spazio okkupato
Il nazionalismo di ritorno è il paradossale risultato della "denazificazione"
Le rappresentazioni della potenza russa e della resistenza ucraina sembrano provenire dal passato. Sono l'immagine dell'Urss che si rifiuta di smettere di sognare la propria grandezza, uno strascico del '900 che colpisce più di tutti il faticoso progresso fatto dall'Europa sulla strada dell'integrazione
Quello che lascerà questa guerra, almeno in termini simbolici, forse si può già cominciare a immaginare. Ogni conclusione diversa dall’annessione dell’Ucraina alla Russia – oltre che una sconfitta per gli aggressori e una vittoria per gli aggrediti – sarà letta come un’affermazione della potenza dell’occidente e come una prova del fatto che l’asse del mondo non si è ancora definitivamente spostato in Asia. L’eventuale sconfitta della Russia, però, comporterà un prezzo che in molti, dopo, si affretteranno a rinfacciare all’occidente e che, invece, andrebbe imputato in primo luogo all’aggressore. E’ plausibile, cioè, che nei prossimi anni in Ucraina, tanto in caso di vittoria quanto di sconfitta, e nonostante Zelensky, si rafforzerà il nazionalismo più estremo, non quello più democratico. Il paradossale e fallimentare risultato della campagna di “denazificazione” promessa da Putin potrebbe essere proprio la “nazificazione”, per fortuna parziale, del sentimento nazionalistico ucraino.
Ma anche al di là di questo esito di cui Putin porterebbe la prima responsabilità, è evidente che la resistenza ucraina ripropone il nazionalismo ovunque in Europa, non soltanto in Ucraina, come un modello politico e prima ancora mediatico, anzi estetico. Il nazionalismo si riafferma, cioè, come uno stile che, improvvisamente, ritorna di moda. Basta guardare le fotografie dei negoziati, le dichiarazioni dei delegati, le scenografie in cui Putin e Zelensky scelgono di comunicare e, soprattutto, il modo in cui ucraini e russi si vestono. Da una parte c’è il grigiore imperiale di una potenza al tramonto. Nella quasi totale assenza di immagini dei soldati dell’Armata rossa al fronte, è una parata di camicie bianche, abiti scuri e brutte cravatte, guance rasate e dopobarba scadenti, su cui si innesta, come un ingenuo cedimento alle sirene dell’occidente e una disperata, cafonissima dichiarazione di ricchezza, il piumino italiano da 12 mila euro indossato allo stadio da Putin. Le stanze in cui questa parata lisa va in scena sono immense, come le poltrone dai pomelli arricciolati, le maniglie d’oro delle porte e le scrivanie infinite che, però, appaiono vecchie, irrimediabilmente in ritardo rispetto all’estetica del mondo.
Dall’altra parte ci sono le occhiaie blu, le barbe sfatte, le tute mimetiche e le magliette verde militare, catenine con la piastrina del gruppo sanguigno e stanze che, via via che la guerra avanza, sempre più assomigliano a spazi neutri, bianchi, i cui unici colori sono il giallo e il blu di una bandierina ucraina che sbuca da un portamatite. Da una parte c’è l’impero, dall’altra la guerriglia. Entrambi sembrano provenire dal passato. Sono l’immagine dell’Urss che si rifiuta di smettere di sognare la propria grandezza e quella delle innumerevoli guerre di resistenza del Novecento. La radice su cui entrambe si basano è il nazionalismo che riappare, perfino in Europa, come un’ideologia credibile, vincente e contemporanea, un secolo dopo la Prima guerra mondiale e l’ascesa del fascismo e del nazismo. Ma si potrebbe risalire ancora più indietro: il nazionalismo si ripresenta in Europa come l’ideologia che permette ai popoli oppressi di ribellarsi e liberarsi dalla prepotenza coloniale e imperiale, esattamente come avveniva nelle guerre di liberazione dell’Ottocento.
Non significa che succederà tutto di nuovo naturalmente (la famosa frase di Marx secondo cui la storia si ripresenta due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa, è una pigrizia che regala un alibi a chi vuole consolarsi con il pensiero della decadenza ed essere esentato dalla fatica di provare a capire il presente). Significa che il nuovo probabilmente sta accadendo altrove, non in questa guerra che sembra andare in scena come uno strascico del Novecento, della sua ostinazione a non volere finire davvero. Significa che, comunque, questa guerra ripropone come politicamente fondanti le idee di popolo, suolo e confine che l’Europa, nel suo faticoso cammino di integrazione, sembrava avere progressivamente eroso. Il rischio è che il nazionalismo ritorni a esercitare la sua forza attrattiva su tutta l’Europa fino a farla regredire a un insieme di stati, uniti da ragioni commerciali e politiche, ma separati da sentimenti di appartenenza sempre più forti e da confini sempre più alti. E’ almeno dall’inizio dell’epidemia, e da prima ancora, per frenare i migranti, che i confini in Europa stanno progressivamente ritornando. Cancellarli era stata l’unica idea nuova e l’unica vera conquista politica di questo secolo.