Il libro di Putin

Giulio Meotti

Dopo la prima guerra di Crimea, un filosofo reazionario perorò lo scontro di civiltà fra Russia e Occidente. Oggi ispira il Cremlino

Nel 1871 apparve un libro a puntate nella rivista russa Zaria. Fu dibattuto da tutti i grandi del tempo, da Fëdor Dostoevskij che lo definì “la Bibbia di ogni russo”, al filosofo Vladimir Solovev, che lo attaccò per eccessiva slavofilia. Dopo un’edizione nel 1895, tuttavia, il libro sarebbe andato fuori stampa per un secolo. La Rivoluzione d’Ottobre lo vedeva come reazionario, tossico. Il Dizionario enciclopedico sovietico del 1989 definisce il suo autore un pensatore che giustifica “le aspirazioni scioviniste del regime zarista”. Il libro riapparirà soltanto nel 1991, quando Mikhail Gorbaciov mise fine all’Unione Sovietica. Fu stampato in 70 mila copie, che andarono a ruba in pochi giorni. Soltanto uno studioso occidentale nel 1967 si accorse dell’importanza di questo libro, Robert MacMaster, che pubblicò il saggio “A Russian totalitarian philosopher”.


Si tratta di “Rossija i Evropa” di Nikolaj Jakovlevic Danilevskij. Il libro che Vladimir Putin cita sempre, che distribuisce ai governatori e che contiene le chiavi della guerra ucraina. In “Russia ed Europa”, Danilevsky descrive una competizione di civiltà e un inevitabile conflitto fra la Russia e l’occidente. Danilevski, una sorta di precursore di Samuel Huntington, pensava alle relazioni internazionali in termini di scontri tra blocchi di civiltà e, come l’americano, denunciava l’illusione di un’omogeneizzazione del mondo sul modello occidentale. Danilevski considerava il popolo russo “scelto da Dio” per preservare un’autenticità culturale e una “energia vitale”, di cui l’occidente, frivolo e imbastardito, sarebbe ormai privato.  Danilevskij ha costruito l’Idea Russa in contrapposizione ai valori di un occidente cui andava negata la pretesa universalista. Un concetto che oggi torna con regolarità nella retorica conservatrice del Cremlino. Interrogandosi sulla eventualità che la Russia essa possa far parte dell’Europa, il filosofo risponde secco: “Che ci piaccia o no, la risposta è no”. Per Danilevskij la civiltà europea non è universale, come ritenevano gli occidentalisti. Nella sua visione non esistevano valori o civiltà universali, ma “tipi” storico-culturali autonomi (ne indicava dieci), ognuno dei quali con un proprio, specifico processo di sviluppo. Danilevskij invocava cioè, anche come momento di mobilitazione culturale, la creazione di un’Unione degli Slavi da contrapporre alla naturale ostilità dell’occidente e alla sua aspirazione all’egemonia universale. In questa battaglia, la Russia può contare sia sulla dimensione del suo Impero, la cui espansione non sarebbe conquista coloniale, ma pacifico e naturale insediamento, sia sulla “particolarità etica” del suo popolo che deriva dall’osmosi con chi lo dirige. I russi sono inoltre il “popolo incaricato da Dio di preservare la verità religiosa nel mondo”. Hanno un’energia primordiale derivante da steppa e foresta, dalla forza che esprime la natura del loro paese. Una “linfa vitale” di cui gli occidentali sarebbero sprovvisti. Secondo Danilevskij, una guerra con l’occidente era l’unico modo in cui la Russia avrebbe potuto ottenere una posizione di rilievo a livello internazionale. Come affermava il filosofo, è sempre questo il motivo per cui la Russia, dopo aver intrapreso diverse guerre a favore dell’Europa, fu tradita dalla Francia e dall’Inghilterra, che si allearono con i turchi in occasione della guerra di Crimea. Nel 1854 l’Europa si schierò con il Califfo turco contro la Russia nella guerra di Crimea, mentre Mosca chiedeva di proteggere i cristiani ortodossi nei Balcani e liberare Gerusalemme. Dieci anni dopo, l’Europa tacque quando Prussia e Austria attaccarono la Danimarca per prendere le province di Schlwswig e Holstein. Danilevskij scrisse ironico: “Questa Europa illuminata, liberale e umana…”.


