"Osceno e pornografico"
L'Ulisse di Joyce censurato ancora prima di essere pubblicato
Scene di sesso nel capolavoro dello scrittore irlandese non ce ne sono, ma le allusioni e i doppi sensi bastarono a scandalizzare. Forse però non ce ne saremmo mai accorti senza le sentenze del tribunale che lo proibivano
Non senza malcelato orgoglio Joyce diceva del suo capolavoro: “Nell’Ulisse ho infilato tanti enigmi che ci metteranno cent’anni a risolverli”. Il secolo è passato – il romanzaccione apparve in volume il 2 febbraio 1922, finemente rilegato in blu per i tipi della Shakespeare & Company – e, grazie agli sforzi degli esegeti, gli enigmi sono stati risolti quasi tutti. Da quando le opere di Joyce sono diventate di pubblico dominio, le edizioni sono proliferate e il lettore italiano, un tempo relegato alla sola traduzione di Giulio De Angelis per Mondadori, in libreria ora può scegliere fra molte la versione che preferisce. Resta tuttavia insoluto l’enigma più grande: perché il libro sia stato per decenni proibito in quanto pornografico, nonostante che non contenga nessuna scena di sesso.
Esagerando, possiamo dire che è stato un caso di cancel culture aprioristica. L’Ulisse è stato censurato prima ancora di uscire: già nel 1918 Ezra Pound, che lo pubblicava a puntate sulla Little Review, edulcorava qua e là parole troppo forti per evitare di far incorrere il testo, e l’intera rivista, nell’occhiuta censura statunitense. Nel 1920 fu l’episodio detto di Nausicaa, in cui Leopold Bloom sbircia una provocante ragazza in spiaggia, a causare il disgusto della figlia di un avvocato e a scatenare suo padre in una battaglia legale vittoriosa. L’anno dopo l’Ulisse era già stato proibito per indecenza. Prima di essere pubblicato e forse anche di essere scritto: Giorgio Melchiori assicura che, al momento della sentenza, Joyce dovesse ancora finire gli ultimi tre capitoli.
Paradossalmente, l’Ulisse è uscito in volume proprio perché era stato censurato. Un bell’articolo di David Bradshaw per la British Library mostra in apparato iconografico il volantino promozionale che ne annunciava l’uscita: la Shakespeare & Company si vantava di stare per diffondere “completo così com’è stato scritto” il romanzo “soppresso quattro volte durante la pubblicazione a puntate”. A Parigi, però. Per l’edizione americana della Egoist press vennero allestiti roghi spontanei, e solo nel 1933 il processo “Stati Uniti d’America vs. un libro intitolato Ulisse” ne consentì la legittima diffusione. La Gran Bretagna seguì a ruota tre anni dopo. Ma in Irlanda, la patria di Joyce che si era resa Stato libero nello stesso 1922, fu smerciato clandestinamente fino al 1966.
Eppure scene di sesso, in questo libro tacciato di oscenità fino a un quarto di secolo dopo la morte dell’autore, proprio non ce ne sono. Prendiamo Nausicaa, che tanto aveva scandalizzato l’avvocato americano. La ragazza sulla spiaggia è vestita di tutto punto e si limita a sporgersi all’indietro per mostrare un po’ le gambe; al posto del solitario orgasmo di Bloom, che la osserva, si descrivono i fuochi d’artificio che esplodono nel crepuscolo (stratagemma narrativo che, in effetti, sarà ripreso mezzo secolo dopo da un classico dei film porno, “Gola profonda”).
Il rapporto sessuale al centro della trama – il tradimento di Molly, la moglie di Bloom, col fumantino Blazes Boylan – viene evocato da una lettera dall’intestazione troppo confidenziale, dal traffico che produce onomatopee con doppi sensi, da un braccio seminudo che dalla finestra fa l’elemosina a un mendicante di passaggio. In centocinquanta pagine di scena al bordello, Bloom e il giovane Stephen Dedalus riescono nell’impresa di non combinare nulla con tre prostitute e una maitresse: a un certo punto Bloom si trova sottomesso e travestito ma è solo un’allucinazione dovuta al dormiveglia. La cosa più sessuale che avviene è un parto in ospedale, comunque celato da perifrasi che riproducono l’evoluzione della prosa anglofona nei secoli; solo quando Bloom rincasa, nottetempo, coricandosi bacia le chiappe della moglie che crede addormentata.
Se insomma non ci fossero stati processi per proibirlo, forse nessuno si sarebbe accorto che l’Ulisse è un libro osceno. Non è solo un enigma che resta insolubile; è anche una lezione che cent’anni dopo mostriamo di non aver imparato.