Fine dell'opinionismo
Quando dilagano le opinioni bisogna aggrapparsi ai fatti
Nella stretta tragica della guerra, tre sillogismi sghembi non hanno retto alla prova dei fatti. Se è aperto uno spiraglio per un accordo è in ragione dell’ardimento dei combattenti ucraini nell’usare le armi a disposizione, le informazioni dell’intelligence e altre risorse della logistica militare
Un risultato minuscolo e laterale ma non del tutto trascurabile dell’umiliazione politica, militare e morale degli invasori di Putin, e siamo solo agli inizi, è la certificata morte dell’opinionismo, che era incominciata con l’attacco sfrenato degli ignoranti alle élite dei competenti e con i vaccini. Paul Krugman dice che la decadenza eventuale dell’occidente non sta nelle sue licenze sessuali e di genere, additate da Putin e dal suo sagrestano come cause di un crollo imminente che tarda a venire, ma nella sua disaffezione alla democrazia. Gli si potrebbe obiettare che la democrazia ha perso affetto per sé stessa come sistema di regole liberali, che si è imputtanita come un talk-show, di qui la sua debolezza che ha dunque qualche parentela con la crisi di cultura, tradizione, autorità e merito. Adriano Sofri qui ieri diceva giustamente che il neoimperialismo russo è entrato in guerra contro l’omosessualità, e l’ha ufficialmente dichiarato, dichiarazione che è ovviamente una brutale e frivola bestialità non suffragata, per giunta, da alcuna vera “manliness”, o virilità, secondo i canoni conservatori ma non machisti di un Harvey Mansfield o di un Roger Scruton, filosofi non-opinionisti. Ma che l’ideologia Lgbtq+ faccia problema, sebbene si porti con baldanza in parallelo con la cancel culture e l’irrisione della storia, questo è oserei dire un fatto, non un’opinione.
In verità, dopo il rigetto dei vaccini (non quello liberale e personale, quello del No vax collettivo) la democrazia discutidora e opinioneggiante ha dato prova di sé, nella stretta tragica di una guerra e dei suoi tremendi lutti, con tre sillogismi più che sghembi. Essenzialmente, questi. Gli ucraini sono più deboli dell’esercito russo, quindi si devono arrendere, è il primo. Le sanzioni hanno un costo elevato anche per noi, quindi sono inutili, è il secondo. Le armi chiamano armi, dunque non bisogna fornirle ai combattenti a difesa del popolo, è il terzo. Basta enunciarli, nel loro facilismo, e pensare a quanto siano stati ricorrenti e rumorosi tra un ceto riflessivo meritevole solo di indifferenza e disgusto, e subito si percepisce la loro infinita stupidità, comparabile alla perentoria sicurezza con cui sono stati diffusi e argomentati, si fa per dire. Per adesso l’Ucraina non si è lasciata sventrare, è stata colpita duramente ma ha resistito e persino contrattaccato, nonostante la bolsaggine resiliente di chi testardamente la voleva a mani in alto.
Del ridimensionamento dell’offensiva degli invasori fa parte indubitabilmente l’effetto durissimo che esercita sulla società russa l’isolamento economico capace di ridurre un paese, sulla cui apertura e integrazione si era scommesso, al ruolo di paria dell’economia, della crescita, della stabilità finanziaria e dei servizi e consumi di base. Se è aperto uno spiraglio per un compromesso e un accordo, requisito indispensabile anche solo per pensare a una prospettiva di pace e ricostruzione, questo è in ragione dell’ardimento dell’esercito e dei combattenti ucraini nell’usare gli armamenti a disposizione, le informazioni di sistema dell’intelligence e altre risorse della logistica di guerra.
Il Demente Collettivo non è pronto a riconoscere queste evidenze, perché “questo lo dice lei”. Il demente individuale neanche, perché è attaccato come una cozza petulante alla difesa con le unghie e coi denti della sua libertà imprescrittibile di dare aria alla bocca. Non ci si può fare niente, salvo essere sempre più avvertiti: quando dilagano le opinioni, per non restarne prigionieri, bisogna scartarle e aggrapparsi ai fatti. Quanto poi alle onorificenze e alle paghette, bisognerebbe ridurle, sarebbe un bel risparmio.