I mestieri invisibili. Carrère ci racconta "Tra due mondi", il suo nuovo film
La storia di una scrittrice che per preparare un libro sul lavoro precario si fa assumere in incognito come donna delle pulizie su una nave che attraversa la Manica. "Pensando alla guerra, oggi Putin, senza accorgersene, ci ha portato tutti sulla stessa barca", dice l'autore. Limonov? "Da nazionalista russo sarebbe con lui"
“L’autobiografia – ci disse lo scorso giugno Emmanuel Carrère a Taormina, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, Yoga (Adelphi) – “non è una cura, ma un’espressione di sé”. “Se diventiamo l’ombelico del mondo, è narcisismo puro, ma se coinvolgiamo anche gli altri – ribadisce quando lo incontriamo di nuovo in un hotel romano – si supera questo narcisismo e può essere raccontato”. “La stessa cosa – aggiunge - vale per il cinema. Ogni forma d’arte esprime qualcosa di sé, ma il cinema, a mio avviso, comporta una maggiore distanza”.
Lo scrittore bestseller (Limonov, L’Avversario, La settimana Bianca, Il Regno, Io sono vivo voi siete morti e molti altri), dopo il documentario Ritorno a Kotelnitch e il film di finzione L’amore sospetto, è tornato dietro la macchina da presa con Tra due mondi, film d’apertura dell’ultima Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, presentato ieri in anteprima italiana alla 12esima edizione di Rendez-Vous, il Festival del nuovo cinema francese. Ispirato all’omonimo romanzo della giornalista Florence Aubenas e in uscita il 7 aprile prossimo per Teodora Film, ci racconta in quasi due ore la storia di Marianne (Juliette Binoche), scrittrice affermata, che per preparare un libro sul lavoro precario, decide di presentarsi all’ufficio di collocamento per essere assunta come donna delle pulizie su un traghetto che attraversa la Manica, senza però rivelare la sua vera identità. “Avevo letto quel libro, ma mai avrei pensato di essere chiamato io a dirigerlo. Mi ha voluto la Binoche”, ci spiega Carrére. “L’unica cosa che ho imposto è che a lavorare accanto a lei fossero chiamate delle attrici non professioniste e così è stato fatto, tanto che due di loro recitano nella parte di sé stesse”.
“Quello di chi fa le pulizie, soprattutto in grandi posti come può essere una nave, una stazione o un ufficio di una multinazionale, è un mestiere invisibile e di invisibili: ci si accorge delle pulizie solo quando vengono fatte male o non vengono fatte, ma nessuno esprime mai gratitudine per chi le fa. In Francia c’è stata una riforma per far sì che in alcune aziende quelle persone possano lavorare nello stesso orario di tutti gli altri. Sembra una piccola cosa, ma chi l’ha sperimentato ha detto che funziona molto bene. Sentirsi parte dell’azienda, è una grande cosa e così facendo, quei lavoratori e quelle lavoratrici vengono considerate persone e non clandestini. Facendolo – aggiunge – e conoscendo più da vicino quel mondo che non conoscevo affatto, ho fatto mie quelle storie e tutti insieme ci siamo divertiti, se così si può dire, ad essere una ‘banda’ sulla stessa barca”. Pensando all’oggi e a quanto sta accadendo in Ucraina, Carrére fa notare che “su una stessa barca ci siamo un po’ tutti”. “Chi non crede di essere su quella barca è proprio il governo russo che a mio avviso pensa solo a voler affondare la nostra. Se penso a quanto accaduto con la guerra e a quanto sta ancora accadendo, mi viene da dire che tra i risultati di questa ‘iniziativa strana’ – perché la guerra lo è davvero - c’è una cosa positiva, ossia il risultato compattante dell’Europa. Subendo una situazione del genere, ci sentiamo tutti più uniti. Putin e i suoi, senza accorgersene, hanno portato tutti noi sulla stessa barca”.
Anna Politkovskaja fu la prima a denunciare in un libro uscito nel 2004, La Russia di Putin (ripubblicato in questi giorni da Adelphi nella traduzione di Claudia Zonghetti), il malcontento generale che c’era in quegli anni nel suo paese, “a parlare di Putin senza toni ammirati”, per citare le sue parole, ricordando che lì erano in tantissimi a non voler essere schiavi di un potere dittatoriale, ribadendo “di voler essere liberi” e “di amare la libertà come gli europei”. Pagò in prima persona, uccisa nell’ascensore del suo palazzo a Mosca due anni dopo l’uscita di quel libro. “Percepivo quel malcontento senza però essere capace di distinguere fino a che punto potesse essere così rappresentativo”, ci spiega Carrére, figlio di una donna di origini russe. “In Russia i sondaggi non hanno alcun valore, gli uffici adibiti a ciò sono governativi e le persone che vengono chiamate a telefono per un sondaggio non avrebbero detto allora – e non lo direbbero mai oggi - di essere contro Putin o contro la guerra. Era ed è difficile da capire, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che nel 2022 potesse accadere una cosa del genere”.
In quei giorni era a Mosca, e lui stesso lo ha raccontato in un lungo reportage. “Sono sconcertato da quanto è successo, è terribile ritrovarsi in una guerra in cui gli stessi abitanti, si ritrovano ad essere aggressori senza averlo voluto. Questa non è la nostra guerra, mi dicevano molti di loro. È una situazione assurda, è orribile ritrovarsi in una situazione così. Se accadesse nel mio Paese, in Francia, non potrei fare altro che diventare un paria per gli altri”. Eduard Limonov, lo scrittore e politico russo, l’ex adolescente travagliato e teppistello di strada che vinceva concorsi di poesie a Kharkov, in Ucraina, ex esule negli anni ’70 a New York, lo sciupafemmine che amava concedersi anche agli uomini e ai senzatetto, colui che nella sua vita fece anche il maggiordomo per un miliardario, come si comporterebbe oggi se fosse ancora vivo? Carrére che lo ha conosciuto molto bene, visto che lo ha fatto conoscere al mondo con il suo fortunato romanzo intitolato col suo cognome, non ha dubbi: “Sarebbe stato sicuramente pro Putin. Sarebbe partito con il fucile e sarebbe sceso in piazza. Da nazionalista russo quale era, non ci si potrebbe aspettare che questo”.