"dio mi salvi dalla sanità mentale!"
La capanna di Wittgenstein in mezzo ai fiordi, elogio della follia applicata
il culto della rigidità dei costumi ha fatto adepti nel mondo dei creativi, un settore prima riservato alla crème de la crème dei debosciati. Ma la creatività nasce dalla follia, certo non dalla razionalità. Si veda il filosofo che si isolò in Norvegia per occuparsi di quattro interessi: la logica, fischiettare, andare a spasso e deprimersi
La caduta dello stilista John Galliano non cominciò nel febbraio del 2011, ovvero quando venne ripreso mentre biascicava insulti antisemiti in un bar del Marais. Quella sera Galliano era ubriaco marcio e il video lo dimostra al di là di ogni dubbio, ma così facendo offrì a Dior la scusa per metterlo alla porta. Infatti, i vertici della Maison Dior non sopportavano il suo stile di vita da rockstar. John si presentava in ufficio nel tardo pomeriggio, chiedeva se erano pronti i suoi vestiti per la serata e poi tornava a casa, dove si preparava all’ennesima notte di stravizi.
Questi insostenibili ritmi di vita non avevano influenzato la qualità del suo lavoro, ma i suoi finanziatori non volevano un degenerato a capo della prestigiosa casa di moda. La storia di Galliano è solo l’ennesima dimostrazione: il culto della rigidità dei costumi ha fatto adepti nel mondo dei creativi, un settore che, fino a qualche decennio fa, era riservato alla crème de la crème dei debosciati.
Ma negli anni meno deprimenti del secolo scorso, la moda non era l’unico mondo in cui un matto poteva trovare un ruolo, un mestiere e uno stipendio. Del resto la creatività nasce dalla follia, certo non dalla razionalità. Lo sapeva bene Bertrand Russell, il faro della razionalità occidentale, che a Cambridge negli anni Dieci del Novecento prese sotto alla sua ala un eccentrico studente: Ludwig Wittgenstein. Russell lo considerava il suo successore, quello che avrebbe portato a compimento i suoi studi sulla logica.
Potete quindi immaginare la sorpresa del professore quando, nel 1912, l’allievo gli disse che avrebbe lasciato Cambridge per ritirarsi in un capanno in Norvegia.
“Sarà sempre al buio”, disse Russell. “Odio la luce del giorno”, rispose Wittgenstein.
“Sarà sempre da solo”, disse Russell. “Ho già prostituito a sufficienza la mia mente parlando con persone intelligenti”, rispose Wittgenstein.
“E’ una pazzia!”, disse Russell. “Dio mi salvi dalla sanità mentale!”, rispose Wittgenstein.
“Oh, Dio lo farà senza dubbio”, lo rassicurò Russell.
Noncurante delle raccomandazioni del professore, l’allievo lasciò Cambridge e tra l’ottobre 1913 e il giugno 1914 si ritirò a Skjolden, un villaggio in mezzo ai fiordi dove, nel fitto dei boschi, costruì una piccola abitazione (sette metri per otto). Lì le sue giornate avevano un programma rigido, perché Wittgenstein aveva solo quattro interessi: occuparsi di logica, fischiettare, andare a spasso e deprimersi.
Quella parentesi di isolamento fu fondamentale per la creazione della prima e più celebre opera di Wittgenstein, il “Tractatus logico-philosophicus”. E sempre una casa sarà il banco di prova di molte delle riflessioni che prenderanno forma in un’altra sua opera, “Ricerche filosofiche”. La dimora in questione è tutt’altra cosa rispetto a quella misera capanna tra i fiordi, visto che si tratta di una villa nel pieno centro di Vienna, commissionata da sua sorella Margaret all’architetto Paul Engelmann (allievo di Adolf Loos). Preoccupata dalla salute mentale del fratello, Margaret decise di coinvolgerlo nella realizzazione della casa, così da permettere a Ludwig di distrarsi per un paio d’anni (tra il 1926 e il 1928) dall’idea del suicidio.
Wittgenstein entrò così in un loop di capricci architettonici e, pur senza stravolgere il progetto di Engelmann, apportò una serie infinita di modifiche. Si dedicò personalmente alla creazione delle serrature e delle maniglie, gli infissi erano talmente sottili che non fu facile trovare una ditta in grado di realizzarli e, una volta installati, chiese a sua sorella di poterla osservare mentre li apriva e chiudeva (doveva verificare che fossero a piombo), disegnò dei radiatori in ghisa che erano piuttosto sculture minimaliste e costrinse un povero operaio a tenere in equilibrio per ore delle ringhiere non ancora fissate, in modo da poter decidere dove piazzarle. Ma soprattutto, quando la casa era praticamente finita, fece demolire e ricostruire il solaio del soggiorno: c’era una difformità di pochi centimetri che non lo faceva dormire di notte. Solo i pazzi possono davvero capire il tormento della precisione, perché al giorno d’oggi nessuno più di loro paga il prezzo della creatività.