L'Einaudi, Pavese e De Martino. Una corrispondenza di rancorosi affetti
Il lavoro comune alla "collana viola", testi sulla magia, opere etnografiche, saggi di Jung. Poi arrivano i contrasti, e il Pci insofferente all'idea che la sua casa editrice di riferimento pubblichi autori "di destra". Ora le lettere tra l'antropologo e lo scrittore, pubblicate da Bollati Boringhieri, aiutano a ricostruire quel dietro le quinte editoriale
Nel 1943, con la guerra in corso, negli uffici romani di Einaudi in via Monteverdi si incontrano per la prima volta, entrambi trentacinquenni, Ernesto de Martino e Cesare Pavese. Pavese, appena assunto dalla casa editrice e inviato a Roma per gestire la nuova sede, ha pubblicato da due anni Paesi tuoi, il suo esordio narrativo. Anche de Martino due anni prima ha pubblicato un libro, Naturalismo e storicismo nell’etnologia, un’opera antropologica che si poggia sullo storicismo di Croce. De Martino si presenta da Pavese per proporre una nuova collana per la casa editrice dello Struzzo, una serie di libri su temi che allora trovavano poca visibilità nelle librerie e poca attenzione accademica, testi sulla magia, opere etnografiche, saggi di Jung e lavori come Il ramo d’oro di Frazer. Pavese è interessatissimo, e anche Giulio Einaudi. Ma gli eventi della storia bloccano tutto.
Nel ’45, dopo la liberazione, Pavese scrive all’antropologo napoletano: “Saprà che la casa editrice è stata invasa dai nazisti e noi scappati. Poi hanno messo un commissario e stampato porcherie. Pace. Adesso è finita”, e gli chiede se ha intenzione di riprendere la collaborazione. Qui inizia un epistolario tra i due e un rapporto che produrrà una serie di libri ancora oggi stampati e studiati. Le lettere tra i due si possono leggere ne La collana viola che Bollati Boringhieri riporta in una nuova edizione, con una dettagliata curatela di Pietro Angelini.
Il primo libro della Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici, nota appunto come collana viola per il colore delle copertine, è un’opera di De Martino a cui lo studioso ha lavorato fin dalla guerra, una storia del magismo che diventerà un testo nodale per il pensiero contemporaneo. Il libro arriva in redazione ma ci mette quasi un anno a uscire, De Martino incolpa Pavese che in risposta gli scrive: “L’illeggibilità delle prime bozze dipendeva in parte dalla perfidia del tuo manoscritto”. E’ uno dei primi contrasti tra i due. Il mondo magico, che precede già tutte le lamentele à la Byung-Chul Han sulla crisi dell’Occidente e sulla fine dei riti, esce finalmente nel ’48 (lo possiamo rileggere oggi in un’edizione ricca di extra, uscita da poco per Einaudi nella PBE). Ma appena il libro esce, de Martino sparisce per oltre sei mesi – ghosta Pavese, si direbbe oggi. Ricompare a un certo punto, come se niente fosse, e il motivo del distacco resta un mistero. Ma quando le cose sembrano andar meglio, arriva una crisi che minerà completamente il rapporto tra i due curatori.
Affidata la prefazione a un testo di un ex fascista, il Pci e i quadri einaudiani iniziano a storcere il naso; Il Partito da anni ha scelto l’Einaudi come casa editrice di riferimento, un rapporto iniziato con la pubblicazione delle opere gramsciane. Questa tensione, queste accuse di pubblicare autori considerati “di destra” come Mircea Eliade, agita Pavese, che già è sotto i riflettori per aver “umanizzato” i repubblichini nel suo ultimo romanzo. Rischia un allontanamento. E nei toni di De Martino si intravede un’insofferenza verso certe pressioni editoriali interne e verso un Pavese che sembra non voler rischiare nulla. Poi, nel ’50 Pavese si suicida e la collana viola trova un nuovo intoppo. Nei giorni dei funerali De Martino scrive a Giulio Einaudi una lettera dove, non nascondendo il fastidio della gestione di Pavese, chiede: che ne sarà della collana? Sarà proprio Bollati Boringhieri, più avanti, a ereditarla da Einaudi.
Le lettere tra i due, in gran parte “censurate” da Calvino quando si autoproclamò curatore della corrispondenza di Pavese, mostrano un dietro alle quinte dell’editoria che spesso, soprattutto con il beneficio del tempo e del marketing, viene dimenticato.
Universalismo individualistico