “A sinistra, i neopuritani contro cui mi batto sono le adepte del femminismo normativo, i promotori della neutralità sessuale, i militanti vegani che con la loro utopia vorrebbero separare l’uomo dalle sue radici animali, ma anche quei genitori convinti che bisogna crescere un figlio parlandogli sempre gentilmente e ‘comprendendo’ quanto sia dura obbedire”, spiega al Foglio Haziza. “A destra, invece, sono gli apostoli della sorveglianza, quelli che sognano un mondo senza rischi e senza asperità, senza ‘polemos’, o che pensano che senza gli immigrati in Francia non ci saranno più stupri né violenze. E lo ius primae noctis? E Gilles de Rais? E la Grande Guerra? E i crimini coloniali?”.
E qui veniamo alla questione della violenza, a cui Haziza dedica un intero capitolo intitolato “Pour la violence”, rivolgendoci una domanda: e se ciò che manca alla nostra epoca non fosse altro che l’accettazione della violenza? “La violenza è connaturata all’essere umano, alla ‘cagna sessualità’ di cui parla Nietzsche, e penso che in alcuni casi sia qualcosa di positivo: etimologicamente, in francese come in italiano, la violenza è la vita!”, dice al Foglio Haziza. “Il greco α, da cui deriva la nostra biologia, indica sia la violenza che la forza vitale, l’ardore, il calore animale, che distrugge e crea. Parente delle parole latine violentia e vita, possiede al contempo i due significati. Bisogna tuttavia distinguere la violenza dalla brutalità e dalla crudeltà, e la civiltà in questo senso ci aiuta. Dobbiamo conservare la nostra parte di violenza e non diventare dei robot senza emozioni, ma senza sprofondare nella barbarie. Ai nostri giorni, ci sono i robot e i barbari, e assai poco spazio tra i due”, sottolinea. Sulla scia di Georges Bernanos, che nel 1947 scrisse “La France contre les robots”, critica virulenta della “civiltà delle macchine” e del dominio dalla tecnica, Haziza maledice la “civiltà di robot” che stiamo forgiando, “in cui si fabbricano in laboratorio dei bambini che rinchiudiamo in seguito per paura della morte e della malattia”.
“I robot, dopo aver privato l’uomo del suo lavoro, renderanno presto la paura obsoleta, e con essa l’amore, e in seguito il mondo intero. Attraverso gli schermi, un universo sembra offrirsi alle nostre dita e alle nostre menti, ma questi schermi rendono i nostri volti indistinti e distanti”, scrive Haziza nel suo “Procès de la chair”. E ancora: “La città, infine, è diventata una grande stanza di ospedale dove ogni malato sembra felice del letto che gli viene assegnato, a condizione di non soffrire troppo e, senza abbandonarlo, di poter passare i controlli di un aeroporto scelto da lui, e volare, per un weekend o una settimana, in qualche posto nuovo per ‘fare qualcosa’”. Nell’autunno del 2017, quando esplose il movimento MeToo in seguito all’affaire Weinstein, David Haziza era New York, lì dove è iniziato tutto. “‘Me too’, anche io: non sento il grido sublime della donna libera e indomita, ma un pigolio narcisistico. Non vedo la giustizia che recrimina, bensì un selfie sintattico (…). La legittimità del MeToo risiederebbe precisamente nel rifiuto di immolare l’amore – con ciò che comporta in termini di libertà, di animalità e persino di violenza – alla banalizzazione scientista, all’imperativo del godimento a cui la modernità ci sottomette ipocritamente. Ma nonostante ciò, nonostante l’ignominia, incontestabile, di troppi uomini, è stato soprattutto una nuova forma di disciplina, un vero e proprio processo all’amore e alla carne, la consacrazione della plastica. La campagna MeToo è stata la messinscena poliziesca della propriety americana. Nel MeToo non è la libertà delle donne che si esprime, ma lo sforzo razionale di amministrare totalmente e efficacemente i corpi e la natura”, scrive il filosofo francese nel capitolo “MeToo, procès de la chair”. “Il MeToo è il fenomeno più recente di un lungo processo che vuole cambiare l’uomo in ‘materiale umano’, normare ciò che dovrebbe sfuggire al controllo e alla tecnica. È un movimento disciplinare fondato su un’idea molto ristretta del consenso sensuale”, spiega al Foglio Haziza. E aggiunge: “Distinguo naturalmente MeToo dalla legittima e necessaria presa in considerazione di problemi gravi o gravissimi come lo stupro e le molestie, ma anche il crollo della cortesia, della galanteria, e la volgarità generalizzata, di cui le donne sono effettivamente le principali vittime”. La “corsa al vittimismo” del MeToo di cui parla Haziza nel suo pamphlet, figlia del solipsismo in cui ci rinchiudono le macchine, è la stessa delle neofemministe che si battono con maggior vigore per la presenza di bagni transgender nei luoghi pubblici che per il congedo di maternità o per i diritti e le libertà delle donne afghane, ma anche dei “woke” che hanno preso il controllo degli atenei liberal americani, predicano il “politicamente corretto”, la “cancel culture” e la “decolonizzazione delle arti”.