Il pensatore russo sosteneva che, sebbene i paesi occidentali si fossero sempre sentiti più avanzati rispetto a quelli slavi, l’era della civiltà romano-germanica era ormai giunta al capolinea e che quindi la civiltà russa avrebbe dovuto prendere il suo posto.


Konstantin Leont’ev (1831-1891), un altro scrittore citato oggi da Putin, avrebbe sviluppato questo pensiero, riscoperto sin dagli anni Novanta del secolo scorso, in cui mise alla berlina l’Europa secolarizzata, che avrebbe rinunciato alle sue radici cristiane. Detto il “Nietzsche russo” e considerato un precursore di Oswald Spengler, Leont’ev partecipa come medico alla guerra di Crimea del 1853 (una delle ragioni alla base della sua popolarità odierna) e in vecchiaia si fa ordinare sacerdote in segreto per morire nel Monastero di Sergiev Posad. Reazionario, radicale, lontano dalle idee di democrazia, libertà, eguaglianza, Leont’ev mise in guardia dal potere corrosivo dell’Europa sulla forza morale della Russia. In una delle sue opere più importanti, “Bizantinismo e mondo slavo”, come Danilevskij profetizzò un’Europa federale che avrebbe inglobato la Russia, privandola della sua specificità. Leont’ev, influenzato da Danilevskij, articolava una teoria della civilizzazione che prevede tre fasi di sviluppo: un primo periodo di semplicità, una fase di “cvetušcaja složnost’” (complessità fiorente) che rappresenta il momento più alto nell’evoluzione di una nazione e, infine, un tempo di inevitabile declino. Leont’ev ammira la cultura occidentale medievale, ma considera l’Europa moderna in uno stato di irreversibile decadenza. Mosca non deve dunque imitare l’Europa, rischiando essa stessa il declino, ma impegnarsi a fondare una nuova civiltà. In questo senso, sente avvicinarsi la fine della Russia europea e scrive: “La fine della Russia petrina   è ormai prossima. Grazie a Dio. Dobbiamo elevarle un monumento solenne e allontanarcene al più presto, scuotendo la polvere romano-germanica dai nostri calzari asiatici!”. Come Leontev, anche per Danilevski l’Europa, quando non la sfrutta, rifiuta la Russia. L’inimicizia tra Russia ed Europa è strutturale. “La lotta con l’occidente è l’unico mezzo salutare per la guarigione della nostra cultura russa, così come per il progresso della simpatia pan-slava”. Anche Dostoevskij lodava  Danilevski, che ha avuto il suo stesso itinerario ideologico, dal fourierismo alla reazione, ma l’ha rimproverato per la sua “mancanza di chiarezza e fermezza” riguardo al “futuro status di Costantinopoli”. Per Dostoevskij sarebbe stato necessario riprendere Istanbul dai turchi e porre la città sotto il controllo esclusivo dei russi e non, come propone Danilevsky, di tutti gli slavi. Va da sé che per Danilevskij, Kiev è la fonte inalienabile della Russia ortodossa.


Sono passati cento anni dalla pubblicazione del “Tramonto dell’occidente” di Oswald Spengler, che ha avuto un enorme impatto anche su storici, politici e il pubblico europeo in generale, e sul quale ebbe un impatto importante proprio Danilevskij. Anche Spengler ha offerto un’ampia visione comparativa della traiettoria di otto grandi culture (Egitto, India, Babilonia, Cina, Grecia-Roma, Islam, Messico e Occidente) con le loro corrispondenti fasi ascendenti e discendenti. Nella storia non c’è linearità, ma una morfologia di culture diverse, ognuna delle quali è un inventario chiuso su se stesso, unico e irripetibile, ma dinamico e che avanza nel tempo. “Le culture sono organismi e la storia universale è la loro biografia collettiva”. Con questo storicismo biologico, Spengler proponeva che le culture fossero paragonabili agli esseri viventi: sono nate, hanno vissuto pienamente la loro infanzia e giovinezza e dopo aver raggiunto la maturità come civiltà, sono giunte alla vecchiaia e alla decadenza che “non è una catastrofe esterna, ma una rovina interna”. A questo pessimismo cosmico si aggiunse la sua visione profetica di chi sarebbero stati gli esecutori testamentari dell’occidente. Per Spengler, i russi avrebbero un ruolo distruttivo simile a quello dei popoli germanici nella crisi e caduta dell’Impero Romano. Tutto il suo lavoro è stato caratterizzato da una ossessione per la Russia zarista e bolscevica, che avrebbe posto fine all’Europa.


