Svetlana Zakharova e Andrei Uvarov ne “Il Lago dei Cigni” al Bolshoi (Olycom) 

Censura e castigo. In un mese di guerra la cancel culture si è portata avanti col lavoro

Giulio Meotti

Scrittori, musicisti, registi e filosofi russi. Banditi i film di Kirill Serebrennikov solo perché russo. Poco importa che sia finito in prigione in Russia per le sue idee. "L’Occidente ha preso l’abitudine a ‘cancellare’. Il russo è lì per servire come nuova incarnazione del Male"

Quando la Vancouver Recital Society ha annullato un concerto del pianista russo Alexander Malofeev, vincitore del Concorso internazionale Caikovskij per giovani musicisti, la fondatrice e direttrice della società, Leila Getz, ha spiegato che non poteva accettare “concerti di nessun artista russo a questo momento a meno che non siano disposti a parlare pubblicamente contro questa guerra”. Lungi dal sostenere Vladimir Putin, Malofeev aveva affermato che “ogni russo si sentirà in colpa per decenni a causa della terribile e sanguinosa decisione che nessuno di noi poteva  prevedere. Ma non ho mai visto così tanto odio andare in tutte le direzioni, in Russia e nel mondo. Ora vengo contattato da giornalisti che vogliono che rilasci dichiarazioni”. Nelle stesse ore, la violoncellista russa Anastasia Kobekina avrebbe dovuto esibirsi in concerto con il pianista Jean-Sélim Abdelmoula a Ittingen, in Svizzera. Tuttavia, gli organizzatori hanno deciso di annullare il concerto, a causa della nazionalità di Kobekina, nonostante avesse anche lei condannato  la guerra contro l’Ucraina.

  
Gli spettatori del Sofia International Film Festival, che si concluderà il 31 marzo, non vedranno “Petrov Fever” di Kirill Serebrennikov. La direzione del festival cinematografico più importante della Bulgaria ha deciso di cancellare l’ultimo film del regista russo. Poco importa che anche Serebrennikov fosse così poco amico di Putin da essere stato per anni agli arresti domiciliari e che gli sia stato più volte impedito, ad esempio, di andare al Festival di Cannes, mentre lì si celebravano i suoi film. In Irlanda, il Dublin International Piano Competition ha informato il pianista Roman Kosyakov, come tutti gli altri candidati russi, che la sua partecipazione al concorso era stata annullata. E la European Film Academy ha annunciato che nessun film russo avrebbe gareggiato nella prossima edizione degli European Film Awards. Poco importa che anche la maggior parte dei registi russi sia contraria a Putin (non Nikita Mikhalkov, il regista Oscar del “Sole ingannatore”, per il quale l’occidente vuole distruggere l’etica cristiana russa).

   
Un mese di guerra e la cancel culture della cultura russa sta andando a gonfie vele. La città inglese di Manchester, dove con questa notizia scopriamo che c’erano più comunisti che in tutta la Cina, sta pensando di abbattere una statua di Friedrich Engels, che forse non sanno che era tedesco ma gli ricorda troppo il vecchio potere sovietico. Netflix, che è lo strumento più importante al mondo per l’intrattenimento di massa (221 milioni di abbonati), ha cancellato il suo grande adattamento del capolavoro di Lev Tolstoj “Anna Karenina”. Sembra il tweet che all’inizio della guerra in Ucraina annunciò, per scherzo, che Oprah Winfrey aveva rimosso “Guerra e pace” dal suo scaffale di libri. Soltanto che stavolta è vero.

  
In Spagna un Istituto Pushkin si autodissolve in attesa della fine della guerra. Cosa c’entrano Tolstoj e Pushkin con la guerra?  Caikovskij, uno dei più importanti compositori del XIX secolo, è stato rimosso dal programma della Radio Symphony Orchestra di Berlino per “dare l’esempio”. Al suo posto viene suonato il compositore di inni nazionali ucraino Mychajlo Werbyzkyj. In Illinois, la Peoria Symphony Orchestra ha tolto dal programma un altro gigante russo, Sergej Rachmaninoff. Peter Gelb, direttore generale del Met di New York, ha detto che c’è una pressione per cancellare l’ “Eugene Onegin” di Ciajkovskij basato su un romanzo di Alexander Pushkin. Durante la Guerra Fredda, gli scambi culturali hanno fornito un raro ponte tra le nazioni comuniste e l’Occidente e proprio Gelb aveva diretto Vladimir Horowitz quando il grande pianista era tornato in Unione Sovietica nel 1986 dopo 61 anni di esilio. 

