Persecuzioni di oggi e di ieri
Quando Solgenitsin scriveva che l'obiettivo è schiacciare, nei russi, la conoscenza
Il racconto di se stesso ne "La quercia e il vitello", che sembra pubblicato oggi ma è del 1975. Memorie autobiografiche, la vita, il lavoro, lo sconforto, l’umiliazione, la deportazione. E soprattutto il costante lavorìo del governo sovietico per insudiciare la sua persona, attraverso una persecuzione scientifica
Vivere senza menzogna: lo grida a ogni pagina, Aleksandr Solgenitsin. La quercia e il vitello sembra pubblicato oggi, ma è del 1975 (Mondadori, e trovarlo merita ogni peripezia) e raccoglie memorie autobiografiche che coprono il periodo 1953/’74 in cui l’autore racconta se stesso, la vita, il lavoro, la sopravvivenza, lo sconforto, l’umiliazione, la deportazione. E, sovrana – e sovranamente irritante, bruciante d’attualità per lo meno per chi pensi che Sergej Lavrov sia un talento isolato –, la rappresentazione infamante che il governo sovietico fece di lui, attraverso un’opera di scientifica persecuzione e menzogna a opera di “teppisti, agenti della Sicurezza di stato”.
Qualche esempio? Possedere tre automobili – “sporco borghese!”, ma in realtà Solgenitsin non ne aveva nemmeno una, si spostava in filobus che non ebbero l’onore di ospitare le terga di alcun membro dell’agenzia di stampa ufficiale, e lui intanto controbatteva: “L’obiettivo è schiacciare, nei russi, la conoscenza, qualora disturbi le vostre trasmissioni”. Gli venne anche rivolto il poco onorevole titolo di “profanatore della memoria dei caduti nella Guerra patriottica” – lo dissero a proposito di Arcipelago Gulag, che non parlava dei venti milioni di russi morti in guerra, ma dei “sessanta milioni sterminati in una guerra intestina che dura da quarant’anni, e che vede repubbliche intere torturate in segreto e sterminate dalla fame”; libro all’uscita del quale, dal comitato del Pcus, sibilarono losche parole del tipo “non permetteremo a Solgenitsin di circolare ancora per molto”, con seguito di minacce notturne. Quanto al suo passato, venne insudiciato meticolosamente. “Si braccano, si costringono a mentire i compagni di strada della mia vita”, denunciava lo scrittore. “Si estorcono a ex detenuti che non si è avuto tempo di fucilare, confessioni in cui sono costretti a dichiarare che non esiste alcun Arcipelago”.
Solgenitsin non si lasciò indebolire. E a una convocazione ufficiale della Procura di Mosca dell’8 febbraio 1974, rispose: “Nelle condizioni di illegalità totale che regna nel nostro paese e che io subisco sotto forma di campagne di calunnia e assedio costanti, rifiuto di riconoscere la legalità di questa convocazione. Non mi presenterò. Prima di esigere dai cittadini il rispetto della legge, liberate gli innocenti dalla reclusione, punite i responsabili degli stermini di massa e chi ha proceduto coi genocidi, deportando interi popoli. Private i satrapi del loro potere illimitato”.