Foto LaPresse / Rodrigo Abd 

La resistenza eroica degli ucraini è l'avanguardia morale dell'Europa futura

Alfonso Berardinelli

Il mondo non avrà pace finché esisteranno regimi dittatoriali e poteri assoluti. Di fronte a una guerra, non essere emotivi è una colpa

E così, dopo due anni di pandemia, all’improvviso tutto è di nuovo cambiato e tutto cambierà. Nelle interazioni globali di ogni fenomeno, gli effetti di una guerra nel cuore dell’Europa, inaspettata fino a un momento prima, non siamo ancora in grado di prevederli, che pure sappiamo, sentiamo che ci saranno, e anche la nostra pace sarà diversa da quella che abbiamo finora conosciuto.
Per la prima volta è la nostra tranquilla, imbelle e traballante Europa a essere coinvolta e colpita. Anche chi si ostina a chiudere gli occhi, presto dovrà aprirli. I regimi autoritari, le dittature in paesi enormi e popolosi, non riguardano solo i loro abitanti, minacciano e minacceranno tutti: anzitutto le nostre democrazie, imperfette per definizione, che riflettono sulle proprie crisi di governabilità, spesso dimenticando che cosa e quanto valgono.


Si è tanto parlato, come di un grave errore, dell’aver tentato per anni e decenni, quelli postcoloniali, di esportare con le armi la democrazia dove non c’era. Sembrava soltanto l’evidente paradosso di cui parlare usando la nostra abitudinaria ironia e la pigrizia del nostro scetticismo generalizzato. In effetti è difficile esportare la democrazia dove non c’è mai stata. La tirannia invece si esporta velocemente con un colpo di stato. Eppure in passato si poteva ricordare ancora, benché fosse un ricordo sempre più sbiadito, che ci vollero proprio le armi e una tenacia, un eroismo eccezionali per contrastare e infine abbattere in Europa occidentale nazismo e fascismo. Restarono al potere Stalin e Franco; e quindi doveva essere facile, già negli anni quaranta, vedere che il trionfo delle liberaldemocrazie era solo parziale. Il confine era ferreo, divideva in due la Germania e quel famoso muro sarebbe crollato solo nel 1989. La lunga pace europea, il benessere, l’odio della guerra e l’estraneità all’uso delle armi, cioè la delega militare dell’Europa agli Stati Uniti, definiti peraltro “gendarme del mondo”, ci ha fatto sentire a lungo civilissimi e al sicuro. Le guerre erano “guerre lontane” o strettamente locali, o non contagiose, come quella nella ex Yugoslavia. Il bello della pace e delle società in cui una nuova, stratificata, culturale classe media copre i quattro quinti della superficie sociale, ci ha fatto sentire dei privilegiati. Ma ci ha anche reso sempre meno sensibili al valore dei nostri privilegi: e questo, a lungo andare, diventa un vizio pericoloso, perché il peggio che vige oltre i confini del nostro nevrotico idillio può diventare contagioso, pericoloso.


Ora è una dittatura, quella di Putin, a voler esportare sé stessa. E questo non è un paradosso su cui ironizzare, come l’esportazione armata della democrazia. La guerra in Ucraina ci priva dei piaceri dell’ironia. E’ semmai un’amara ironia di fatto che gli infaticabili accusatori dell’imperialismo statunitense si siano lamentati dell’abbandono dell’Afghanistan a un governo di talebani.
Qualcuno ha detto che sacre sono le cose di cui non si può ridere. Di quello che sta succedendo in Ucraina, ridere non si può. Non è possibile distrarsi e difendersi mentalmente dalla realtà di questa guerra. Il nostro voyeurismo questa volta non ci lascia illesi. Inviterei i nostri comici a sospendere la loro normale attività. Il presidente ucraino Zelensky, ebreo e ex attore comico, è oggi l’incarnazione politica della tragedia e della serietà dell’eroismo.
All’inizio la sorpresa è sembrata quella di un Putin sia calcolatore che impazzito, due tipiche caratteristiche di ogni uomo solo al potere, che osa invadere militarmente con una guerra subdola e vigliacca, neppure dichiarata, un paese confinante democraticamente governato. Ma subito dopo si è visto che la vera sorpresa, per lui e per noi europei, è stata un’altra. E’ stata la decisione immediata, istintiva e ideale degli ucraini di combattere, di resistere fino alla morte contro un nemico tanto più odioso perché smisuratamente più dotato di mezzi.


L’Europa è sorpresa e dovrà capire che ha bisogno di una coscienza politica della quale non si era mai prima mostrata capace. Era un’evidenza e un problema la mancanza di patriottismo europeo, di un amore degli europei per l’Europa. Ma come potremo non cambiare di fronte a questa guerra?
C’è chi ha provato a ricostruire la storia degli eventi e delle dichiarazioni di Putin che hanno preceduto l’invasione rendendone chiari i presupposti. Risulta infatti che la trasformazione del Putin cauto e moderato di un tempo nel Putin ciecamente aggressivo di oggi ha seguito un crescendo facilmente interpretabile. Senza dubbio la sospettosità di un ex agente del Kgb e la mentalità imperiale che ha dominato la storia russa da Pietro il Grande a Stalin e successori, doveva essere valutata negli Stati Uniti e in Europa occidentale. Gradualmente è accaduto che la megalomania di un dittatore e gli antichi istinti espansivi della più estesa nazione della Terra si siano fusi in un sentimento di rivalsa per le umiliazioni subite dalla Nato, non importa quanto reali e quanto presunte. Chi si sente in declino essendo ossessionato dall’idea di una grandezza passata, può diventare inusitatamente reattivo. L’offesa per la preferenza che gli ucraini hanno mostrato nello scegliere rapporti economici con l’Europa piuttosto che con la Russia, ha infine scatenato l’accecamento di Putin. I dittatori come i boss della mafia sono sempre più permalosi di quanto si creda: il che non significa che il loro isterismo omicida vada compreso e accettato. La conclusione è che il mondo non avrà pace finché esisteranno regimi dittatoriali e poteri assoluti. Qualunque cosa accada, la resistenza eroica degli ucraini militari e civili, è diventata l’avanguardia morale dell’Europa futura. In questi giorni non siamo pochi a pensarlo.
Questi ragionamenti sono sia emotivi che inadeguati. Di fronte a una guerra in corso non essere emotivi è una colpa, ma prima ancora è un rifiuto di capire.
 

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