 
Una delle poche voci di razionalità sono arrivate dal ministro della Cultura tedesco, Claudia Roth, che ha parlato al concerto di raccolta fondi in Ucraina a Berlino. “Non smetteremo di ascoltare Ciajkovskij e di leggere Cechov. Non voglio immaginare un mondo senza cultura russa…”. Ma ora persino la “quercia di Turgenev”, piantata dal famoso romanziere russo autore di “Padri e figli”, è stata bandita dalla competizione “Albero europeo dell’anno - 2022”. Questi alberi sono troppo legati a Putin… 

 
Ma siamo arrivati anche a questo annuncio dell’Università di Leeds in Inghilterra: “I redattori della rivista ‘Studi di Storia della Filosofia’ hanno deciso di non portare avanti il progetto di un numero tematico sulla filosofia religiosa russa. Nella situazione dell’attacco della Federazione Russa sull’Ucraina, c’è il pericolo che la presentazione delle conquiste dei pensatori religiosi russi del XIX e XX secolo possano essere utilizzate per scopi di propaganda”. Dunque basta studiare Vladimir Solovev e gli altri grandi filosofi religiosi russi. In effetti “I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo” di Solovev deve essere tolto dalla circolazione. Ce lo presentò come una persona “perbene”, l’umanitario che predica pace e amore, un filantropo vegetariano e animalista. 

 
La Frankfurter Allgemeine Zeitung, il più importante quotidiano tedesco, ci informa fin dove può arrivare la cancel culture contro la cultura russa. “La cancellazione dell’opera di Dmitri Shostakovich ‘Mosca, Cheryomushki’ al Teatro di Stato di Augusta è stata decisa con breve preavviso. Il direttore dell’Opera Helikon di Mosca, Dmitry Bertman, che non si era fatto conoscere come putinista, avrebbe dovuto dirigere l’opera di Umberto Giordano ‘Andrea Chénier’ alla Deutsche Oper di Bonn. Ma nell’industria culturale politicizzata, la dissidenza di facciata è un riflesso. E la guerra non lo ha cambiato”.

 
Shostakovich non se la passa bene neanche in America. Racconta il New York Times che “una orchestra sinfonica ha annunciato di aver sostituito il violinista russo Vadim Repin che avrebbe dovuto suonare un concerto di Shostakovich ‘per rispetto della posizione apolitica di Repin’”. Tradotto: visto che Repin non denunciava Putin, lui e Shostakovich sono messi al bando. A Shostakovich era già successo perché non piacque al censore sovietico Andrej Zdanov, che per conto di Stalin aveva emesso il famigerato “manifesto sull’arte”, e fra i compositori Shostakovic fu preso di mira con particolare severità, tanto che perse addirittura il posto al Conservatorio di Leningrado.

  
A Varsavia, in Polonia, l’Opera di Stato ha cancellato tutte le rappresentazioni del “Boris Godunov” di Mussorgsky, un altro nome russo di un certo peso, e che si sarebbero dovute tenere nelle prossime settimane, mentre in Croazia due opere di Ciajkovskij sono state cancellate dal programma sinfonico. Parlando a France Musique, Christian Merlin ha giustamente sottolineato che “Boris Godunov” è un “pessimo bersaglio, poiché il personaggio principale dell’opera di Mussorgsky non è lo zar ma il popolo russo e Mussorgsky è un progressista liberale”. E riguardo a Ciajkovskij, Christian Merlin ha ancora una volta ragione quando ricorda che l’autore dello “Schiaccianoci” “fu stigmatizzato e deriso in quanto non abbastanza russo, troppo europeo, troppo occidentale…”.

  
Ma anche la celebre Philharmonie Haarlem in Olanda ha deciso di cancellare le musiche di Ciajkovskij e Igor Stravinsky…E che importa che Stravinsky abbia trascorso gran parte della vita fuori dalla Russia e che sotto Stalin la sua musica fu bandita? L’ultima volta che Stravinski vide la Russia fu il 1914; poi la guerra e il terremoto d’Ottobre lo trasformarono in un esule, tornando in Russia soltanto nel 1960 (nella Piccola Enciclopedia Sovietica, benché riveduta in era krusceviana, alla voce Stravinsky leggiamo che “La sacre du printemps” è intrisa di “estetismo troppo ricercato”). Si arriva al Museo dell’Ermitage di Amsterdam che interrompe i legami con il Museo Ermitage di San Pietroburgo, da cui prende il nome.