“Uno studente americano può non conoscere Kafka e Welles”, dice Haziza, “ma avrà certamente letto Fanon”, il maître à penser degli intellettuali terzomondisti e figura di spicco dell’anticolonialismo. Contrariamente a una certa idea diffusa, Haziza tiene a ricordare che la “cancel culture” è “un’invenzione dei bianchi”, di un’élite autolesionista, consumata dal senso di colpa verso gli ex colonizzati, un’élite che vorrebbe trasformare l’occidente in un immenso safe-space. Lo stesso vale per il “politicamente corretto”. “Non c’è nulla di più sciocco della sinistra, a parte la destra. Una cosa che è stata assai poco compresa da quest’ultima, in particolar modo in Francia, è che il ‘politicamente corretto’ è il trionfo dello spirito bianco. L’americano di sinistra è costruzionista perché la vita carnale gli fa orrore. Ma questa sensazione di ribrezzo è la manifestazione più patetica della sua bianchezza (…) Intendiamoci: la bianchezza di cui parlo non è una realtà biologica. Non designa un’origine (europea) precisa, ma costituisce un certo spirito. Negli Stati Uniti, è bianco chiunque creda che la purezza esista senza mescolanza”.
L’America è un concentrato delle derive denunciate da Haziza nel suo saggio, ma la Francia non è certo al riparo dal processo della carne: anzi, tra i paesi europei, è stata e continua a essere la nazione più permeabile alle mode provenienti da oltreoceano. Il #MeToo ha avuto subito il suo equivalente in Francia, #BalanceTonPorc, la “cancel culture” non ha risparmiato neppure Napoleone in occasione del bicentenario della sua morte, e il “wokismo” sta penetrando a grande velocità nelle università francesi, tanto da aver spinto il ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, a organizzare di recente alla Sorbona un seminario contro l’ideologia woke. “C’è un tic tutto francese che spinge a voler essere sempre à la page, alla moda, e a inghiottire, in particolar modo, tutto ciò che viene dall’America”, dice al Foglio Haziza. E la gauche parigina, come quella newyorchese, sembra sempre più affascinata dall’indifferenziazione sessuale e dalla negazione del desiderio, dunque del corpo, della carne. “La sinistra vede nell’indifferenziazione sessuale una forma radicale di uguaglianza. La neutralità è molto egualitaria, totalmente egualitaria, lo è in modo totalitario. La nostra epoca non è femminilizzata contrariamente a ciò che pensa Éric Zemmour: è asessuata, neutralizzata”, afferma Haziza. In questo elogio della carne firmato da colui che si era già fatto notare nel 2017 per il suo “Talisman sur ton cœur. Polyphonie sur le Cantique des Cantiques” (Éditions du Cerf) sono molteplici i riferimenti italiani. “Persecuzione” di Alessandro Piperno diventa uno spunto per una riflessione sulle storture del MeToo, e “Riso amaro”, pellicola di Giuseppe de Santis del 1949, che mette in scena le mondine, “donne forti”, “belle e miserabili”, la cui “vita è fatta di fatica, ma anche di sensualità e magia”, è il punto di partenza per una critica del femminismo contemporaneo, sordo a certe “culture femminili”.
Haziza celebra “il viaggio carnale” dei personaggi del “Decamerone” di Boccaccio tanto quanto i dipinti passionali di Botticelli (“La Nascita di Venere” figura in copertina). “Botticelli fa parte dei numerosi riferimenti italiani del mio libro, assieme a Boccaccio, Ariosto, Pasolini. Devo molto all’Italia. Per quanto riguarda Botticelli, ho più volte potuto ammirare agli Uffizi il dipinto ‘Calunnia’. In questo quadro c’è tutto il processo alla carne. Re Mida con le orecchie d’asino è l’uomo che ha perso la propria carne, pronto ad ascoltare il più odioso dei Savonarola. Botticelli stesso ha ceduto al puritanesimo religioso, quello di Savonarola, ed è stato odiosamente calunniato: forse è un dipinto autobiografico. Tra l’altro, era nutrito di dottrina umanistica, quella del Rinascimento fiorentino per cui amor supra intellectum est. La nostra epoca è molto sciocca ma allo stesso tempo, e paradossalmente, molto intellettuale: non vede nulla supra intellectum. Abbiamo persino inventato l’intelligenza artificiale, l’intelligenza perfetta e senza corpo! Ma io voglio l’intelligenza carnale di Botticelli!”, dice al Foglio Haziza. E conclude: “Tengo ad aggiungere che il Rinascimento italiano è stato un periodo profondamente androgino, un periodo di ambiguità sessuale: bisogna accuratamente distinguere l’androginia nei lavori di Donatello, Botticelli, Leonardo, Michelangelo, o ancora nell’opera barocca, nel romanticismo e nel rock, dall’orrore asettico di cui ho parlato. L’androginia è carnale, la neutralità è la negazione della carne”.