Inherent Vice
Stephen Crane, l'americano bohémien
Il "ragazzo in fiamme”, come osserva Paul Auster nella biografia a lui dedicata, è stato uno scrittore, poeta e giornalista di grande importanza letteraria. In Italia è ancora poco conosciuto
A nove miglia da New York e dalla baia di Manhattan, oltre l’Hudson e l’Hackensack River, praticamente alle spalle di Jersey City, si estende Newark, una città di quasi trecentomila abitanti, nota per essere stata il baluardo del Christian Revival nel XVIII secolo, per aver ospitato un bighellonante Thomas Edison alle prese con il tasto telegrafico e aver visto cantare Billie Holiday al club Sugar Hill. Nonché per alcuni birrifici storici (la Ballantine Ale, per intenderci, sponsorizzata illo tempore persino da Ernest Hemingway e John Steinbeck).
Newark ha dato anche i natali a Stephen Crane, precisamente il 1° novembre 1871. Questo nome forse non fa sussultare il cuore del lettore italiano, eppure la letteratura americana gli deve moltissimo.
Quattordicesimo figlio del reverendo Jonathan Crane e di Mary Helen Peck, proveniente da una famiglia solidamente metodista, Stephen cresce con la passione per il baseball, ma è iniziato quasi subito all’attività giornalistica dal fratello Townley che era direttore dell’“Asbury Park Shore Press” (sì, la stessa Asbury Park da cui Bruce Springsteen ci mandò i suoi greetings).
Si stabilisce a New York, dove incomincia a tempo pieno la collaborazione con quotidiani, facendo la vita del bohémien a Bowery Street, una zona di “povertà” e “crimine”, come sottolinea Franco Lonati nella bella prefazione alla prima edizione italiana di Tutte le poesie di Crane (Interno Poesia, 205 pp., 15 euro).
Il romanzo d’esordio, Maggie (1893), è ambientato alla Bowery, “scritto in una decina di giorni e pubblicato a proprie spese dando fondo agli ultimi risparmi”, annota ancora il curatore. Del ’95 è The Red Badge of Courage (Il segno rosso del coraggio, traduzione di Michele Mari, Einaudi), dedicato alla Guerra di Secessione: un libro crudo, brusco, in stile impressionistico, considerato un capolavoro da Hemingway. Crane non ha nemmeno ventiquattro anni.
Questa è la seconda puntata della rubrica Inherent Vice. Come prescrive il diritto marittimo, il “vizio intrinseco” è tutto ciò che non è possibile evitare. Potrebbe essere anche una visione specifica, una chiave di accesso della letteratura americana, a cui questa rubrica è dedicata.
Contestualmente il ragazzotto scrive liriche – lines, secondo il suo gergo – contornate dal free verse di marca whitmaniana, ma con meno fervore patriottico e più arzigogolo intellettuale, che piacerà a Pound e alla tradizione imagista. I critici non le capiscono e sbuffano.
Nelle due sillogi edite in vita, I cavalieri neri e altri versi (1895) e La guerra è gentile (1899), con alcuni componimenti apparsi su riviste, troneggia il tema di Dio. Un Dio inizialmente “cold”, “impassibile”, modellato sull’inesorabile lontananza tracciata dai sermoni metodisti. Pian piano Crane invoca un altro genere di divinità, “forse più simile a quella concepita dal padre Jonathan, ovvero un Dio compassionevole e comprensivo”, evidenzia Lonati. “La voce di Dio sussurra nel cuore/ così soavemente/ che l’anima si ferma,/ resta muta,/ e brama quelle melodie,/ che sospirano lontane, come debolissimi respiri./ E tutto l’essere rimane immobile ad ascoltarle”.
Nel 1898 Crane è ingaggiato dal New York World di Joseph Pulitzer: l’obiettivo è seguire il conflitto ispano-americano a Cuba. Due anni prima aveva conosciuto, a Jacksonville in Florida, Cora Taylor. Con lei viaggia in Inghilterra nell’estate del ’97 (dove stringe amicizia con Conrad e H.G. Wells) e lì si trasferisce, stabilmente, dal gennaio ’99. Alla fine dell’anno è colpito da un’emorragia polmonare, che si ripete nell’aprile del 1900. Giunto nel sanatorio di Badenweiler “al margine della Foresta Nera”, Stephen morirà di tubercolosi il 5 giugno, a soli ventott’anni. Autore di un numero cospicuo di racconti e di altri romanzi – tra cui il picaresco The O’Ruddy e The Open Boat –, Crane è un “ragazzo in fiamme”, come osserva Paul Auster nella biografia a lui dedicata, in uscita per Einaudi.
Ma la potenza mistica dei suoi versi apre interessanti scenari di desiderio e compimento: “Se l’amore ama,/ non c’è mondo/ né parola./ Tutto è perduto/ tranne il pensiero d’amore/ e un posto per sognare”.