La cancellazione di Dostoevskij è un segnale pericoloso

Paolo Nori

L'Università Bicocca comunica che vuole rimandare le lezioni sullo scrittore russo, per evitare polemiche "in questo momento di forte tensione". È il segno di un sentimento, nei confronti di chi abbia la colpa di essere nato in Russia, di cui parleremo ancora

Da qualche anno insegno traduzione dal russo alla Iulm di Milano, e martedì mattina, con Ruslan Chechelev, Arianna De Pilla e Chiara Lozito, che seguono il corso del secondo anno, abbiamo tradotto l’editoriale che il premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov ha pubblicato sul numero del 25 febbraio del quotidiano che dirige, Novaja Gazeta. Muratov ha scritto:

 

"Stamattina presto ci siam trovati tutti in redazione. Addolorati. Il nostro paese, per ordine del presidente Putin, ha dichiarato guerra all’Ucraina. E non c’è nessuno che può fermarla, la guerra. Perciò, oltre a essere addolorati, abbiamo anche vergogna.

Dalla mano del comandante supremo, come il portachiavi di una macchina di lusso, penzola il “pulsante dell’attacco nucleare”. Che il passo successivo sia un’esplosione nucleare? Non riesco a interpretare in altro modo le parole di Vladimir Putin sull’arma della rappresaglia.

Ma questo numero di Novaja Gazeta lo pubblichiamo in edizione bilingue: in ucraino e in russo.

Perché per noi l’Ucraina non è un nemico, e la lingua ucraina non è la lingua del nemico.

E non lo saranno mai.

Infine: solo un movimento globale contro la guerra può salvare la vita sul nostro pianeta".

    

Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, in Russia, i principali antagonisti del potere, quelli che si sono fatti carico di dire "una parola di verità" (l’espressione è di Sergej Dovlatov), sono stati gli scrittori. Nel ventunesimo secolo ho l’impressione che siano i giornalisti, e quel che scrive Muratov, nel contesto in cui lo scrive, mi sembra ammirevole, coraggioso e esemplare e sono stato contento di lavorare su questo testo, all’università.

  

 

Dopo la lezione, martedì mattina, ho preso il treno per tornare a Bologna e sul treno ho letto di un fotografo russo, Alexander Gronsky, che ha protestato, a Mosca, contro la guerra, e che è stato arrestato e al quale è stato revocato, da Reggio Emilia, l’invito al festival Fotografia Europea. Ho pensato che l’unica colpa di Gronsky è essere russo. E che oggi è una colpa, in occidente, in Italia, essere russi, anche se si è contro la guerra E sono andato a cercare le fotografie di Gronsky, e ci ho ritrovato la meravigliosa periferia di Mosca, e mi è sembrato di essere nel 1991, e nel 1993, quando ero lì per scrivere la tesi, la più grande impresa della mia vita. E mi è dispiaciuto ancora di più, per il mancato invito di Gronsky, e ho pensato che gli avrei scritto una mail per scusarmi con lui. Arrivato a casa, ho aperto il computer, ho trovato una mail della Bicocca. Io dovevo fare un corso, in Bicocca, su Dostoevskij, quattro mercoledì, su quattro romanzi, Delitto e castigo, Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti, Memorie del sottosuolo, L’idiota, e raccontare il modo in cui Dostoevskij parla di noi, il modo in cui ci ha descritto prima ancora che venissimo al mondo. Il gentilissimo funzionario della Bicocca mi scriveva "Caro Professore, questa mattina il Prorettore alla Didattica mi ha comunicato la decisione, presa con la Rettrice, di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è quello di evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione". Ho riletto il messaggio due o tre volte. Ho risposto "Sono senza parole".

   

Fedor Michajlovič Dostoevskij, nel 1849, è stato condannato a morte per aver letto, pubblicamente, un testo proibito. Le cose che stanno succedendo in Ucraina, al popolo ucraino, sono orribili, e terribile è quello che sta succedendo a Mosca, al popolo russo. Come ho già scritto sul Foglio, quasi ogni famiglia russa ha un parente ucraino, un rodnoj, uno che è legato, all’Ucraina, con le viscere. Questa vicenda italiana che mi riguarda a me sembra ridicola, ma è il segno di un sentimento, nei confronti di chi abbia la colpa di essere nato in Russia, che non è ridicolo, è pericoloso. Ne parleremo ancora, ho l’impressione. Aggiungo soltanto che in questi ultimi anni ho lavorato un po’ su Dostoevskij, per un libro che ho scritto, e la relazione tra Dostoevskij e suo fratello maggiore Michail mi ha fatto venire in mente la relazione tra me e mio fratello maggiore Emilio. Mi sono accorto, scrivendo quel libro, che Emilio è forse la persona a cui voglio più bene al mondo, e non gliel’ho mai detto. Mercoledì mattina, sul treno che mi riportava a Milano, ho letto i commenti a un video, su Instagram, in cui raccontavo quel che è successo. Quello che mi è piaciuto di più è quello di mio fratello Emilio, che di solito non commenta le cose che faccio e che quella mattina ha scritto "Ma sono scemi".