Il filosofo Soloviov diede un nome a questo nazionalismo russo: “Patriottismo zoologico”. L’Europa e l’occidente sono marci, scrivevano gli slavofili di Danilevskij, e la democrazia è un triste e secco regime fondato sul denaro: senza messianesimo, apocalisse, empito spirituale. Senz’anima. Democrazia e capitalismo sono una fuga dall’inferno, ma non promettono paradisi. In realtà sono un purgatorio, e il purgatorio è una nozione cattolico-romana, non ortodossa. Nel purgatorio il peccato è relativizzato, l’espiazione non è infinita, il millenarismo finisce. Non sei vicino a Dio nel purgatorio, ma sei già lontano da Satana.


D’altronde furono i tedeschi esecrati da Danilevskij a dare ai russi i nomi di slavi: schiavi, e questi trasformarono la schiavitù in promessa messianica. Ogni volta che la Russia millenarista è stata incapace di vivere l’umiliazione di una sconfitta è contro lo spirito di Roma antica che si è ribellata, opponendole la sua speciale missione spirituale: la sua missione di Terza Roma, ultima erede della prima Roma e di Bisanzio. L’apocalisse è lo scudo che questa Russia oppone al satanico mondo esterno e con cui si difende dai propri terrori, dai propri disastri storici. Le visioni apocalittiche si accendono ogni volta in cui i russi hanno dovuto vivere una sconfitta: dopo il giogo dei Tartari, dopo la guerra di Crimea, dopo la guerra con il Giappone, dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale e lo storico Leon Poliakov spiegherà come dal mito della Terza Roma nacque perversamente anche quello della Terza Internazionale. La visione si riaccende adesso… 


Una visione fortissima oggi fra i sostenitori di Putin, come il celebre regista di “Sole ingannatore”, capolavoro cinematografico di Nikita Mikhalkov, premio Oscar e amico di Federico Fellini e Marcello Mastroianni. “Personalmente sono sicuro che questa non è una guerra tra Russia e Ucraina, questa non è una guerra tra Russia ed Europa contro l’America, no questa non è una guerra per la democrazia, ma l’ultima offensiva della civiltà occidentale sul mondo russo, sull’etica ortodossa, sui valori tradizionali, su un essere umano che nasce e vive secondo le leggi di questa etica e di queste tradizioni”, ha detto giorni fa Mikhalkov. Nel 2009 il grande regista disse che la sfida principale della Russia era sviluppare una “immunità spirituale” per resistere all’influenza esterna e ottenere una posizione di primo piano nel mondo. “Se questa immunità viene impiantata, nessuna influenza può influenzarci, perché il veleno penetra solo nelle anime vulnerabili e le riduce in cenere. Se le anime sono protette da cultura, religione, storia e tradizione, non hanno nulla di cui aver paura.” Mikhalkov è stato decisivo per riportare in Russia i resti di uno degli ideologhi dei russi bianchi e ispiratore di Putin, Ivan Ilyn, che nel pamphlet del 1950 “Che cosa lo smembramento della Russia comporta per il mondo” anticipa il crollo dell’Urss e indica come salvare la Russia da un occidente che cercherà di smembrarla per indebolirla e soggiogarla, “perché i popoli occidentali non comprendono né sopportano l’originalità della Russia”.


Ma una visione fortissima anche fra i tanti occidentali sedotti da questa Russia reazionaria. Il primo fu lo scrittore francese Paul Morand, che in “L’Europe russe annoncée par Dostoïevski” (1948), un libro poco noto al grande pubblico e mai tradotto in italiano, rende omaggio a Dostoevskij: “Davanti a questa Europa trionfante che tiene nei suoi pugni i due terzi del globo, si alza un uomo, un russo, piccolo, magro, povero e malato che emette questo verdetto: ‘L’Europa è condannata a morte’”. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.