  
“L’odio per la Russia sta andando bene” scrive la filosofa francese Anne-Sophie Chazaud su Causeur, il giornale di Elisabeth Lévy. “Va detto, l’Occidente in decomposizione ha preso l’abitudine a ‘cancellare’! Il russo è lì per servire come una nuova incarnazione del Male che inventeremmo se non esistesse. Ciajkovskij rappresenta chiaramente un pericolo immediato per la sopravvivenza del pianeta. Cercheremo invano in Dostoevskij qualcosa che lo leghi al destino degli ucraini del 2022... Sarà per il termine ‘delitto’ nel suo famoso (e insuperabile) romanzo? Tuttavia, abilmente, l’autore aveva anticipato il ‘castigo’. Ahimè, questo non sarà bastato a fargli sfuggire le forche caudine della caccia alle streghe tanto ridicola quanto intellettualmente e moralmente scandalosa. Quanto a Tolstoj, parlava già di ‘guerra’, questo bellicoso imbroglione… Proprio come ne Il nome della rosa, essendo questo nome ‘senza perché’, lo stesso vale per questa censura: è senza perché, non deve rispondere di niente, è al di là della dialettica, dell’interrogarsi, dell’ironia, dell’arte…”. Secondo Chazaud, autrice di “Liberté d’inexpression: Des formes contemporaines de la censure”, questa censura è rivelativa: “Delle peggiori mancanze di un Occidente i cui sconvolgimenti inquisitori e ridicoli finiscono per spiegare, di per sé, le ragioni del suo stesso crollo”.
Il Festival del cinema di Glasgow ha cancellato la proiezione di due film russi. Russi, non “putiniani”, anche se ormai non fa differenza. Lo stesso ha fatto il Festival del cinema di Stoccolma. La Biennale di Venezia ha messo al bando i russi, a meno che non siano oppositori politici. Nel mondo dei libri, Penguin Random House e Simon & Schuster (che hanno in mano praticamente tutta l’editoria mondiale) hanno tagliato i rapporti con la Russia. La Fiera del Libro di Torino ha deciso di boicottare la Russia, nonostante nel 2020 abbia scelto l’Iran come paese ospite d’onore. Lo stesso ha fatto la Fiera del Libro di Francoforte, che ha messo al bando la Russia ma lascia che il Mein Kampf di Hitler campeggi allo stand ufficiale dell’Arabia Saudita. E poi la Fiera del libro per ragazzi di Bologna ha vietato la presenza dei Russi (l’Associazione Italiana Editori sostiene i boicottaggi delle fiere italiane).
  
Il Festival di fotografia europea di Reggio Emilia ha annullato la partecipazione della Russia come paese ospite, il Festival di cultura russa a Marsiglia non si farà, la BBC annuncia il boicottaggio culturale della Russia, poi è la volta di Cannes, della Disney e a cancellare Cajkovskij sono anche le autorità di Atene.

 
Il Balletto di stato di Berlino a dicembre, quando ancora l’orrenda guerra in Ucraina non divampava, aveva già cancellato “Lo Schiaccianoci” di Cajkovskij stavolta in ossequio al politicamente corretto e alle accuse di razzismo rivolte al capolavoro della musica russa, mentre l’Opera di Parigi aveva annunciato la revisione di “certe opere” volute dal sovrintendente Rudolf Nureyev, come lo “Schiaccianoci”. E poi anche l’Opera nazionale scozzese ha deciso di rivedere lo “Schiaccianoci” nel suo repertorio.
Il celebre biologo americano Jerry Coyne rivela che negli Stati Uniti le università stanno boicottando i manoscritti provenienti dagli scienziati russi. Anna Krylov, professoressa di chimica presso l’Università della California, è nata a Donetsk, in Ucraina, e ha conseguito un master a Mosca. Ha detto di aver ricevuto un’email da uno dei suoi collaboratori, che stava rivedendo per un giornale un articolo scritto da scienziati russi: “Devo informarvi che i redattori del Journal of Molecular Structure hanno deciso di vietare i manoscritti inviati dalle istituzioni russe. Pertanto non posso accettare il manoscritto”.

 
Sulla rivista First Things, Gary Saul Morson, docente alla Northwestern University, racconta di una dichiarazione firmata da numerose organizzazioni, dalla Biblioteca dell’Università di Harvard e da 162 accademici, che richiede il bando di vari artisti, tra cui Anna Netrebko. Le iniziative denunciate nella dichiarazione includono la serie di traduzioni della Columbia University Press di classici della letteratura russa, come i libri di Alexander Griboedov. “Di recente ho ricevuto un’e-mail da un collega che sta lavorando alla traduzione di un classico russo per la serie della Columbia University Press” racconta Morson. “Il suo editore gli ha detto che, poiché la stampa ha rifiutato il sostegno finanziario a sostegno della serie, le sue pubblicazioni avrebbero dovuto essere drasticamente ridotte. La Columbia University spera che il divieto di Griboedov riporti Putin alla ragione?”. Tugan Sokhiev, direttore d’orchestra russo, ha sintetizzato bene il clima: “Presto mi verrà chiesto di scegliere tra Ciajkovskij, Stravinsky, Shostakovich e Beethoven, Brahms, Debussy”. Non è detto che finisca così. Perché “Le Petit nègre” e “L'angolo dei bambini” di Claude Debussy sono state bandite al Kaufman Music Center di New York. “Hanno sfumature razziste”. Sfumature razziste? Debussy mise in musica una bambola che danzava su una ballata di schiavi. 
Se mettiamo al bando questo, figuriamoci quel conservatore reazionario di Gogol’ che disse: “Vedrete che l’Europa verrà da noi non per comperare canapa e lardo, ma per acquistare una saggezza che ormai non si vende più nei mercati europei”. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.